Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c2
Natascia Curto Storia di Anna che cammina strano
Notizie Autori
Natascia Curto insegna Metodi e pratiche dell’intervento educativo presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Membro del Centro studi per i diritti e la vita indipendente, si occupa di attuazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, sviluppo di approcci emancipatori alla progettazione socio-educativa e processi alternativi all’istituzionalizzazione. È componente dell’editorial board di «Minority Reports. Cultural Disability Studies».
Abstract
La famiglia di Anna abita in una piccola città collinare nel Nord-Ovest. Gli abitanti, poco meno di seimila, sono prevalentemente piccoli imprenditori del settore agricolo. Anna nasce quando i genitori sono sposati da poco, frequenta le scuole prima nel suo paese poi, per le superiori, in una cittadina vicina, ma non riesce mai a circondarsi di relazioni significative. Anna compie 21 anni e le viene assegnata un’educatrice nell’ambito di un progetto di «vita indipendente» promosso dal suo Comune di residenza. Il lavoro educativo si concentra sulle autonomie: Anna trascorre con l’educatrice due pomeriggi alla settimana in cui programma come fare la spesa, impara a preparare semplici pasti e a vestirsi in modo adatto alla temperatura esterna, riordina la sua stanza e a volte stira. Uno degli elementi da cui scaturiscono continui litigi è che la famiglia di Anna non ha i mezzi per pagarle un affitto o comprarle una casa. Questo, da una parte, li scoraggia riguardo alla possibilità per Anna di uscire dalla casa familiare, dall’altra fa sì che spesso si parli della ricerca di un lavoro come l’evento che farà accadere tutto il resto. Inoltre, Anna desidera una vacanza con gli amici, non da sola: quello che la affascina dei racconti delle colleghe sono gli incontri, i ragazzi americani conosciuti al lido, le amiche di ombrellone, le serate con le feste in spiaggia. È in occasione di quella vacanza che conosce Alberto, un ragazzo che abita in un altro paese della sua Regione. Anna e Alberto iniziano a sentirsi, si trovano sempre meglio. Lui la va a trovare nel paesino dove abita e dopo poco tempo si mettono insieme. Uno degli elementi che inizialmente blocca l’effettivo andare a convivere è il fatto che nessuno dei due riesce a trovare lavoro. L’infrastruttura del loro abitare insieme è l’abitare stesso non la relazione di coppia, abitare che si configura come una delle possibili combinazioni luogo-livello di controllo che le persone che concedono loro la libertà hanno a disposizione.
1. Da sola
La famiglia di Anna abita in una
piccola città collinare nel Nord-Ovest. Gli abitanti, poco meno di seimila, sono
prevalentemente piccoli imprenditori del settore agricolo. Il borgo è attraversato da un
fiume, ci sono le scuole elementari e medie, una biblioteca, un palazzetto dello sport e
una piscina all’aperto. La linea ferroviaria collega la cittadina ad alcuni centri, un
po’ più grandi, non distanti; in un’ora e mezza di treno si arriva al capoluogo di
Regione. La madre di Anna, Maria, proviene da una famiglia numerosa trasferitasi dal Sud
quando i figli erano alle soglie dell’età adulta. Maria era, al momento del
trasferimento, appena diciottenne e, più giovane dei fratelli, ha vissuto ancora qualche
anno con i genitori prima di sposarsi con il padre di Anna e trovare un impiego da
parrucchiera. La famiglia di Anna non è al centro di una rete di relazioni
particolarmente ricca: gli unici contatti sono quelli con i parenti della madre, che
abitano in cittadine poco distanti.
Anna nasce quando i genitori sono
sposati da poco, frequenta le scuole prima nel suo paese poi, per le superiori, in una
cittadina vicina, ma non riesce mai a circondarsi di relazioni significative: crescendo
ha pochi amici e, nei contesti che frequenta, viene spesso presa in giro per il modo in
cui cammina e lasciata ai margini dei gruppi
[1]
. Priva di contesti extrascolastici dove socializzare, alla fine della scuola
superiore Anna si ritrova immersa in una quotidianità che trascorre prevalentemente con
il padre, che è andato in pensione precocemente proprio per potersi dedicare meglio a lei
[2]
. Le ¶{p. 60}poche amicizie che aveva intessuto durante le
scuole superiori erano con i compagni che svolgevano con lei le attività in aula di
sostegno. In particolare, uno di questi, Gioele, era il suo migliore amico e, per alcuni
periodi, è stato il suo ragazzo. Spesso capitava che si incontrassero sull’autobus tra
casa e scuola, oppure che uno dei due allungasse un po’ il tragitto per trascorrere del
tempo assieme. Al termine della scuola, tuttavia, anche queste relazioni si perdono:
Gioele viene inserito in un Centro diurno e, poiché il territorio non dispone di
trasporti che gli consentano di andare avanti e indietro da solo fino al paese dove si
trova il Centro, viene attivato il servizio di trasporto disabili. Non potendo più
vedersi, le cose tra loro si raffreddano e smettono di sentirsi nel giro di qualche
mese. L’unica amica che Anna frequenta resta Michela, una ragazza del suo paese, di una
decina d’anni più grande di lei, che vive una simile situazione di esclusione. Anche se
non ha una disabilità certificata, Michela condivide con Anna una condizione di
fragilità, le prese in giro degli altri ragazzi – nel suo caso per il sovrappeso – e una
famiglia senza molti amici. Il paese non offre molti svaghi e nessuna delle due ha la
patente per poter raggiungere i luoghi di divertimento, che sono tutti nella città
vicina. Ma Anna e Michela hanno vent’anni e iniziano ugualmente a uscire la sera. Il
papà di Anna, in realtà, le accompagnerebbe volentieri, come ha fatto in tanti anni
portandola a fare nuoto o a fisioterapia, ma l’idea di uscita serale che le ragazze
desiderano non prevede l’accompagnamento da parte di un anziano papà. Anna e Michela
finiscono, quindi, a frequentare l’unico locale raggiungibile a piedi: il Vida Loca, una
sorta di pub-discoteca che si trova proprio al fondo della via dove Anna abita. Il Vida
Loca non è frequentato da ragazzi della loro età ma da persone più adulte che spesso si
recano al locale in cerca di compagnia. È in una di queste serate che Anna incontra
Vittorio, un uomo di 47 anni, senza disabilità, che frequenta quel bar. Anna e Vittorio
iniziano a chiacchierare, lui le fa qualche complimento, si trovano bene insieme. Anna
inizia a tornare al locale qualche sera anche senza Michela, solo per incontrare lui. Un
po’ alla volta inizia a pensare a Vittorio come un uomo da frequentare in termini
sentimentali. Certo, è più grande d’età rispetto a lei, a Gioele e a quello che aveva
sempre immaginato quando pensava a un fidanzato, ma finalmente sembra aver trovato
qualcuno a cui non importa come cammina, se è disabile o no, e che è contento di stare
con lei
[3]
. I due iniziano a incontrarsi qualche volta anche al pomeriggio fuori dal
locale. È in quelle occasioni che Anna si accorge che Vittorio spesso si guarda
¶{p. 61}attorno, come se controllasse il possibile arrivo di qualcuno.
Alla domanda della ragazza, Vittorio risponde, con semplicità, che devono sempre fare
attenzione perché potrebbe passare sua moglie che gira parecchio mentre accompagna i due
figli alle varie attività sportive. Per Anna il fatto che Vittorio sia sposato è una
sorpresa: non aveva avuto una comunicazione esplicita di questo e semplicemente non
l’aveva capito. Forse si sarebbe potuto dedurre da mezze parole e atteggiamenti
dell’uomo o dalla natura degli incontri tipici del locale dove si sono conosciuti,
oppure avrebbe potuto sospettarlo se avesse avuto l’occasione di parlare con qualcuno
della relazione che stava nascendo. Ma nulla di tutto questo è accaduto. Vittorio
esplicita ad Anna che non intende lasciare la moglie, ma che ha voglia di sperimentare
degli incontri fuori dal matrimonio. Anna, inizialmente, accetta queste condizioni:
Vittorio le piace e anche lei è incuriosita all’idea di sperimentarsi in esperienze di
tipo sessuale, che non ha mai provato. Il suo nuovo uomo, tuttavia, fa delle cose che le
sembrano strane: quando sono insieme sembra aspettarsi qualcosa che Anna non capisce
bene cosa sia. Parlarne con Michela sembra inutile: l’amica è risentita poiché Anna ora
preferisce andare al pub senza di lei e i rapporti tra le due si sono raffreddati. Così
Anna si ritrova da sola in un nuovo mondo che non capisce, senza la possibilità di
confrontarsi.
Intanto la vita procede verso l’età
adulta: Anna compie 21 anni e le viene assegnata un’educatrice nell’ambito di un
progetto di «vita indipendente» promosso dal suo Comune di residenza. Il lavoro
educativo si concentra sulle autonomie
[4]
[Marchisio 2019; Goodley e Lawthom 2019]: Anna
trascorre con l’educatrice due pomeriggi alla settimana in cui programma come fare la
spesa, impara a preparare semplici pasti e a vestirsi in modo adatto alla temperatura
esterna, riordina la sua stanza e a volte stira.
Nello stesso periodo i rapporti tra
Anna e la mamma si fanno sempre più tesi. La mamma ha intuito, anche senza un racconto
dettagliato, che Anna sta frequentando un uomo e che in questa frequentazione c’è
qualcosa di segreto. Maria, anche a causa della sua storia personale, è molto sensibile
a come la figlia viene percepita in paese. Arrivata giovanissima, infatti, Maria ha
cercato di fare amicizie, uscire, frequentare ragazze ma anche ragazzi. Per questo suo
comportamento è stata stigmatizzata dalla famiglia, si è scontrata più volte con i
fratelli, anche pubblicamente, ed è stata spesso oggetto di pettegolezzi da parte degli
altri abitanti. Nel racconto che Maria fa di sé, l’immagine di donna «poco di buono» le
è ¶{p. 62}rimasta attaccata addosso anche quando poi si è sposata ed è
questa che ha causato, nella spiegazione che lei stessa ne dà, la solitudine che vive
oggi. Maria dice di essere stata la «pecora nera» della famiglia e vorrebbe preservare
Anna da un simile destino
[5]
[Taddei 2022]. Inoltre, Maria è convinta che nessun uomo senza disabilità
possa essere autenticamente interessato alla figlia, che è una ragazza con disabilità
sia intellettiva che motoria, e che quindi qualsiasi dimostrazione di interesse nasconda
un tentativo di raggiro. Maria parla spesso con Anna di queste cose, dicendole che deve
trovarsi un fidanzato con disabilità, uno «giusto per lei», come, del resto, le era
stato consigliato anche dalla psicologa della scuola superiore che aveva individuato in
Anna una mancata accettazione della sua condizione, dimostrata dal fatto che la ragazza
non volesse frequentare le altre persone con disabilità e rifiutasse sistematicamente
l’inserimento nei gruppi di tempo libero per disabili che le venivano proposti. Anna
passa un periodo di grande solitudine: la sua unica amica è distante, l’educatrice viene
per insegnarle a cucinare e in famiglia non sente spazio per parlare dei suoi dubbi,
perché sta facendo esattamente tutto quello che, da sempre, la madre le raccomanda di
non fare.
In questo scenario di tensione, il
lavoro sulle autonomie domestiche finisce per diventare motivo di ulteriore conflitto:
Anna e l’educatrice svolgono, al pomeriggio mentre Maria è al lavoro, alcune faccende
casalinghe. Ma la mamma, quando rientra la sera, non resiste al mettere mano alla casa
sistemata in un modo diverso da come lei è abituata da sempre: aggiusta il letto fatto
da Anna, apre le tapparelle un po’ di più in camera sua, rilava quei piatti che non
ritiene abbastanza puliti e, quando Anna protesta, ne vengono fuori grandi litigate.
Si crea, in quel periodo, una
situazione paradossale in cui sembra che la futura libertà di Anna, la possibilità di
scegliere dove e con chi vivere, sarà determinata dalle attività che quotidianamente lei
riuscirà o non riuscirà a svolgere
[6]
[Saraceno 2017] mentre, proprio nelle stesse settimane,
¶{p. 63}Anna sta sperimentando un’esperienza di libertà effettiva, con
molti rischi sia emotivi che materiali, senza però poter avere nessun supporto per
affrontare le decisioni che le si parano davanti.
Intanto le cose con Vittorio si fanno
più intense sul piano del rapporto fisico e le paure di Anna si concentrano sull’aspetto
della prevenzione di gravidanze indesiderate. Anna non conosce nulla in questo senso, in
famiglia non se ne parla e non sa a chi chiedere. Si ricorda che, alle superiori, alcune
classi andavano in una struttura che c’è lì vicino: il consultorio. Un giorno, cercando
di muoversi di nascosto dai genitori e dall’assistente sociale che ha l’ufficio proprio
nello stesso edificio, e che direbbe che l’ha vista lì a sua madre, va al consultorio in
cerca di un consiglio. La psicologa la riceve ma, una volta messo a fuoco che Anna è una
ragazza con disabilità anche intellettiva, la rimanda al servizio dedicato. Proprio in
quelle settimane sta partendo un percorso di gruppo per l’educazione alla sessualità
delle persone con disabilità intellettiva. Anna, però, non ci pensa neanche a
partecipare al gruppo. In primo luogo, si tratterebbe di un contesto in cui ci sono le
altre persone con disabilità del suo paese, dove dunque lei non potrebbe raccontare
quello che le succede perché la sua relazione con Vittorio deve restare segreta.
Inoltre, lei non ha bisogno di un corso, ha bisogno di poter chiedere un consiglio, di
essere sostenuta perché al momento si trova combattuta: da una parte Vittorio fa delle
cose che la fanno soffrire, per esempio non la cerca per giorni, non risponde al
cellulare e poi la chiama nuovamente dicendo che è dovuto stare con la moglie e non ha
potuto rispondere per evitare che si insospettisse, ma che quella sera la può vedere.
Allora Anna lo aspetta davanti al Vida Loca, lui la prende con la macchina e la porta in
luoghi appartati dove si aspetta di fare l’amore. Anna vorrebbe dirgli, come ha sempre
visto in televisione e sentito raccontare, che se vuole fare l’amore poi il giorno dopo
deve rispondere al telefono, ma non sa se si può fare così, se invece forse
stare insieme è questa cosa che le sta accadendo, si domanda se
è lei a essere inesperta e questo potrà essere motivo per essere lasciata. È vero che
quando non risponde lei si sente triste, ma quando sono insieme Vittorio è gentile. In
realtà, Anna, non sa neanche se quello che stanno facendo sia veramente
l’amore.
Trascorre l’estate e Vittorio va in
vacanza con la moglie e i figli. In queste settimane senza sentirsi Anna ci ripensa
tanto e decide che non andrà più agli appuntamenti con Vittorio all’angolo del Vida
Loca, ma gli chiederà di fare delle altre cose assieme: andare al cinema, fare una
passeggiata al centro commerciale. Lei li vede sempre i fidanzati che fanno
¶{p. 64}così. Tornato dalla vacanza, a fronte di questa proposta, lui –
inaspettatamente per Anna – rifiuta: la incontra soltanto se lei è disposta a salire in
macchina e appartarsi con lui. Anna capisce che non vuole continuare questa situazione,
e vuole concentrarsi sul suo percorso di vita indipendente perché ormai ha 22 anni e
vuole uscire dalla casa dei genitori, dove, tra l’altro, i litigi con la mamma
continuano quotidiani. In questo periodo riprende anche a sentire Michela.
Note
[1] Le barriere incontrate dagli adolescenti con disabilità nel rapporto con i pari sono ampiamente trattate in letteratura psicopedagogica. Per un quadro del fenomeno, cfr. Corbo et al. [2021] e Bills [2020].
[2] In uno dei suoi ultimi testi organici Andrea Canevaro [2013] sottolinea come, al termine della scuola, il restringimento del campo di socialità possibile per i ragazzi con disabilità costituisca un elemento che attraversa con frequenza le biografie.
[3] La letteratura mostra che le donne con disabilità esperiscono, fin dall’età evolutiva, una maggiore esclusione dai processi psicosociali di costruzione dell’autostima e della consapevolezza di sé. Tale esclusione tende a essere correlata con alcuni elementi della vita adulta, tra cui una maggiore tendenza ad accettare relazioni intime povere e insoddisfacenti. Il fenomeno è ampiamente studiato; per uno sguardo recente, cfr. Alhusen et al. [2020] e Van der Heijden et al. [2019].
[4] La critica che denuncia il framework abilista in cui collocano i percorsi educativi basati sull’acquisizione di autonomie, sebbene ancora non capillare, si sta diffondendo in modo sempre più ampio sia nel mondo della ricerca che nelle pratiche. Marchisio [2019] analizza il fenomeno dal punto di vista psicopedagogico mentre Goodley e Lawthom [2019] introducono, attraverso il concetto di «abilismo neoliberale», le connessioni di tale framework con le funzioni di mantenimento dell’ordine sociale.
[5] Nell’educazione delle bambine con disabilità «gli stereotipi di genere rischiano di condizionare i processi di emancipazione e di autodeterminazione delle persone con disabilità fin dalla nascita» [Taddei 2022, 28], la madre di Anna sembra intuire il rischio che i medesimi meccanismi di discriminazione, che anche lei ha subito, rischino di avere un esisto ancora più drammatico per la figlia in termini di limitazione della libertà.
[6] Già ne La povertà della psichiatria Benedetto Saraceno sottolinea con chiarezza le conseguenze di quello che definisce «il mito dell’autonomia»: «Uno dei miti, ma più spesso mistificazioni, della cultura riabilitativa psichiatrica ma anche, più in generale, della cultura assistenziale rivolta ai “deboli” e agli “esclusi” è il riferimento all’“autonomia” come obiettivo primario. Il mito dell’autonomia è il maggior responsabile dell’iperselezione dei pazienti e, più in generale, dei soggetti deboli nei programmi di inclusione sociale e dunque responsabile del complementare abbandono dei “non selezionati”. La questione di fondo ha a che vedere con il modello sociale che si persegue (il modello di “mercato” che si persegue): quello dell’autonomia è quello darwiniano ove è perseguita la capacità del singolo a partecipare vittoriosamente (autonomia) alla battaglia della sopravvivenza; l’inclusione sociale sarebbe il miglioramento delle dotazioni danneggiate affinché il soggetto possa essere alla pari con gli altri» [2017, 163-164].