Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
Ma all’ampiezza di queste affermazioni generali non fa riscontro una analoga effettività dei compiti e dei specifici che dovrebbero costituirne il contenuto. Il primo compito delle SAS, ripetutamente sottolineato dalle dichiarazioni programmatiche, è di costituire i «centri naturali della sindacalizzazione dell’ambiente di lavoro», impegnandosi all’avvio della presenza sindacale in azienda. A tal fine esse devono promuovere tutte le iniziative atte a garantire «la possibilità della presenza e soprattutto dell’ulteriore espansione dell’organizzazione» nonché a determinare ed assicurare il clima del sindacato nell’azienda [39]
. Sul piano organizzativo ciò comporta che le sezioni devono adoperarsi per il proselitismo sindacale, curando la propaganda, la formazione dei quadri, la promozione delle comunicazioni all’interno della fabbrica, fino alla raccolta delle quote contribuite e delle tessere. Analogamente ad esse compete di agire per la mobilitazione capillare di tutti i lavoratori e per il collegamento con questi in tutte le occasioni in cui ciò è richiesto dal sindacato, in particolare durante le elezioni per il rinnovo delle commissioni interne, che costituiscono tradizionalmente una delle prove organizzative e propagandistiche più importanti per le associazioni di categoria. Quanto ai problemi della contrattazione collettiva e in specie alla nuova politica articolata gli organismi aziendali devono agire per diffondere e volgarizzare i «criteri ispiratori dell’azione a livello aziendale espressi dagli organi deliberativi ed esecutivi» [40]
confederali, studiando il modo
{p. 51}più efficace per estendersi alla generalità dei lavoratori e programmando più in genere una loro pratica applicazione. Occorre altresì che analizzino le situazioni sindacali esistenti sui luoghi di lavoro, raccogliendo tutti gli elementi di fatto e le indicazioni tecniche necessarie per impostare un’attività contrattuale aderente alla realtà aziendale. Nella stessa prospettiva devono infine adoperarsi nella fase di attuazione della politica contrattuale aziendale, attraverso l’organizzazione, ove necessario, delle opportune iniziative di lotta: assumendo così e realizzando «la garanzia formale e sostanziale della solidarietà dei lavoratori dell’azienda nel corso dell’azione sindacale ed in particolare per la riuscita dello sciopero» [41]
.
Di fronte al rilievo primario di questi compiti il ruolo attivo riconosciuto alle sezioni sindacali nella medesima materia contrattuale non va oltre la possibilità di discutere le informazioni, di organizzarle e di elaborare in conseguenza proposte per l’indirizzo delle piattaforme rivendicative. Tali proposte sono peraltro prive di valore autonomo, e destinate, come «qualsiasi programma di azione sindacale scaturito dalla sezione», ad essere «sottoposte al giudizio e all’approvazione dell’Unione provinciale e del sindacato provinciale di categoria» [42]
. In materia contrattuale, ancora più chiaramente che altrove, si distingue nettamente una fase di preparazione di formazione e di consultazione, ove è necessario l’apporto {p. 52}delle organizzazioni aziendali per un suo svolgimento capillare, dalla fase di decisione, per cui è invece esclusiva la competenza del sindacato territoriale di categoria. Solo a questo competono i poteri «per lo svolgimento della trattativa, dell’azione sindacale e della conclusione», la responsabilità di impegnare con «la sua firma l’organizzazione» [43]
e quindi in definitiva la legittimazione a porsi come agente contrattuale a tutti i livelli, compresa l’azienda. Il motivo addotto per una simile conclusione è ben noto: attribuire alla sezione aziendale poteri decisori in ambito contrattuale significherebbe inevitabilmente instaurare, o almeno favorire, una «forma di pura rappresentanza aziendalistica» staccata dall’organizzazione extraziendale e dai suoi indirizzi generali, quindi «in pratica negatrice della solidarietà fra i lavoratori», facile preda di tentativi integrazionistici da parte imprenditoriale [44]
. Si tratta, come si può vedere, di un motivo analogo a quello avanzato dalla CISL, e in parte condiviso anche dalle altre confederazioni, per negare l’opportunità di iniziative della CI in materia sindacale e, più in generale, per auspicare un più stretto controllo da parte degli stessi sindacati. Naturalmente nel caso della CI esso si riporta, più in radice, alla configurazione strutturale dell’istituto (aziendalmente limitato e di origine non associativa), che lo fa apparire intrinsecamente inadatto ad esprimere gli interessi sindacali {p. 53}dei lavoratori; mentre esteso alla stessa organizzazione di base del sindacato, assume portata e fondamento ben diversi, di cui si dirà subito di seguito.

4. Caratteri del modello della CISL e confronto con le tesi della CGIL.

Dall’analisi finora svolta si possono desumere alcune prime conclusioni sul modello di organizzazione sindacale originariamente elaborato dalla CISL e sul suo significato nel generale contesto sindacale italiano.
Anzitutto risulta palese come i compiti rapidamente esaminati esprimano tutti una funzione in senso lato strumentale della sezione sindacale rispetto al sindacato provinciale, in quanto sono riconducibili in definitiva alla promozione della sua espansione organizzativa, alla preparazione della sua attività o all’attuazione in concreto delle sue decisioni. La generalità di competenze dell’istituto aziendale, proclamata in via programmatica, consegue solo di riflesso dall’ambito di azione riconosciuto al sindacato territoriale, in cui le attività e i poteri della sezione, pur esercitati a livello aziendale, trovano il loro centro di riferimento esclusivo e in definitiva la loro destinazione finale. Una simile impronta dell’istituto è tanto più rilevante in quanto non si limita all’azione formativo-organizzativa, che, a qualunque livello sia svolta, è sempre tendenzialmente funzionalizzata alla crescita dell’intera associazione, ma condiziona l’intera sua sfera d’iniziativa, compresa la materia contrattuale, che doveva costituire il punto cardine per il significato politico della nuova struttura.
Queste connotazioni funzionali dell’istituto sono sufficienti, anche se potrebbero illustrarsi più ampiamente [45]
, ad escluderne la natura di centro associativo a sé stante, {p. 54}provvisto di autonoma soggettività all’interno della complessa organizzazione sindacale, e a caratterizzarlo invece come mera struttura organica o decentrata del sindacato provinciale in azienda. Una simile qualificazione del modello normativo della sezione trova conferma nell’assenza in capo ad essa, e reciprocamente nella presenza in capo alla superiore organizzazione territoriale, di quasi tutti gli altri tratti tipici del rapporto associativo (autonomia patrimoniale e di gestione, capacità di regolamentazione statutaria, poteri associativi nei riguardi dei lavoratori iscritti, ecc.). Essa viene del resto indicata con una efficace espressione sintetica dalle stesse delibere o definizioni che lo presentano come «anello di congiunzione fra il movimento sindacale e la vita aziendale», o come «organo di collegamento» fra il sindacato territoriale e la fabbrica [46]
. Anzi talora si parla addirittura di anello di congiunzione «fra il sindacato e i lavoratori CISL nell’azienda», non rilevando, con un evidente ma significativo equivoco, che la sezione è, o dovrebbe essere, essa stessa l’insieme dei lavoratori dell’azienda iscritti al sindacato [47]
.
È evidente come la logica generale a cui risponde un simile modo di intendere la nuova struttura dipenda strettamente, al di là delle intenzioni, dal tradizionale modello di organizzazione sindacale noto alla esperienza italiana. {p. 55}In comune con la tradizione c’è il fatto essenziale che il centro del sistema sindacale rimane ancora rigorosamente identificato al di fuori della fabbrica, nelle strutture territoriali, ove si concentra la totalità dei poteri decisori e da cui l’organizzazione d’azienda deriva come risultato di un decentramento burocratico richiesto da prevalenti ragioni di efficienza [48]
. La stessa operazione di riportare sotto controllo sindacale l’iniziativa delle CI si spiega in termini analoghi, cioè in funzione non di un trasferimento di poteri sindacali all’interno dell’impresa, ma per il rafforzamento di un centro organizzato esterno provvisto di ogni funzione decisiva.
Una tale impostazione dei rapporti fra le varie strutture sindacali e la sua dipendenza dal passato trovano pieno riscontro, sul piano dei rapporti esterni, in un’analoga impostazione del sistema contrattuale proposto dalla stessa confederazione. La necessità di articolare le sedi di contrattazione collettiva per renderle più adeguate alle esigenze dei lavoratori e del processo tecnologico viene anche qui soddisfatta attraverso un procedimento rigorosamente discendente, per cui i livelli contrattuali superiori non solo precedono di fatto quelli inferiori, ma ne fondano e limitano la legittimità. Si ha qui una prima verifica storica della tendenza, cui si faceva cenno sopra, secondo cui le diverse strutture contrattuali di volta in volta prescelte sono strettamente connesse con i modi di concepire i rapporti interni dell’organizzazione sindacale che le pone in essere.
Con questa soluzione, diretta a garantire che il decentramento contrattuale, se ci deve essere, sia «metodico e ragionevole, non scorretto e invadente» [49]
si apre la strada
{p. 56}a una sfasatura fra unità contrattuali e distribuzione dei relativi poteri decisionali all’interno del sindacato, destinata a condizionare in futuro l’intero sistema contrattuale. A livello aziendale la sfasatura è evidente nella assenza di poteri contrattuali della sezione sindacale, cui fa riscontro l’esclusiva competenza del sindacato provinciale. Ma, a un grado superiore, la stessa competenza di quest’ultimo a condurre la contrattazione aziendale esiste solo in quanto gli sia riconosciuta dal sindacato nazionale e negli ambiti da questo previsti [50]
. Una posizione, com’è noto, che viene sancita anche in via bilaterale nei riguardi della controparte imprenditoriale, a partire dalle prime esperienze generalizzate di contrattazione articolata avviate dai metalmeccanici negli anni 1962-63. Per cui in realtà il potere decisionale per tutti i livelli contrattuali, compreso quello aziendale, risale sempre in ultima istanza al sindacato nazionale, da cui viene ritrasferito ai gradi associativi inferiori, secondo un processo di decentramento in senso proprio.
Note
[39] Anche le citazioni sopra riportate sono della III Assemblea organizzativa, rispettivamente pp. 46 sgg., 25, che peraltro non fa che ribadire, sul punto, le tesi già espresse dalla delibera istitutiva della SAS del luglio 1954, e quindi ampiamente riprese da tutti i documenti e dalla stampa ufficiale.
[40] Così Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica, cit., p. 72. Analogamente la mozione finale del primo convegno nazionale delle SAS e CI delle grandi industrie metalmeccaniche, in «Ragguaglio metallurgico», 1955, cit.; la relazione al II Congresso federale (1955), secondo cui il nuovo organismo dovrà servire a «trasferire gli indirizzi propri della nostra azione sindacale e salariale dai livelli dove... si formano sino alla base», in «Bollettino di studi e statistiche», 1955, cit., p. 12 nonché, più in generale, l’editoriale La politica salariale della CISL. La CGIL di fronte ai suoi errori, in «Bollettino di studi e statistiche», 1955, n. 11, pp. 406 sgg.
[41] Relazione alla III Assemblea organizzativa, cit., p. 49.
[42] Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica, cit., p. 73. La menzione dell’Unione provinciale si spiega per l’ampio intervento di supplenza operato dalle strutture orizzontali nell’attività contrattuale fino all’affermarsi, ormai negli anni ’60 di un’effettiva capacità di iniziativa autonoma in materia da parte dei sindacati provinciali di categoria (vedi nota 10) cui pure la competenza contrattuale veniva dalla CISL già allora teoricamente riconosciuta.
[43] Relazione alla III Assemblea organizzativa, cit., p. 45, anche qui ribadendo tesi consolidate fin dall’origine.
[44] Il tema dell’aziendalismo e delle sue deviazioni è fra i più insistiti in tutti i documenti sindacali degli anni ’50; e gli eventi del tempo non mancano di offrire, anche (e soprattutto) per la CISL, esempi vistosi dell’attualità del pericolo. È naturale che la proposta di introduzione del nuovo istituto sindacale, per la stessa collocazione di questo, lo riproponga in primo piano, col risultato peraltro di bloccare il dibattito sulle sue funzioni in termini largamente stereotipati e in definitiva angusti. Invero le tesi iniziali sopra indicate della CISL sulla prospettiva partecipazionistica dell’azione sindacale in azienda erano atte ad aggravare obiettivamente il pericolo suddetto, ben più di quanto lo potesse essere una accentuazione dei poteri decisionali dell’istituto. Quanto alla CGIL, è noto come proprio le possibili deviazioni corporativo-aziendalistiche siano fra i motivi più consueti dell’iniziale rifiuto di strutture sindacali aziendali (vedi i documenti citati a nota 22 e nelle note seguenti).
[45] Cfr. il mio scritto L’organizzazione sindacale, I, cit. (in generale cap. I e II), anche per una dimostrazione di come gli elementi accennati valgano ad escludere i connotati essenziali secondo il diritto statale a riconoscere la natura associativa dei gruppi.
[46] Si tratta delle formule più usate dai primi documenti ufficiali sul nuovo organismo, per indicare sia la sua posizione strumentale rispetto alle strutture sindacali territoriali, sia in particolare la generale finalità di collegamento e di controllo che esso doveva rendere possibile a queste nei riguardi della realtà aziendale: cfr., ad esempio, i testi citati a nota 40; cui adde, per la FIM, la mozione finale al III Congresso del 1959, che si riferisce alla SAS come all’«espressione del sindacato nell’azienda, strumento... per l’attuazione di una politica sindacale integrativa» e la relazione al IV Congresso (1962) ove si parla dello stesso istituto come di «propaggine del sindacato di categoria» (Atti, p. 137). Per altre indicazioni statutarie vedi il mio L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 185 sgg., ove anche un parallelo fra una simile concezione strumentale dell’istituto e l’ordinamento francese, in cui essa è stata assunta come tale dalla legge 27 dicembre 1968, che riconosce la sezione appunto quale emanazione non autonoma del sindacato territoriale, con preminenti fini di collegamento fra questo e i lavoratori dell’azienda.
[47] Così la mozione finale del primo convegno nazionale delle SAS e delle CI delle grandi aziende metalmeccaniche, in «Ragguaglio metallurgico», 1955, cit.
[48] Una simile impostazione discendente nell’intendere i rapporti fra le strutture sindacali ai diversi livelli e fra i relativi gradi di contrattazione è tuttora diffusa nella nostra cultura giuridica: vedi i cenni nel mio saggio L’organizzazione sindacale, I, cit., specialmente pp. 65 sgg. (anche con indicazioni sui precedenti storici dell’ordinamento corporativo) e più in generale, le affermazioni, con implicita autocritica, di Mancini, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969, in «Politica del diritto», 1970, pp. 63 sgg.
[49] Così, con evidente preoccupazione, il commento di «Ragguaglio metallurgico», 1954, n. 7, p. 1 alla decisione del consiglio confederale istitutiva delle SAS.
[50] I dibattiti di quegli anni sulla distribuzione dei poteri in materia di contrattazione hanno come obiettivo storicamente più urgente di riaffermare in genere il ruolo contrattuale primario del sindacato di categoria nei riguardi alle strutture orizzontali, che allora lo detengono di fatto (vedi note 9-10), e a livello decentrato, la esclusiva competenza di questo rispetto alle CI e alle SAS. Il problema della ripartizione di competenze fra sindacati provinciali e strutture nazionali nell’ambito della contrattazione c.d. articolata diventa attuale solo coll’inizio degli anni ’60 con ravviarsi effettivo di questa. Ma la concezione della struttura contrattuale cui si accenna nel testo risulta implicitamente fin dalle tesi originarie della CISL, ove la differenziazione contrattuale appare sempre come il risultato di un decentramento di livelli, chiaramente programmato e diretto dall’alto. In tal senso sono, com’è noto, già i primi tentativi di realizzazione dell’idea nei riguardi della controparte: vedi, ad esempio, le posizioni espresse ufficialmente dalla confederazione nel 1961 alla Confindustria e allo stesso Ministro del lavoro, pubblicate in «Politica sindacale», 1961, pp. 240 sgg.; e altre indicazioni nei paragrafi seguenti.