Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2
Fatte salve le distorsioni applicative di cui si è detto, la giurisprudenza mostra di ricostruire correttamente i contorni dell’istituto delle mensilità aggiuntive tutte le volte che, riconosciutane la natura puramente contrattuale, lascia dipendere dall’accertamento della volontà delle parti collettive la decisione sull’inclusione di
{p. 182}un determinato emolumento nella relativa base di calcolo [267]
.
Non può tacersi, tuttavia, dell’esistenza di un orientamento, più volte espresso dalla Suprema Corte e ancora di recente ribadito dalle Sezioni Unite [268]
, secondo il quale, almeno nel settore industriale, la legittimità della disciplina pattizia delle mensilità aggiuntive andrebbe valutata alla stregua della nozione legale (onnicomprensiva) contenuta nel d.p.r. 28 luglio 1960, n. 1070, che ha recepito la normativa introdotta dall’accordo interconfederale 27 ottobre 1946.
Tale orientamento appare assai discutibile sia perché misconosce, di fatto, la natura contrattuale dell’istituto, comprimendo la libertà delle parti collettive nella determinazione della sua base di calcolo, sia perché basato sulla valorizzazione di una di quelle norme emanate ai sensi della legge Vigorelli che la stessa Corte, con diverse argomentazioni, ha devitalizzato per altri aspetti di disciplina del rapporto di lavoro [269]
.
Nel caso in esame, in particolare, senza ricorrere all’estremo di negare carattere di legge alla normativa del decreto, si potrebbe opportunamente richiamare il criterio della comparazione, per salvaguardare le legittimità della disciplina collettiva non solo quando essa preveda mensilità ulteriori oltre la tredicesima, ma anche quando il complesso del trattamento economico (di cui la tredicesima, ovviamente, è parte) risulti globalmente più favorevole.
Il recente indirizzo assunto dalle Sezioni Unite rispetto all’insieme della materia in esame si mostra criticabile per più versi. Utilizzando la normativa dei decreti solo con riferimento al settore industriale e negandole ogni valore nel settore commerciale [270]
; {p. 183}applicando la nozione di «retribuzione globale di fatto» contenuta nell’accordo interconfederale ai fini del calcolo della gratifica natalizia e del compenso feriale soltanto alla prima, le Sezioni Unite sembrano essersi avvolte in un ginepraio di contraddizioni.
Soltanto formalmente, inoltre, esse si richiamano all’indirizzo espresso da una precedente, e ben più apprezzabile, decisione [271]
. Liberalizzando la nozione di retribuzione ai fini di un istituto legale (ferie) e irrigidendola per un istituto contrattuale (tredicesima), ne capovolgono, in realtà, l’ispirazione di fondo, apportando, nella delicata problematica, un obbiettivo contributo alla confusione.
Da ultimo solo un cenno merita l’ipotesi, prospettata in dottrina, che la disciplina collettiva delle mensilità aggiuntive sia espressa in termini tanto generici da rendere «poco agevole la ricognizione della volontà negoziale» [272]
in ordine ai criteri di computo.
Rispetto a tale eventualità, sicuramente residuale se non proprio inesistente [273]
, è stata sostenuta l’opportunità di espungere dal calcolo delle mensilità aggiuntive le indennità estrinseche, legate a particolari modalità ambientali o temporali della prestazione. La soluzione non sembra convincente. Essa risulta basata, ancora una volta, sull’utilizzo surrettizio, e incongruo, di categorie economiche, per identificare compensi, cosiddetti estrinseci, che si vorrebbe, in buona sostanza, estranei al valore di scambio della forza-lavoro.
Applicabile, nei limiti che si dirà (si v. infra, par. 9), alla diversa tematica dell’irriducibilità della retribuzione indotta dall’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, essa non può essere elevata al rango di principio interpretativo generale, in assenza di positivi riscontri nella contrattualistica o in norme di legge.
Anche con riguardo a tali fattispecie marginali, piuttosto, pare adeguato il richiamo alla funzione selettiva esercitata dal criterio di continuità di corresponsione, temperato, com’è ovvio e fre{p. 184}quentemente previsto nei contratti collettivi [274]
, dall’esclusione dalla base di calcolo delle mensilità aggiuntive di altri emolumenti corrisposti su base annua ed erogati, come le mensilità aggiuntive, in ragione della sussistenza del rapporto di lavoro.
Le osservazioni svolte a proposito delle mensilità aggiuntive appaiono estensibili all’altro tipico, e più rilevante, istituto di origine contrattuale, l’integrazione dell’indennità di malattia.
La natura retributiva dell’emolumento, sostenuta soprattutto in dottrina [275]
e, solo tardivamente, riconosciuta anche dalla Suprema Corte [276]
, non permette di individuare alcun criterio interpretativo delle relative discipline collettive. Decisiva ai fini dell’assoggettabilità di tali prestazioni a contribuzione previdenziale [277]
, da essa non può trarsi nessuna ulteriore deduzione in ordine alla quantificazione delle stesse, che resta di pertinenza esclusiva della contrattazione.
L’affermazione giurisprudenziale secondo la quale «in ogni caso in cui dalla legge è attribuito al lavoratore il diritto ad ottenere la retribuzione» essa andrebbe calcolata secondo il criterio tracciato dall’art. 2121 cod. civ., «anche a prescindere dalla previsione che in tal senso sia fatta dai contratti collettivi e individuali» [278]
, costituisce, con riguardo all’istituto in esame,un’evidente {p. 185}forzatura, che ne deforma l’esatta configurazione giuridica. Una volta che la legge abbia assicurato al lavoratore ammalato prestazioni economiche in forma previdenziale, nessuna obbligazione di contenuto patrimoniale, infatti, può addossarsi al datore di lavoro in base all’art. 2110 cod. civ.
In assenza di una disposizione quale quella dell’art. 6 r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825 per gli impiegati, i trattamenti economici di malattia a favore degli operai, se non previsti dai contratti collettivi, non sarebbero dovuti. Essi sono stati introdotti relativamente tardi nella contrattazione [279]
, la quale, arbitra dell’an, va conseguentemente considerata libera da vincoli legali anche in ordine alla determinazione del quantum.
Vanno condivise, pertanto, quelle decisioni che lasciano dipendere l’inclusione, o meno, di un determinato emolumento nella base di calcolo dell’integrazione dell’indennità di malattia dall’analisi della volontà contrattuale [280]
. Non sembra inopportuno, peraltro, sottolineare come, anche con riferimento a questo istituto, tale volontà non sempre sia espressa in termini inequivoci, o, comunque, con formulazioni di significato costante nell’insieme della contrattualistica. Il ricorso alla nozione di retribuzione normale, frequente nelle discipline contrattuali dell’integrazione dell’indennità di malattia, va interpretato, ad esempio, in senso ristretto all’interno del ccnl dell’edilizia (dove l’espressione risulta comprensiva di paga base di fatto, contingenza e indennità territoriale di settore); in un’accezione più ampia nel contratto dei tessili, che vi lascia rientrare esplicitamente anche le maggiorazioni per lavoro notturno e a squadre [281]
. Anche per questa via, in altre parole, risulta confermato il rilievo, posto a premessa dell’intera indagine, a proposito dell’impossibilità di ricostruzioni astratte e {p. 186}generalizzanti, avulse dall’interpretazione della singola disposizione nel contesto di specifici assetti negoziali [282]
.
L’intenzione di assicurare al lavoratore ammalato lo stesso trattamento che gli sarebbe stato corrisposto in caso di regolare esecuzione della prestazione lavorativa, talvolta arbitrariamente rintracciata nella norma dell’art. 2110 cod. civ., può essere correttamente affermata solo a fronte di conformi disposizioni collettive. Quando la disciplina contrattuale sia interpretabile nel senso che «il complessivo trattamento che il lavoratore ammalato deve ricevere sia uguale a quello che avrebbe percepito se avesse prestato il lavoro» [283]
, come pure quando essa faccia riferimento, per quantificare il trattamento economico di malattia, alla retribuzione [284]
, senza ulteriori determinazioni, appare pertinente, ancora una volta, il richiamo alla continuità di corresponsione quale criterio selettivo degli elementi computabili. Con l’avvertenza, peraltro, che in questo caso, come già si è visto per la retribuzione dei giorni festivi, l’uso di tale criterio interpretativo andrà modulato in modo da non condurre a risultati contrastanti con l’individuata ratio delle pattuizioni collettive.
L’indennità per lavoro notturno, per esemplificare l’affermazione, andrà così computata nella base di calcolo del trattamento di malattia del lavoratore adibito esclusivamente a prestazioni in turno di notte. Se trattasi, invece, di indennità per prestazioni di lavoro notturno a turni avvicendati, se ne dovrà tenere conto solo in corrispondenza dei giorni (di malattia) che, se lavorati, ne avrebbero determinato la corresponsione. La soluzione, per questo ed altri compensi legati a specifiche modalità dell’attività lavorativa, trova riscontro nei contratti collettivi, prevedendosene, ad
{p. 187}esempio, l’erogazione durante la malattia qualora le relative prestazioni «siano state già programmate prima dell’insorgere della stessa» [285]
.
Note
[267] Si v., per tutte, Cass., 12 marzo 1980, n. 1656, in «Arch. civ.», 1980, p. 737; Cass., 23 marzo 1981, n. 2433, in «Mass. giur. lav.», 1982, p. 485; Cass., 14 gennaio 1983, n. 287, in «Foro it.», 1983, I, c. 1273.
[268] Cass., 1081/1984, citata in nota 200. Nello stesso senso precedentemente si v., per tutte, Cass., 3 aprile 1980, n. 2198, in «Arch. civ.», 1980, p. 846; Cass., 24 giugno 1981, n. 4119, in «Foro it.», 1982, I, c. 2184. In dottrina cfr. Adda, Computo della tredicesima mensilità: orientamenti giurisprudenziali e nuove tendenze della Cassazione, in « Rass. giur. Enel », 1982, p. 455 ss.
[269] In argomento cfr., per tutti, Tosi, op. ult. cit., p. 523; Treu, Giurisprudenza della Corte di Cassazione, cit., p. 449. Si v. anche infra, cap. III, parag. 3.2.
[270] Come ha fatto Cass., 1085/1984, che pure, coerentemente, avrebbe potuto richiamare la nozione di retribuzione ai fini della tredicesima contenuta nel ccnl 28 giugno 1958, recepito nel d.p.r. 2 gennaio 1962, n. 481. Sul punto cfr. anche Marazza, Tredicesima mensilità, principio di omnicomprensività e contrattazione collettiva estesa erga omnes, in «Dir. lav.», 1984, I, p. 530 ss.
[271] Cass., S.U., 7 novembre 1981, n. 5887, in «Mass. giur. lav.», 1982, p. 44.
[272] Bianchi D’Urso, op. ult. cit., p. 169.
[273] Non a caso la dottrina ricordata evita di accompagnare l’argomentazione con puntuali riferimenti a discipline collettive, avvalorando la sensazione che la questione sia sostanzialmente di sapore accademico.
[274] Si ricordino ancora, in proposito, le nozioni generali di retribuzione contenute nel contratto dei tessili e nella parte impiegati del contratto degli edili.
[275] Cfr. Treu, Onerosità, cit., p. 195 ss., 257 ss. L’opposta, e tradizionale, tesi, che attribuisce natura previdenziale alle prestazioni economiche di malattia del datore di lavoro, è stata di recente riproposta da Vaccaro, La sospensione del rapporto di lavoro, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1983, p. 166 ss.
[276] Cfr., per tutte, Cass., 25 novembre 1976, n. 4476, in «Foro it.», 1977, I, c. 879; Cass., 17 novembre 1977, n. 5509, in «Probl. Sicur. Soc.», 1978, p. 377; Cass., 8 aprile 1978, n. 1641, in «Arch. civ.», 1978, p. 1127.
[277] Sul punto si v. retro, par. 2, spec. nota 34. Il riferimento alla natura giuridica dell’integrazione dell’indennità di malattia è utilizzato, ad esempio, da Pret. Pavia, 8 ottobre 1980, in «Foro it.», 1981, I, c. 2329, per decidere in senso positivo a proposito dell’inserimento nel relativo parametro di calcolo dell’indennità di lavoro notturno, sulla base dell’assunto che «se l’integrazione malattia è retribuzione, ben si spiega che essa venga determinata in base a tutti gli elementi retributivi continuativamente corrisposti». Ma l’argomentazione, nel complesso della motivazione, per il resto correttamente basata sull’interpretazione della disciplina collettiva, risulta palesemente ridondante.
[278] Cass., n. 509/1978, citata in nota 196.
[279] Nel ccnl 15 dicembre 1966 per gli operai metalmeccanici, nel rinnovo del 1970 per i tessili, in quello del ’73 per gli edili.
[280] L’incidenza dell’indennità per lavoro notturno sul trattamento di malattia, ad esempio, è affermata da Pret. Pavia, citata in nota 271, in base all’interpretazione della disciplina collettiva dei metalmeccanici; negata da Pret. Milano, 17 luglio 1978, in «Orient. giur. lav.», 1978, p. 821, con riferimento alla normativa contrattuale per gli addetti all’industria alimentare.
[281] Si v., rispettivamente, l’allegato («Disciplina delle prestazioni delle Casse Edili») al ccnl 31 gennaio 1973 per i dipendenti dalle imprese edili e l’art. 16 - pane operai del ccnl 20 luglio 1973 per gli addetti alle industrie tessili varie.
[282] Si v. retro, par. 4.
[283] Così Pret. Pavia, citata in nota 271. La stessa interpretazione, sempre con riferimento alla normativa dei metalmeccanici, si trova già in Pret. Pavia, 5 novembre 1976, in «Orient. giur. lav.», 1977, p. 138, la quale, peraltro, trattandosi di lavoratore in Cassa integrazione, ha ritenuto sussistente l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere soltanto la differenza tra trattamento di Cig e trattamento di malattia, stante «la considerazione che la ratio delle disposizioni contrattuali è nel non far incidere, in nessun modo, il rischio degli eventi “malattia” o “infortunio” sui lavoratori».
[284] Cfr. Cass., 3 aprile 1980, n. 2198, in «Arch. civ.», 1980, p. 845, con riferimento all’incidenza sul trattamento di malattia dell’indennità di tavolo di commutazione corrisposta ai dipendenti della SIP.
[285] Cfr. ancora l’art. 16 - parte operai del ccnl 20 luglio 1973 per gli addetti alle industrie tessili varie. In dottrina il riferimento alla continuità di corresponsione in funzione selettiva degli elementi retributivi computabili nel trattamento di malattia è accolto da Vaccaro, op. cit., p. 201.