Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2
Anche a prescindere dal principio di parità, del resto, sono rintracciabili nell’ordinamento sufficienti indici normativi che avvalorano l’opinione che propende a commisurare la retribuzione feriale all’integrale trattamento economico normalmente percepito. Per un verso il riferimento generico alla retribuzione contenuto nella disciplina codicistica e costituzionale delle ferie non legittima la conclusione che si sia voluto abbandonare la stessa alla disponibilità dei privati ed alle loro previsioni contrattuali» [189]
. Esso, al contrario, sembra evocare la nozione più lata di retribuzione-corrispettivo [190]
. Per altro verso esistono norme di legge, in relazione a fattispecie specifiche di riposo feriale, abbastanza chiaramente ispirate a una nozione onnicomprensiva di retribuzione: così è disposto dalla legge 2 aprile 1958, n. 339 per il trattamento economico feriale del personale domestico, come pure dal r.d.l. 24 giugno 1937, n. 1334 in ordine al congedo matrimoniale degli impiegati [191]
. Più recentemente la commisurazione del trattamento feriale alla retribuzione normalmente percepita (in essa compreso finanche il controvalore delle prestazioni in natura) risulta imposta dall’art. 7 della legge 10 aprile 1981, n. 157, con la quale si è dato ratifica ed esecuzione alla convenzione 24 giugno 1970, n. 132 dell’OIL. Significativamente di tale disposi
{p. 157}zione è già stata fatta applicazione in giurisprudenza, in fattispecie relative al computo di straordinario continuativo nella retribuzione feriale di operai metalmeccanici [192]
.
L’ispirazione comune alle norme di legge ricordate sembra essere quella di garantire, durante il periodo feriale, la conservazione del medesimo reddito di cui il lavoratore avrebbe usufruito qualora avesse prestato servizio. Dal godimento delle ferie, in altre parole, non deve discendere per il singolo, secondo l’intenzione del legislatore, alcun nocumento economico (neanche marginale). Il trattamento retributivo delle ferie, d’altro canto, non costituisce una gratificazione liberale, arbitrariamente quantificabile. Imposto dalla legge, esso matura, così come la relativa durata, giorno per giorno durante lo svolgimento della prestazione del singolo nell’anno lavorativo [193]
: è del tutto ragionevole che maturi in relazione a ciascuno degli elementi salariali in fatto normalmente percepiti (indennità accessorie ovviamente comprese).
Siffatta caratteristica della retribuzione feriale è riconosciuta anche in ordinamenti stranieri. In quello francese, ad esempio, nonostante sorprendenti affermazioni contrarie [194]
, la legge è chiarissima nel commisurare il compenso feriale alla retribuzione individuale, da intendersi comprensiva «oltre che del salario base, di tutti gli accessori versati in contropartita del lavoro» [195]
, inclusi quelli per lavoro straordinario continuativo [196]
.
Se la volontà del legislatore, del resto, fosse stata effettivamente orientata nel senso di disegnare un parametro retributivo circoscritto in relazione al trattamento feriale, essa avrebbe dovuto tradursi in disposizioni normative inequivoche, analogamente a quanto è stato fatto nel pubblico impiego, dove l’esclusione di indennità accessorie e compensi per lavoro straordinario dalla base di calcolo della retribuzione feriale risulta espressamente sancita [197]
, con disposizione di cui non è troppo difficile ipotizzare la {p. 158}ratio (e condividere l’opportunità) in relazione a un settore di rapporti di lavoro nel quale, quanto meno sino al riconoscimento della legittimità del metodo della contrattazione collettiva, quelle indennità e quei compensi costituivano caratteristica patologica del sistema retributivo, erogati sovente a fronte di prestazioni di dubbia consistenza [198]
.
Nel settore del lavoro privato l’assenza di indicazioni legislative restrittive, ben lungi dal legittimare qualsivoglia (privata) quantificazione del trattamento economico feriale, va invece interpretata, come si diceva, in funzione dell’obbiettivo di assicurare al singolo una costanza di reddito. A ben vedere, qui sta il nodo della specifica problematica. Chi, dall’assenza di una nozione legale specifica di retribuzione feriale, ha desunto l’esistenza di una delega piena in materia all’autonomia collettiva, sembra aver frainteso il senso della disciplina positiva. Di quella nozione specifica, infatti, non v’è alcun bisogno, giacché l’obbiettivo di garanzia del reddito può essere soddisfatto solo ricorrendo alla nozione generale di retribuzione-corrispettivo.
L’ispirazione della legge in tema di retribuzione feriale è stata esattamente percepita, per lungo tempo, dalla giurisprudenza largamente prevalente, di merito e di legittimità [199]
. Naturalmente singole argomentazioni utilizzate dai giudici per sostenere l’opzione di fondo possono apparire discutibili, come quella che ritiene di dover fare applicazione di un generale, e non ulteriormente specificato, principio di onnicomprensività retributiva [200]
, o l’altra, ridondante e sicuramente non necessaria, secondo la quale la conservazione dell’integrale trattamento economico durante le ferie si imporrebbe per garantire effettività al godimento delle {p. 159}stesse [201]
. Resta, comunque, la positività di un risultato interpretativo alla stregua del quale il diritto irrinunciabile ad un periodo di riposo annuale viene ritenuto «inseparabile dalla conservazione del trattamento retributivo, cioè dell’ammontare complessivo della retribuzione su cui il lavoratore fa di norma ragionevole affidamento» [202]
.
Più recentemente l’orientamento sostenuto dall’opinione dottrinale sin qui criticata sembra aver fatto breccia presso i giudici della Suprema Corte. Con un gruppo di venti sentenze [203]
le Sezioni Unite hanno affrontato i diversi aspetti della problematica inerente alla nozione giuridica di retribuzione, sposando, per quanto attiene in particolare alla questione della retribuzione feriale, la tesi che reputa sovrane in materia, in via esclusiva, le determinazioni dell’autonomia collettiva [204]
.
La nuova posizione della Cassazione suscita ampie riserve non soltanto per essersi distaccata da quella che continua ad apparire la più plausibile intenzione del legislatore, ma anche per alcune interne contraddizioni, che mette conto evidenziare. Nel mentre si nega l’esistenza di vincoli legali a proposito del trattamento retributivo delle ferie, si ribadisce la convinzione, riguardo ad un istituto di tipica derivazione negoziale come la tredicesima mensilità, della sussistenza di una nozione legale inderogabile onnicomprensiva, desunta dall’art. 17 dell’accordo interconfederale 27 ottobre 1946 (poi recepito nel d.p.r. 28 luglio 1960, n. 1070) [205]
, obliterando del tutto che l’identica nozione risulta uti{p. 160}lizzata, nel medesimo accordo interconfederale, anche ai fini della retribuzione feriale [206]
.
Più in generale sembra incongruo affermare, ancora una volta, la validità di una nozione generale di retribuzione, intesa come «tutto quanto il lavoratore riceva dal datore di lavoro non solo in cambio della sua prestazione di lavoro ma anche a causa della sua soggezione personale nel rapporto» [207]
, per poi contestare la possibilità di utilizzare tale nozione lata di retribuzione-corrispettivo tutte le volte che norme di legge facciano riferimento alla retribuzione senza ulteriori specificazioni.
Il nuovo indirizzo della Cassazione si spiega, probabilmente, in ragione di un palese fraintendimento del senso in cui, in materia di trattamento economico feriale, sia legittimo (e doveroso) fare riferimento alla nozione (ovviamente onnicomprensiva) di retribuzione-corrispettivo. Eppure il nocciolo del problema era già stato, da molto tempo, individuato con sufficiente chiarezza dalla stessa Corte, quando, con riferimento alla retribuzione feriale, aveva ritenuto di escludere dalla relativa base di calcolo le voci retributive corrisposte con cadenza annuale, per evitare duplicazioni di trattamento irrazionali [208]
.
Quest’ipotesi ricostruttiva appare del tutto congrua. È evidente, infatti, che elementi retributivi erogati in ragione di anno (quali mensilità aggiuntive o premi di produzione) per un verso tengono già conto, di per sé, della quota imputabile a retribuzione feriale; per altro verso costituiscono un trattamento ulteriore, esorbitante rispetto all’obbiettivo di assicurare una costanza di reddito al lavoratore in ferie.{p. 161}
La soluzione appare così ragionevole da aver trovato esplicita sanzione legislativa in ordinamenti stranieri [209]
; da noi è accolta nei contratti collettivi tecnicamente più raffinati [210]
.
Quanto sin qui detto permette di formulare alcuni rilievi conclusivi. Se è vero che la retribuzione feriale va commisurata, in linea generale, alla retribuzione-corrispettivo, è pur vero che quest’ultima va assunta in modo da evitare sovrapposizioni irragionevoli. Il che appare in tutta evidenza se si riflette sul fatto che la stessa retribuzione feriale fa parte della retribuzione-corrispettivo in senso lato (ma non può ovviamente rientrare nella base di calcolo di se stessa). La retribuzione, in altre parole, consta di una parte diretta, corrisposta alle singole scadenze mensili (o quindicinali, o settimanali), e di una parte indiretta, corrisposta a scadenze più ampie, ed erogata in ragione del coinvolgimento della persona nel rapporto di lavoro. La garanzia di costanza del reddito che il trattamento economico feriale deve assicurare riguarda soltanto (tutti) gli elementi della prima, non quelli della seconda. Niente di più, ma anche niente di meno.
Alla luce di questo criterio-guida va ovviamente risolto in senso positivo il dibattuto problema della computabilità nella retribuzione feriale delle maggiorazioni per lavoro notturno a turni e dei compensi per straordinario fisso o continuativo: in entrambi i casi, infatti, si tratta di componenti della parte diretta della retribuzione [211]
.
{p. 162}
Note
[189] Briguori Spina, op. cit., p. 282.
[190] Nello stesso senso sembra doversi interpretare il riferimento alla «retribuzione» contenuto nel r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825 (art. 7), per quantificare il trattamento economico feriale degli impiegati. Tant’è vero che il successivo art. 10, utilizzando l’espressione più ristretta «stipendio», sente la necessità di specificare che ad esso sono equiparati, ai fini del computo nella base di calcolo dell’indennità di anzianità, tutte le indennità continuative e di ammontare determinato, le provvigioni, i premi di produzione e le partecipazioni agli utili.
[191] A norma del r.d.l. 24 giugno 1937, n. 1334 «durante il congedo straordinario l’impiegato è considerato ad ogni effetto in attività di servizio». La formula legislativa è interpretata in senso restrittivo, ma, in verità, senza argomentazioni, da Mannacio, op. cit., p. 371; nel senso del testo si v. invece Tosi, op. cit., p. 56.
[192] Pret. Legnano, 10 febbraio 1984, in «Orient. giur. lav.», 1984, p. 451; Pret. Torino, 10 dicembre 1984, in «Lavoro ’80», 1985, p. 585.
[193] Proporzionalmente alla durata della prestazione, anche se al di fuori di un nesso di rigida connessione con le singole unità di lavoro rese dal lavoratore: in argomento cfr., con diffusi rilievi, Treu, Onerosità, cit., p. 294 ss.
[194] Cfr. Bianchi D’Urso, op. ult. cit., p. 132.
[195] Camerlynck e Lyon-Caen, Droit du travail, Parigi, Dalloz, 198010, p. 327.
[196] Ivi, p. 327. Cfr. anche Lyon-Caen, Les salaires, cit., p. 192.
[197] Art. 40 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3.
[198] In argomento si vedano i rilievi svolti retro, par. 1.
[199] Si v., fra le più recenti, Trib. Milano, 28 novembre 1981, in «Orient. giur. lav.», 1982, p. 431; Trib. Parma, 7 luglio 1982, in «Riv. it. dir. lav.», 1983, II, p. 66; Cass., 6 novembre 1982, n. 5843, in «Foro it.», 1983, I, c. 1276; Cass., 14 dicembre 1982, n. 6892, in «Giust. civ.», 1983, I, p. 2019 (con nota adesiva di Meucci). Anche in giurisprudenza, peraltro, sono sempre esistite posizioni più restrittive: oltre alle sentenze citate in nota 179 si v., per tutte, Trib. Roma, 22 gennaio 1980, in «Foro it.», 1980, I,c. 701; Trib. Bologna, 4 maggio 1982, in «Riv. it. dir. lav.», 1983, II, p. 66; Trib. Milano, 29 gennaio 1983, ivi, 1983, II, p. 612; Cass., 15 luglio 1982, n. 4148, in «Foro it.», 1982, I, c. 2445.
[200] Così la nota Cass., 3 febbraio 1978, n. 509, in «Dir. lav.», 1978, II, p. 335 (con nota contraria di Martinengo).
[201] In questo senso si v., per tutte, la pur pregevole sentenza del Pretore di Milano citata in nota 153.
[202] Così Cass., n. 3044/1981, citata in nota 153.
[203] Pubblicate e commentate da tutte le riviste di giurisprudenza del lavoro. Per citazioni specifiche si rimanda alle note seguenti.
[204] Cass., S.U., 13 febbraio 1984, n. 1081, in «Foro it.», 1984, I, c. 677 (esclude dal trattamento feriale l’indennità di disagio di turno); Cass., S.U., 13 febbraio 1984, n. 1075, ivi, c. 679 (esclude lo straordinario fisso praticato nel settore delle aziende tipografiche); Cass., S.LI., 13 febbraio 1984, n. 1069, ivi, c. 680 (esclude il contributo pasto previsto dal contratto collettivo per i dipendenti da aziende di credito). In senso analogo alla sentenza da ultimo citata si esprimono Cass., S.IL, 13 febbraio 1984, n. 1072, in «Riv. it. dir. lav.», 1984, II, p. 266; Cass., S.U., 13 febbraio 1984, n. 1076, in «Riv. giur. lav.», 1984, II, p. 43; Cass., S.U., 13 febbraio 1984, n. 1073, in «Mass. giur. lav.», 1984, p. 8; si v. anche Cass., 22 novembre 1984, n. 6041, in «Riv. it. dir. lav.», 1985, II, p. 3.
[205] Cass., S.U., n. 1081/1984, cit.
[206] Cfr., con pertinenti rilievi, Petroccelli e Zanello, Per una prima giuda alla lettura delle decisioni delle Sezioni Unite in materia di c. d. onnicomprensività della retribuzione, in «Riv. giur. lav.», 1984, II, p. 80. Con riferimento alla nozione di retribuzione feriale accolta nel citato accordo interconfederale Pret. Genova, 31 dicembre 1954, in «Riv. giur. lav.», 1955, II, p. 128, reputò invalido l’art. 29 del ccnl 18 gennaio 1950 per gli operai edili, «in quanto esclude dal computo alcuni elementi componenti la retribuzione globale di fatto». Più recentemente, il richiamo a tale nozione si ritrova in Trib. Bologna, 19 ottobre 1984, in «Lavoro ‘80», 1985, p. 239; Pret. Bologna, 11 dicembre 1984, ivi, p. 245.
[207] Così Cass., S.U., n. 1069/1984, cit.
[208] Cass., 9 settembre 1970, n. 1376, in «Foro it.», 1970, I, c. 2422; Cass., 22 giugno 1971, n. 1981, ivi, 1971, I, c. 1830: entrambe in relazione al premio di produzione previsto dalla disciplina collettiva dei metalmeccanici.
[209] Per quello francese si v. ancora Camerlynck e Lyon-Caen, op. cit., p. 328; per quello belga Geysen, op. cit., p. 365.
[210] Il contratto dei tessili eccettua dalla retribuzione di fatto, utilizzabile ai fini dei diversi istituti, «gli elementi retributivi a carattere continuativo che vengono corrisposti o di cui il lavoratore beneficia a scadenze superiori al mese»: tali elementi rientrano nella nozione contrattuale di «retribuzione globale di fatto» (così, da ultimo, l’art. 33 del ccnl 31 luglio 1983); il contratto collettivo per gli impiegati edili esclude dalla base di calcolo della retribuzione feriale i ratei della tredicesima, del premio annuo e del premio di fedeltà (si v. il combinato disposto degli art. 47 e 65 del ccnl 6 luglio 1983). Del resto anche la norma sulla nozione di retribuzione oraria contenuta nel contratto dei metalmeccanici e dichiarata valida anche ai fini dei vari istituti contrattuali (v. retro in nota 180) non comprende le voci retributive corrisposte con cadenza eccedente quella mensile.
[211] La ricostruzione proposta nel testo è esemplarmente rispecchiata, per quanto riguarda la computabilità delle percentuali di maggiorazione per lavoro notturno, dall’evoluzione normativa del contratto collettivo dei tessili. Questo contratto inizialmente prevedeva la computabilità nella retribuzione feriale delle sole maggiorazioni per lavoro notturno continuativo (in sintonia, peraltro, con la giurisprudenza dell’epoca: v. retro in nota 153). Successivamente ha adottato, a fini di computo della relativa maggiorazione sugli istituti, una nozione convenzionale di lavoro notturno continuativo, intendendo per tale quello prestato per almeno sette mesi nell’anno di maturazione del diritto (ferie o gratifica natalizia: art. 8 ccnl 31 gennaio 1962). Più recentemente si è ammessa la piena computabilità della maggiorazione in questione, anche se connessa a lavoro notturno a turni alternati, con una formulazione secondo la quale essa «verrà computata, agli effetti del trattamento per ferie e tredicesima mensilità, in ragione di tanti dodicesimi quanti sono stati — nell’anno di maturazione dei rispettivi istituti — i mesi nei quali vi è stata la corresponsione». La soluzione, accolta nell’art. 32 del ccnl 23 settembre 1976, sembra in linea con il prevalente orientamento giurisprudenziale (v. ancora retro in nota 153) e risulta sicuramente conforme al criterio di assicurare, anche durante le ferie, una costanza di reddito.