Note
  1. Cfr. Sellier, La fonction de négociation dans la codécision «simple» en Allemagne Fédérale, in «Droit social», 1972, pp. 487 s.
  2. Cfr. Giugni, L’evoluzione della contrattazione collettiva nelle industrie siderurgica e mineraria (1953-1963), Milano, 1964, p. 28.
  3. Cfr. Kahn-Freund, Labour and the Law, London, 1972, pp. 13, 74.
  4. Una traduzione italiana del nuovo Betriebsverfassungsgesetz del 19 gennaio 1972, corredata di un breve commento, è stata pubblicata da Nicolini, Il nuovo ordinamento introaziendale del lavoro nella R.F.T.,Padova, 1973. V. pure Luttringer, La réforme de la Constitution sociale de l’entreprise allemande, in «Droit social», 1973, pp. 69 s.
  5. Sellier, op. cit., p. 496, testo e nota 20.
  6. Caplat, Un tournant dans les relations sociales en Grande-Bretagne: la loi sur les relations industrielles de 1971, in «Droit social», 1973, p. 286.
  7. Cfr. Treu, Statuto dei lavoratori e organizzazione del lavoro, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1972, p. 1059.
  8. Cfr. Kahn-Freund, op. cit., p. 74.
  9. Mancini, Le rappresentanze sindacali aziendali nello statuto dei lavoratori, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1971, p. 811.
  10. Cfr. Spagnuolo Vigorita, Studi sul diritto tedesco del lavoro,Milano, 1961, p. 149.
  11. Secondo la formula di De Cristofaro, L’organizzazione spontanea dei lavoratori, Padova, 1972, p. 311, l’art. 19 dello statuto richiede un minimo di coordinamento che garantisca «a priori, e non in linea di mero fatto, la “egemonia” del sindacato» sulla rappresentanza costituita per iniziativa dei lavoratori.
  12. Questo rifiuto è stato teorizzato in un convegno di studi promosso dalla F.L.M. a Bologna nel luglio 1972. Gli atti, col titolo Potere sindacale e ordinamento giuridico, sono pubblicati dall’editore De Donato, Bari, 1973.
  13. In una situazione di (relativamente) scarsa adesione formale dei lavoratori al sindacato, la formula del patto federativo rovescia la formula originaria di Gramsci, L’ordine nuovo, in Opere, vol. IX, Torino, 1970, p. 133, secondo cui «i rapporti tra sindacato e consiglio non possono essere stabiliti da altro legame che non sia questo: la maggioranza o una parte cospicua degli elettori del consiglio sono organizzati nel sindacato».
  14. Cfr. Luttringer, op. cit., p. 73.
  15. Cfr. Mancini, op. cit., pp. 769 s. Sotto questo profilo la questione di legittimità costituzionale della legge italiana è stata dichiarata infondata da Corte cost. 6 marzo 1974, n. 54, in Foro it., 1974, I, c. 963.
  16. Treu, Condotta antisindacale e atti discriminatori, Milano, 1974, p. 93 (e anche in «Riv. giur. lav.» 1973, I, p. 477).
  17. Cfr. il Rapport VIII (1) alla O.I.T., Protection des représentants des travailleurs dans l’entreprise et facilités à leur accorder, edito dal B.I.T., Genève, 1969, p. 48. Non è pervenuta una relazione nazionale per gli Usa.
  18. Si sostiene da qualcuno che, nel riconoscere i consigli di fabbrica come propri organismi di base, l’associazione sindacale conferirebbe alle loro deliberazioni efficacia formalmente vincolante all’interno del proprio ordinamento, realizzando così una rottura del metodo associativo (Treu, Sindacato e rappresentanze aziendali, Bologna, 1971, p. 177). Ma non si comprende come la scelta politico-organizzativa del sindacato di sostituire alle sezioni sindacali aziendali i consigli dei delegati possa qualificarsi sul piano giuridico-formale in termini di equiparazione, quanto alla loro efficacia giuridica, delle deliberazioni dei consigli alle deliberazioni degli organi eletti dagli iscritti in seno all’associazione. La formazione della volontà di questa è una prerogativa indeclinabile, secondo le rispettive competenze, dell’assemblea dei soci e dell’organo amministrativo, e dunque non può essere rinviata a fonti esterne di determinazione formate dalla volontà di terzi. Tutt’al più si può parlare di un impegno politico dell’associazione di integrare nelle deliberazioni dei propri organi, eletti dagli iscritti ai livelli territoriali esterni, le sintesi primarie di volontà formulate dagli organismi di base, costituiti nei luoghi di lavoro fuori dalle strutture associative del sindacato.
  19. Mancini, Lo statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969,in «Politica del diritto», 1970, p. 75.
  20. Secondo una risoluzione adottata nell’aprile 1971 dalla Federazione dei lavoratori metallurgici olandesi, «le condizioni di lavoro non devono essere regolate sul piano centrale che nella misura in cui ciò è necessario; per il resto, gli accordi devono essere conclusi singolarmente per ciascuna impresa» (v. la relazione nazionale).
  21. Cfr. Giugni, Il sindacato fra contratti e riforme, Bari, 1973, p. 25.
  22. Cfr. Despax, La réforme du droit des conventions collectives de travail, in «Droit social», 1971, pp. 537 s.
  23. Cfr. Kahn-Freund, op. cit., pp. 131, 134; e dello stesso autore, Intergroup conflicts and their settlement, nel volume collettaneo Collective Bargaining, a cura di Flanders, London, 1969, pp. 79 s.
  24. Non direi che la concezione del contratto collettivo come contratto giuridicamente vincolante per una sola parte (gli imprenditori) trovi un fondamento positivo, fuori dal diritto comune, nell’art. 40 Cost., che garantisce ai lavoratori il diritto di sciopero. Chiamare l’art. 40 a «presiedere alla costruzione del concetto di contratto collettivo» implica un’inversione di metodo. L’art. 40 non regola gli effetti del contratto collettivo, ma al contrario dipende dalla questione della presenza, tra questi effetti, del dovere di pace l’individuazione di un limite del diritto di sciopero. Del resto, nemmeno Giugni e Mancini, Movimento sindacale e contrattazione collettiva, in Atti, cit., (supra, nota 12), pp. 103 s., si fidano troppo di un simile argomento, e preferiscono impostare la loro tesi sul terreno dell’interpretazione della volontà delle parti. Ma daccapo: o si approda alla concezione del diritto inglese, secondo la quale il contratto collettivo è caratterizzato dalla volontà negativa di entrambe le parti di non impegnarsi giuridicamente, così che l’obbligo giuridico di pace non interviene in alcun modo a qualificare la sua funzione; oppure si finisce con l’accreditare una (a dir poco) singolare nozione di contratto collettivo, nel quale ima parte, mentre si attende e pretende che l’altra si impegni, rifiuta di impegnarsi a sua volta: insomma un contratto regolato per una parte (gli imprenditori) dal «diritto borghese» (cioè dal diritto dello Stato) ispirato al principio poeta sunt servando, per l’altra (il sindacato) dal «diritto rivoluzionario di classe», che considera quel principio una mistificazione.
  25. «Per i Webb il contratto collettivo era esattamente ciò che significano le parole: un equivalente collettivo e alternativo del contratto individuale»: così Flanders, in Collective Bargaining, cit., p. 13.
  26. Cfr. Kahn-Freund, Labour and the Law, pp. 56 s.
  27. Cfr. Giugni, I limiti legali dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in «Riv. dir. lav.», 1958, I, pp. 2 s.
  28. Come proponeva saggiamente Mancini, Libertà sindacale e contratto collettivo erga omnes, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1963, p. 595.
  29. Cfr. Kahn-Freund, op. ult. cit., pp. 74 s.
  30. Secondo la legge del 1971, la tutela delle nonne generali antidiscriminatorie era limitata ai lavoratori affiliati a una organizzazione sindacale registrata o comunque attivi per conto di essa. Raramente, perciò, avrebbe potuto essere invocata dagli shop stewards, dal momento che la maggioranza delle trade unions aveva boicottato la legge decidendo di non farsi registrare.
  31. In caso di rifiuto dell’autorizzazione amministrativa, il datore di lavoro era ammesso dalla giurisprudenza a domandare la risoluzione giudiziale del contratto di lavoro secondo le regole del codice civile. Questa giurisprudenza, che aveva sollevato vive proteste da parte dei sindacati, è stata abbandonata dalla Corte di cassazione con due sentenze del 21 giugno 1974, che segnano un rafforzamento ulteriore dell’autonomia del diritto del lavoro.
  32. La teoria della democrazia pluralista non solo è un modello di sviluppo delle relazioni industriali diverso dal progetto originario delineato nella seconda parte dell’art. 39 e nell’art. 46 Cost., ma sottende anche una concezione della libertà sindacale meno assoluta di quella sancita nel primo comma dell’art. 39, e funzionalizzata alle esigenze di regolamento dei conflitti tra i gruppi.