Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c8
In Italia l’accordo interconfederale istitutivo delle commissioni interne nell’industria esclude testualmente la loro competenza a trattare con la direzione dell’impresa questioni concernenti l’introduzione di nuove condizioni di lavoro. Tuttavia, negli anni successivi al 1953 il rapido {p. 213}processo di industrializzazione del paese determinò l’interesse delle imprese tecnologicamente più avanzate ad attribuire alla clausola un significato diverso dall’intenzione della controparte
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. Dal punto di vista delle centrali sindacali essa aveva il valore di un divieto sancito a garanzia del monopolio sindacale della contrattazione collettiva a qualsiasi livello; i datori di lavoro la interpretarono, invece, semplicemente come una clausola che escludeva per essi l’obbligo di trattare con le commissioni interne. Questa interpretazione, per la verità discutibile, prevalse nella prassi. Nella misura in cui ritennero opportuno concedere ai lavoratori una partecipazione ai benefici del progresso tecnologico, i datori di lavoro stipularono numerosi accordi aziendali con le commissioni interne, spesso «informali», talvolta, soprattutto dopo il 1958, anche «formali». Ma, non appena le nuove condizioni del mercato del lavoro e il mutato clima politico modificarono la bilancia del potere, i sindacati pretesero di sostituirsi alle commissioni interne nella contrattazione aziendale. Questa tendenza, favorita anche dall’inserimento nei nuovi contratti collettivi nazionali di clausole obbligatorie che riconoscevano ai sindacati stipulanti funzioni di istanza di secondo grado per le controversie circa l’interpretazione e l’applicazione del contratto non risolte in primo grado dalle commissioni interne, fu all’origine di un nuovo corso delle relazioni industriali, che si stabilì in Italia a partire dal 1962. Fu introdotta, prima nel settore dell’industria metallurgica, poi anche in altri settori, la cosiddetta contrattazione articolata, cioè un sistema di decentramento della contrattazione collettiva regolato dal contratto nazionale mediante clausole di rinvio, per certi argomenti, a una contrattazione ulteriore a livelli inferiori, e in particolare al livello delle singole aziende. Il nuovo modello non modifica l’assetto istituzionale delle imprese, dal quale il sindacato rimane escluso, ma
¶{p. 214}riconosce alle associazioni territoriali la qualità esclusiva di agente contrattuale anche al livello aziendale. La contrattazione collettiva a questo livello non è ancora l’espressione dinamico-operativa di una nuova organizzazione sindacale, fondata su strutture di base interne alle unità produttive, ma è soltanto un’articolazione del potere contrattuale delle centrali sindacali, destinata a promuovere una crescita dei salari proporzionale agli incrementi di redditività delle singole aziende e non più frenata dai condizionamenti delle imprese marginali. La contropartita per gli imprenditori fu un impegno di tregua sindacale per tutte le questioni escluse dal rinvio ai livelli contrattuali inferiori.
Uno sviluppo analogo, ma che non pare abbia avuto sbocchi in accordi quadro generali, è segnalato dalla relazione francese. Già nel 1955 la «Regie Renault», successivamente imitata da altre imprese, aveva proposto ai sindacati la negoziazione di un contratto d’impresa, ottenendo in cambio un patto di pace sindacale e l’accettazione di alcuni limiti all’esercizio del diritto di sciopero.
2. Paesi scandinavi e Gran Bretagna.
Il principio della neutralizzazione sindacale dell’impresa è estraneo alla tradizione dei paesi scandinavi. In Svezia i consigli di azienda sono una forma di presenza del sindacato, definita come «un mezzo di informazione e di consultazione tra la direzione dell’impresa e i lavoratori attraverso la loro organizzazione sindacale». In Finlandia la conciliazione delle controversie relative all’interpretazione e all’applicazione del contratto collettivo vigente nelle unità produttive è trattata da delegati eletti dai lavoratori organizzati nel sindacato, e quindi investiti, mediante la ratifica dell’elezione da parte del sindacato, della qualità di organi di questo.
In Gran Bretagna la penetrazione del sindacato nelle imprese era stata promossa, già durante la prima guerra mondiale, dal movimento «incostituzionale» degli shop stewards, eletti nei luoghi di lavoro dai lavoratori iscritti alle trade unions e successivamente assorbiti da queste. ¶{p. 215}Più tardi, negli ultimi anni tra le due guerre, durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, era prevalso un altro modo di presenza del sindacato nelle unità produttive, costituito dal sistema della joint consultation, nella quale il sindacato era impegnato in prima persona, mentre dalla sua struttura formale restavano esclusi i delegati di reparto. Ma a partire dal 1955 questo sistema comincia a declinare e corrispondentemente aumentano il numero e l’influenza degli shop stewards, che instaurano una fitta rete di accordi collettivi informali ai livelli aziendali e infra-aziendali, paralleli e non coordinati con la contrattazione formale gestita dalle associazioni sindacali esterne ai livelli superiori delle categorie professionali o dell’intera industria. La crescita degli shop stewards nel decennio 1960-1970 mette in crisi l’autorità sia delle trade unions sui loro soci, sia delle associazioni padronali sui managements delle imprese. La contrattazione aziendale condotta dagli shop stewards si distingue essenzialmente dal modello italiano della contrattazione articolata, sperimentato nei medesimi anni, non solo perché la prima è informale, mentre la seconda è formale, ma soprattutto perché l’una, a differenza dell’altra, si innesta in un processo di dislocazione delle strutture di potere nelle relazioni industriali dal centro alla periferia
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. Ma anche in Italia, dopo i rinnovi contrattuali del 1966, che lasciarono i lavoratori profondamente insoddisfatti, matura rapidamente, fino ad esplodere nelle forme spettacolari degli anni 1968-’70, una situazione rivoluzionaria con caratteristiche in parte simili agli elementi di crisi del sistema inglese. Il movimento dei lavoratori sfugge al controllo dei sindacati, rifiuta il rispetto delle clausole di tregua sindacale, che costituivano il cardine del sistema di contrattazione articolata, e genera una proliferazione di scioperi selvaggi capeggiati da delegati spontaneamente espressi dai gruppi di lavoro fuori dall’organizzazione sindacale.¶{p. 216}
In Francia l’ondata eversiva è stata altrettanto violenta, ma molto più breve. Già alla fine del maggio ’68 i sindacati francesi sedevano al tavolo delle trattative, con gli imprenditori e il governo, che condussero agli accordi Grenelle. La tradizionale capacità di dialogo coi pubblici poteri e la coscienza delle proprie responsabilità nei confronti del sistema produttivo della Nazione hanno permesso ai sindacati francesi di ritrovare nelle proprie strutture associative, e non, fuori di esse, nella spontaneità del movimento, la legittimazione del loro ruolo di guida dei lavoratori.
3. La svolta degli anni 1968-’70. L’ingresso del sindacato nelle imprese in Francia, Olanda e Italia. La nuova legge tedesca sulla costituzione delle imprese. La vicenda della legge inglese del 1971.
Dopo la svolta degli anni 1968-’70 il quadro delle relazioni industriali nell’Europa occidentale si presenta profondamente mutato. L’elemento di novità di più immediata evidenza è la rottura del principio comune che, pur nella diversità delle loro strutture, legava i sistemi dei paesi uniti nella Comunità europea a una medesima concezione fondamentale. In Francia, Italia e Olanda il sindacato appare ora saldamente insediato nelle imprese, e ha ottenuto dalla legge dello Stato nei primi due paesi, dalle convenzioni collettive nel terzo, riconoscimento e tutela di nuove forme organizzative, intese a favorire nei luoghi di lavoro la partecipazione diretta dei lavoratori alle scelte della politica sindacale e ad assicurare un controllo sindacale globale sui posti di lavoro. In Germania, Austria e Belgio il sistema legale di relazioni industriali è rimasto ancorato al principio della neutralizzazione sindacale dell’impresa. I movimenti studenteschi e gruppuscolari, non meno aspri in Germania che in Francia e Italia, non hanno lasciato un’impronta ideologica stabile sul movimento dei lavoratori tedeschi. Nemmeno la Germania è stata immune dal fenomeno degli scioperi selvaggi, ma esso non si è consolidato in forme organizzate di lotta di classe, non ha segnato, come è accaduto in Italia, un rovesciamento della ¶{p. 217}tendenza teorizzata dal modello sociologico dell’«isolamento istituzionale del conflitto industriale». La spinta allo spostamento del centro di gravità delle relazioni industriali all’interno delle imprese, presente anche in questo paese, sebbene con intensità minore che altrove, è stata incanalata dalla legge del 1972
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nell’alveo delle forme tradizionali (non sindacali) di rappresentanza dei lavoratori, delle quali è stata notevolmente aumentata la partecipazione, col metodo sostanzialmente negoziale della cogestione, ai poteri imprenditoriali di organizzazione del lavoro. Non è stata modificata la struttura della contrattazione collettiva, ma le nuove competenze dei Betriebsräte, specialmente in materia di fissazione dei principi relativi al cottimo e ai premi di produzione e in generale alle forme retributive basate sul rendimento, incluse le componenti salariali, mettono in crisi la distinzione tra condizioni formali e condizioni materiali di lavoro, e sono indubbiamente destinate a influire sulle politiche salariali ai livelli superiori della contrattazione collettiva intersindacale. D’altra parte, pur negando al sindacato il ruolo di agente ufficiale delle relazioni industriali nelle imprese, la legge del 1972 non solo prevede la possibilità di partecipazione di delegati sindacali alle riunioni del consiglio e alle assemblee aziendali, ma attribuisce al sindacato un generale «diritto di entrata» nelle imprese (di cui si progetta il riconoscimento anche in Austria), che favorisce un controllo sindacale più esteso e capillare sull’organizzazione di fabbrica dei lavoratori. A questi correttivi legali della dicotomia fra strutture rappresentative interne alle imprese e sindacato esterno si aggiunge, sul piano della contrattazione collettiva, la disponibilità crescente dei datori di lavoro ad accettare «clausole di apertura» delle imprese all’ingresso di fiduciari sindacali (Vertrauensleute), con i quali pare ormai non sia infre¶{p. 218}quente l’instaurazione di rapporti di contrattazione informale
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L’evoluzione nel senso del riconoscimento ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali di nuovi diritti di libertà e di partecipazione nei luoghi di lavoro (rilevabile anche in Svezia, dove è in corso una riforma del sistema degli works councils nel senso della joint decision, in luogo della semplice joint consultation) ha avuto per breve tempo un’eccezione proprio in Gran Bretagna, dove la legge del 1971 introdusse una serie di limiti alla libertà di organizzazione e di azione sindacale e assoggettò il sistema di relazioni industriali a pubblici controlli
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. Ma la comparazione deve tenere conto della diversa situazione che fu all’origine della legge Carr, ormai abrogata. Scopo della legge non era di impedire l’organizzazione sindacale di fabbrica, e nemmeno di reprimere il movimento degli shop stewards per imporre al sindacato scelte organizzative diverse. Essa si proponeva piuttosto di colmare il vuoto istituzionale in cui si era sviluppata l’azione degli shop stewards, divenuta ormai fonte permanente di grave disordine nelle relazioni industriali. Anche i legislatori continentali, perfino (tra le righe) il legislatore italiano
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, che ha solidarizzato (bon gré mal gré) con lo spontaneismo del movimento, condividono il giudizio della commissione Donovan, che vede nella frammentazione della contrattazione collettiva ai livelli infraziendali di linea e di reparto il pericolo principale per le relazioni industriali
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. Il momento perplesso della legge Carr, che ne ha promosso la rovina, sta nell’avere creduto che l’imposizione di obblighi e di responsabilità formali alle trade unions fosse la via più adatta a ridurre gli shop stewards sotto il controllo del sindacato.
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Note
[2] Cfr. Giugni, L’evoluzione della contrattazione collettiva nelle industrie siderurgica e mineraria (1953-1963), Milano, 1964, p. 28.
[3] Cfr. Kahn-Freund, Labour and the Law, London, 1972, pp. 13, 74.
[4] Una traduzione italiana del nuovo Betriebsverfassungsgesetz del 19 gennaio 1972, corredata di un breve commento, è stata pubblicata da Nicolini, Il nuovo ordinamento introaziendale del lavoro nella R.F.T., Padova, 1973. V. pure Luttringer, La réforme de la Constitution sociale de l’entreprise allemande, in «Droit social», 1973, pp. 69 s.
[5] Sellier, op. cit., p. 496, testo e nota 20.
[6] Caplat, Un tournant dans les relations sociales en Grande-Bretagne: la loi sur les relations industrielles de 1971, in «Droit social», 1973, p. 286.
[7] Cfr. Treu, Statuto dei lavoratori e organizzazione del lavoro, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1972, p. 1059.
[8] Cfr. Kahn-Freund, op. cit., p. 74.