Francesca Biondi Dal Monte, Simone Frega (a cura di)
Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c13

Capitolo tredicesimo Provaci ancora, Sam!: sinergie istituzionali, co-progettazione territoriale e interprofessionalità
di Paolo Bianchini, professore ordinario di Storia dell’educazione presso l’Università degli Studi di Torino

Abstract
Il capitolo si apre con la discussione del progetto istituzionale “Provaci ancora, Sam!” (PAS), ideato e messo in campo nel 1989 a Torino per promuovere l’inclusione, il successo formativo e per contrastare la dispersione scolastica. Il capitolo descrive poi i differenti strumenti che negli anni hanno accompagnato PAS per rendere lineare la co-progettazione territoriale tra diversi soggetti che coordinano il progetto e approfondisce, in conclusione, il modo in cui PAS ha fatto dell’interprofessionalità di educatori e insegnanti un caposaldo del suo modo di intendere la lotta all’insuccesso e alla dispersione.

1. Dal recupero alla prevenzione: il progetto «Provaci ancora, Sam!»

Il progetto Provaci ancora, Sam! (di qui in avanti PAS) ha una storia ormai lunga. È stato ideato e messo in campo nel 1989 dalla Città di Torino (Assessorato all’Istruzione, al quale si sono poi aggiunti quello ai Diritti e alle Politiche Sociali) in accordo con la Fondazione Compagnia di San Paolo e i suoi enti strumentali, ovvero la Fondazione per la Scuola e l’Ufficio Pio, oltre che con l’Ufficio scolastico territoriale (a cui è poi subentrato l’Ufficio scolastico regionale). Le sue finalità e modalità d’intervento si sono evolute in maniera significativa nel corso del tempo, in relazione ai bisogni del territorio e a ciò che veniva appreso dall’esperienza [1]
.
Alle sue origini Provaci ancora, Sam!, ispirandosi al protagonista dell’omonimo film di Woody Allen del 1972, rispondeva all’esigenza di avviare quella che ancora oggi è definita la tutela integrata grazie a cui gli studenti non sono più tenuti a sostenere l’esame di licenza media da privatisti, anche se non seguono le lezioni a scuola, ma in locali messi a disposizione dalle circoscrizioni o dalle parrocchie. In questo senso, la tutela integrata si configura come il sostegno offerto a minori in seria difficoltà di apprendimento (pluriripetenti) in termini di conseguimento della licenza media e accompagnamento alla prosecuzione del proprio percorso {p. 238}di istruzione e formazione professionale. Nel 1998, il progetto si è arricchito di un’ulteriore opzione, che consisteva nell’inserimento di ragazzi e ragazze in specifiche situazioni di apprendimento nei Centri territoriali per l’educazione permanente (CTP), ruolo oggi assunto dai Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), che, come vedremo a breve, portano avanti ancora oggi le attività con i ragazzi e le ragazze che abbandonano la scuola [2]
.
Non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche nella letteratura specialistica era, intanto, cresciuta la consapevolezza della necessità che la questione della dispersione scolastica non venisse considerata solo nel momento in cui era divenuta un’emergenza da affrontare con metodi e strumenti eccezionali, ma fosse affrontata in primo luogo all’interno della scuola e, se necessario, con il contributo dell’extra-scuola. Tale cambiamento di prospettiva ha favorito una significativa evoluzione del progetto PAS: dall’anno scolastico 2000-2001, infatti, alle azioni di sostegno e recupero dei ragazzi e delle ragazze in situazione di abbandono scolastico si è affiancato un intervento di prevenzione primaria, divenuto da subito prioritario per quantità di risorse impiegate e di scuole e studenti coinvolti. L’obiettivo era quello di intervenire nelle scuole secondarie di primo grado, e in particolare nelle classi prime, per evitare che si instaurassero condizioni sfavorevoli all’apprendimento, alla frequenza e al buon andamento dell’esperienza scolastica, elementi di ostacolo al successo formativo e generanti dispersione.
La collaborazione tra istituzioni e realtà educative del territorio, come le associazioni di volontariato, ha reso possibile la creazione di una rete capace di sorreggere gli allievi dal punto di vista relazionale favorendone l’inserimento a scuola e nel loro contesto sociale. Il coordinamento tra risorse così diverse, ma complementari, si è rivelato in breve tempo una modalità indispensabile per sostenere concretamente le scuole nel difficile compito di trattenere {p. 239}e portare al conseguimento della licenza media gli studenti più «difficili» ed è, quindi, diventato uno dei cardini del progetto. Non solo, infatti, ha favorito la contaminazione tra il punto di vista dei docenti, attenti al profitto scolastico, e quello degli educatori, che normalmente si concentrano sul coinvolgimento emotivo e sociale degli allievi, ma ha anche esteso l’azione educativa tanto all’interno quanto all’esterno dell’orario e del contesto scolastici.
Per questo, si è andati nella direzione di una sempre più stretta, anche se di non facile realizzazione, integrazione tra il lavoro del personale educativo e quello del corpo insegnante, formalizzandola anche negli atti fondativi del progetto, oltre che nelle linee programmatiche e nei documenti sottoscritti dalle scuole al momento del loro ingresso nel PAS. Dal 2010, infatti, il cosiddetto PAS preventivo ha iniziato a contemplare in maniera strutturata la collaborazione tra educatori e docenti nella presa in carico dei ragazzi a rischio sia a scuola che nell’extra-scuola. Inoltre, facendo leva sulle opportunità concesse dall’autonomia scolastica, è stata prescritta la partecipazione del personale educativo ai consigli di classe.
Dal 2015, tale modello si è ulteriormente consolidato, in quanto il PAS preventivo si è dotato di una progettazione triennale e richiede a ogni singola classe una programmazione annuale: grazie al fatto che vengono co-progettate e co-programmate nel consiglio di classe allargato, le attività educative sono entrate a far parte integrante della programmazione scolastica; inoltre, educatori ed educatrici agiscono sia al mattino sia al pomeriggio, non più sul singolo ma sull’intera classe, utilizzando perlopiù attività laboratoriali e modalità didattiche partecipative e inclusive, dopo averle concordate con i docenti. Infine, il PAS preventivo è stato esteso anche alla scuola primaria con un intervento verticale in continuità dalla IV elementare alla III media.
Oggi, il PAS si muove su due linee di azione: la prevenzione primaria e la prevenzione secondaria. La prevenzione primaria, anche detta preventiva, rappresenta l’azione principale del PAS, in quanto coinvolge circa 200 classi di 39 scuole e raggiunge 4.000 alunne e alunni, 700 docenti e {p. 240}150 educatori ed educatrici appartenenti a 18 organizzazioni territoriali. Nel triennio 2020/2021-2023/2024 è stata anche attivata la sperimentazione «PAS-Per-Tutti», che ha esteso a tutte le classi di tre istituti comprensivi collocati in contesti socioeconomici e culturali deprivati il progetto Sam (di norma attivo in 4 classi per scuola). In queste tre scuole il personale educativo è stato presente nelle classi di tutte le sezioni, dalla IV elementare alla III media, e ha collaborato con gli insegnanti secondo le modalità tipiche del Sam, ovvero partecipando ai consigli di classe e co-progettando e co-gestendo le attività didattiche per un massimo di 4 ore settimanali.
La prevenzione secondaria, invece, riguarda le attività riparative e di recupero dei drop out, che rappresentano la continuazione in linea diretta dell’esperienza cominciata nelle cosiddette «scuolette» nel 1998. Le attività di prevenzione secondaria sono quindi due: la tutela integrata, che si avvale di 4 docenti e 12 educatori di 4 associazioni che seguono una cinquantina di ragazze e ragazzi infra-quindicenni usciti dal sistema scolastico e formativo senza aver conseguito il titolo; e il progetto CPIA, che ha luogo in 3 Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, distinti in 7 sedi sparse su tutto il territorio cittadino, in cui sono iscritti circa 200 tra ragazze e ragazzi ultra-quindicenni, seguiti da 25 docenti e 20 educatori appartenenti a 4 associazioni.

2. Costruire la comunità educante tra scuola ed extra-scuola

Le esperienze fatte in gran parte d’Italia dimostrano che per contrastare la dispersione scolastica è necessario operare su più fronti, sviluppando attività di carattere sistemico che possano toccare tutti i contesti in cui è inserito il minore, dalla famiglia alla scuola al gruppo dei pari [3]
. Il PAS, da oltre vent’anni, lavora con tutti gli attori del territorio, per prevenire difficoltà e disaffezione nei confronti della {p. 241}scuola e recuperare situazioni di abbandono vero e proprio attraverso un lavoro integrato tra insegnanti ed educatori sia all’interno della scuola che in attività extrascolastiche.
Nello scenario complesso della scuola attuale, il concetto di povertà educativa sta espandendo i confini del suo significato: il rischio di crisi non riguarda, infatti, soltanto gli studenti, ma anche gli adulti: insegnanti, famiglie, la stessa comunità educante. Il progetto PAS prova implicitamente a suggerire una risposta sinergica alla complessità di un sistema-scuola necessariamente esteso all’extra-scuola e all’intera società. In questo senso, la collaborazione degli insegnanti con altri professionisti dell’educazione costituisce un’opportunità, ma anche un vincolo, nel senso letterale del termine, in quanto non è possibile farne a meno sia dal punto di vista sostanziale (c’è bisogno di una collaborazione sistematica e strutturale per gestire le sfide attuali), sia dal punto di vista formale e giuridico (è prevista dai documenti della scuola e dalle normative di riferimento). Inoltre, i nuovi profili dei docenti delineano set di competenze trasversali centrate sulle capacità di collaborazione, co-progettazione, corresponsabilità e organizzazione che non possono essere date per scontate e che necessitano di un significativo lavoro sulle persone e sui contesti.
L’intervento prevede, infatti, un lavoro di co-progettazione e co-realizzazione di attività in classe in orario scolastico finalizzate a coinvolgere tutti gli alunni, oltre a una proposta di attività fuori dalla scuola in orario extrascolastico, ma in continuità con gli obiettivi educativi e formativi del percorso scolastico, in modo da rendere coerente il lavoro fatto a scuola con quello fatto in associazione. In questo quadro, la famiglia rappresenta l’agenzia educativa e affettiva che dovrebbe intervenire prioritariamente nel percorso di crescita ed educativo dei ragazzi. Tuttavia, i genitori sono spesso i primi a trovarsi in difficoltà nel proprio ruolo, ma possono incontrare una sicurezza e un punto di riferimento nelle agenzie del territorio e nell’istituzione scolastica dialogante.
Mantenere un equilibrio e una collaborazione tra questi tre sistemi – scuola, ragazzo e famiglia – non è scontato e i cortocircuiti che si creano a causa di atteggiamenti di delega
{p. 242}o di scarico di responsabilità sono sintomi della difficoltà e della complessità che questo lavoro comporta. Il PAS prova da anni a costruire aree di integrazione fra i tre sistemi, co-costruendo per ogni alunno percorsi educativi nei quali valorizzare le risorse di tutti e mantenere la motivazione ad andare avanti nonostante le difficoltà. In questa triangolazione il ruolo dell’educatore è fondamentale non solo per le sue competenze professionali, basate sulla relazione, ma anche per la maggiore libertà istituzionale di cui gode [4]
. Tali caratteristiche gli permettono di interfacciarsi, da un lato con le famiglie, dall’altro con le scuole, facilitando quel dialogo che, qualora non si instauri, è tra i primi responsabili dell’insuccesso e dell’abbandono scolastici, specie quando si ha a che fare con nuclei familiari senza adeguati strumenti socioculturali.
Note
[1] Sulle origini e gli sviluppi del PAS cfr. P. Bianchini, V. Lucatello e P. Damiani, Dall’«andare a scuola» all’«andare bene a scuola». Le funzioni degli educatori nel progetto «Provaci ancora Sam» contro la dispersione scolastica, in «Nuova Secondaria», 2, 39, ottobre 2021.
[2] Per un approfondimento sulle modalità di funzionamento del PAS nei CPIA cfr. V. Sacchett e R. De Paolis, Come sta la scuola?, in «Scuola democratica», 2, 2021, pp. 325-337.
[3] Sulle scuole di seconda occasione cfr., tra gli altri, E. Brighenti (a cura di), Ricomincio da me. Identità delle scuole di seconda occasione in Italia, Trento, IPRASE, 2006.
[4] Sulle specificità del lavoro dell’educatore professionale cfr. S. Tramma, L’educatore imperfetto: senso e complessità del lavoro educativo, Roma, Carocci Faber, 2003.