Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c1
Tutto cambia di senso se visto isolato o all’interno del contesto cui appartiene: questo vale per il patrimonio culturale, il paesaggio e così via, ed è una riflessione che può apparire banale, ma che non si può assolutamente dare per acquisita, come si può constatare in riferimento a moltissime procedure di pianificazione, di valutazione, di progettazione nei quali le trasformazioni proposte sono isolate rispetto al territorio di riferimento. Purtroppo non è pratica diffusa nemmeno nelle commissioni locali per il paesaggio, nelle soprintendenze, nelle conferenze di servizi, ecc. considerare i progetti di trasformazione all’interno di un territorio che
{p. 52}sia più ampio di quello del lotto o del contesto immediato interessato dalla trasformazione.
Già Vitruvio, nel De architectura, richiamava per i singoli edifici/lotti urbani la necessità di considerare il contesto costituito dal disegno urbanistico d’insieme in cui sono collocati, e per gli edifici extraurbani i terreni coltivabili, le acque (fuggire da quelle stagnanti, avere in prossimità acque pure), il cielo (orientamento rispetto ai punti cardinali), i venti, la salubrità e assenza di inquinanti (indagati attraverso le consuetudini di pascolo e lo stato delle viscere degli animali). Queste concezioni di ciò che costituisce il contesto sembrano parlarci del paesaggio nel suo costituire l’aspetto «sensibile» del territorio.

8. Ma come è evoluta, in Italia, la concezione di ciò che è paesaggio, con riferimento in particolare alla pianificazione?

Come noto è la l. 1497/1939 ad aver previsto per prima l’istituto dei «piani territoriali paesistici» (a cura del Ministero per l’educazione nazionale) per le «cose immobili e le bellezze panoramiche», con funzione essenzialmente conservativa. I piani redatti ai sensi di questa legge non furono molti. Il più noto, anche per le tormentate vicende, è senza dubbio quello dell’Appia antica.
Pur trattandosi di piani paesistici, il riferimento era alle bellezze d’insieme, panoramiche, e la bellezza da tutelare era definita naturale. Un aggettivo che oggi suona fuori luogo, ma che intendeva forse fare riferimento all’artifizio capace di relazionarsi ai luoghi così bene, con tale armonia, da apparire quasi «naturale». Il piano aveva una funzione essenzialmente conservativa e riguardava, come richiamato, luoghi di particolare bellezza, come per l’appunto l’Appia antica.
Per portare lo sguardo sul paesaggio oltre le bellezze già codificate, per scoprire l’importanza di componenti del paesaggio non eccezionali ma esito di pratiche povere, quotidiane, «popolari», sono stati decisivi contributi come quello del video su Orte di Pier Paolo Pasolini, ma anche {p. 53}testi di Cesare Brandi, Piero Calamandrei e altri autori eccellenti del nostro paese.
La nostra concezione attuale di paesaggio ha alle spalle tutti questi padri e madri, che hanno contribuito a costruire la concezione di paesaggio più evoluta dell’oggi. Quella che ci fa riconoscere come siano le componenti specifiche e uniche di ciascun paesaggio, e le relazioni che le tengono insieme, che rendono quel contesto apprezzabile come paesaggio, e sono componenti che spesso derivano dalle pratiche di vita e di lavoro di chi ci ha preceduto.
La successiva l. 431/1985, c.d. legge Galasso, che ha previsto per la prima volta l’obbligo di piani paesistici per tutte le regioni italiane, ha dato un importante impulso alla pianificazione della tutela del paesaggio, in questo quasi equivalente di ambiente, e quindi aggiornandone la concezione ma senza tuttavia approfondirla nel senso sopra accennato: i molti piani territoriali a valenza paesistica che ne sono derivati (Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Liguria, Veneto, ecc.) hanno prodotto risultati interessanti laddove la loro redazione ha potuto avvalersi di un’elaborazione culturale innovativa, come avvenuto in Emilia-Romagna con l’esperienza dell’Istituto regionale per i beni culturali. In altri casi, la possibilità grazie al piano di ridurre i vincoli apposti ex lege lungo le fasce fluviali sembra avere costituito il principale incentivo all’azione di pianificazione.
Infine, il Codice dei beni culturali e del paesaggio attualmente vigente (2004, 2008). Per la prima volta la norma prevede che i piani paesaggistici devono essere co-pianificati tra Stato e regioni, ma soprattutto che i piani paesaggistici devono trattare dell’intero territorio regionale: non più soltanto delle aree vincolate ex lege, come prevedeva la l. 431/1985, oppure ai sensi di specifici decreti, ma dell’intero territorio regionale considerato come paesaggio.
La «filiera» istituzionale immaginata dal Codice per quanto riguarda la pianificazione paesaggistica si compone non solo dei piani paesaggistici redatti dalle regioni in co-pianificazione con il MiBACT (ora MiC), ma anche delle procedure di adeguamento dei piani urbanistici comunali ai piani regionali, con verifica dell’adeguamento da parte della {p. 54}regione e del MiBACT/MiC, e del monitoraggio dell’efficacia dei piani nell’assicurare la qualità del paesaggio da parte dell’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio e degli osservatori regionali.

9. Le politiche per il paesaggio

In realtà, le politiche pubbliche che trattano di paesaggio non si esauriscono nella pianificazione. Un quadro di riferimento interessante, anche se oramai datato, è costituito dal Rapporto sullo stato delle politiche per il paesaggio [14]
, previsto con cadenza biennale ma non più aggiornato, con una mancanza di continuità istituzionale purtroppo sconcertante [15]
. Così come è interessante, su ciò che le diverse politiche pubbliche potrebbero promuovere in relazione al paesaggio, la lettura della Carta del paesaggio a suo tempo promossa dal Ministero dei beni culturali per indicare come il paesaggio,
fondamento dello scenario strategico per lo sviluppo del nostro Paese, nel mondo contemporaneo ormai globalizzato, è una grande opportunità oltre ad essere la risposta necessaria che le istituzioni e la politica dovrebbero dare ai cittadini rispetto alla domanda di ambienti di vita quotidiana capaci di contribuire al benessere individuale e collettivo [16]
.
Se il paesaggio viene concepito in questi termini avanzati, adeguati alla complessità delle nostre democrazie mature, le {p. 55}politiche che ne trattano possono essere considerate come esercizi di democrazia più o meno riusciti.
Lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio assegna un ruolo rilevante all’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio e ai relativi osservatori regionali. Per la sua composizione, che prevede rappresentanti di diversi ministeri e della Conferenza delle regioni, esperti, rappresentanti delle associazioni nazionali riconosciute che si occupano di ambiente e paesaggio, l’Osservatorio nazionale ha svolto finché è stato convocato un ruolo attivo e importante di trattazione delle politiche in fase preparatoria, di anticipazione di criticità, di costruzione di una comunità dialetticamente dialogante. Se la rete costituita da Osservatorio nazionale, osservatori regionali, osservatori locali effettivamente funzionasse, le politiche pubbliche sarebbero più efficaci nel considerare le opportunità che il paesaggio presenta come strumento anche di coesione sociale. Contribuendo così anche al recepimento fattivo dei contenuti di due importanti Convenzioni promosse dal Consiglio d’Europa e sottoscritte anche dall’Italia, che invitano a far maggiormente partecipare gli abitanti e il pubblico in generale, a integrare il paesaggio nelle diverse politiche settoriali (culturali, ambientali, agricole, sociali ed economiche, ecc.) [17]
, e che legittimano la partecipazione della società civile alla gestione del patrimonio culturale [18]
, oltre a richiedere alle parti di incoraggiare la partecipazione, promuovere la riflessione e il dibattito pubblico, riconoscere il ruolo delle organizzazioni di volontariato come portatori di critica costruttiva nei confronti delle politiche per il patrimonio culturale. In questo caso non si parla di paesaggio ma di patrimonio, e abbiamo tuttavia già ricordato come il concetto di patrimonio territoriale sia strettamente relazionato a quello di paesaggio.{p. 56}
È interessante notare il richiamo ripetuto alla partecipazione e al ruolo delle organizzazioni non governative della società civile, non soltanto come destinatarie di informazioni su tutte le procedure e le politiche pubbliche in corso, ma anche come attori legittimamente riconosciuti nell’affiancare l’azione delle istituzioni pubbliche e nell’esprimere anche posizioni critiche. La critica costruttiva nei confronti delle politiche pubbliche sappiamo quanto sia un argomento spinoso, che tuttavia può essere importante per spingere le istituzioni pubbliche a costruire in modo più solido e ad argomentare pubblicamente e in maniera convincente i passaggi istituzionali compiuti.

10. Accompagnare le pratiche innovative dei produttori di paesaggio, rivedere le pratiche istituzionali inadeguate

Il richiamo al ruolo degli altri attori, diversi dalle istituzioni pubbliche competenti in materia di paesaggio, significa aprire lo sguardo sulle pratiche di produzione del paesaggio agite da una pluralità di soggetti, e porsi come istituzioni l’obiettivo di accompagnarle. E questa prospettiva appare particolarmente interessante, anche alla luce, ad esempio, della sperimentazione in attuazione del piano paesaggistico del Piemonte promossa dalla Fondazione Compagnia di San Paolo [19]
.
Nell’azione istituzionale vi sono tuttavia alcuni approcci, purtroppo ancora comuni, che contraddicono l’evoluzione fin qui trattata del concetto di paesaggio.
Il primo è il paesaggio trattato attraverso lo strumento della zonizzazione del territorio, e/o dell’elenco di singoli oggetti tutelati, che tendono a negare l’insieme di relazioni che qualificano ciascun «contesto» nella sua percezione quale paesaggio, dividendo il territorio in aree o lotti nei quali il paesaggio è tutelato, e altri nei quali invece di fatto non viene assolutamente considerato. Questo approccio
{p. 57}nega di fatto l’importanza di mettere in campo rappresentazioni efficaci dei caratteri e delle relazioni paesaggistiche da assumere quale riferimento per migliorare l’esito delle trasformazioni, limitando gli impatti negativi sul paesaggio dei diversi progetti e rendendoli invece capaci di contribuire positivamente a migliorare ciascun contesto paesaggistico.
Note
[14] Edito dal MiBACT a fine 1997, con una nuova versione leggermente rivista a inizio 2018, è scaricabile da https://storico.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_89248222.html (ultimo accesso 28 gennaio 2024).
[15] Come lo è, sconcertante, l’assenza di continuità istituzionale dell’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio, previsto dal Codice ma successivamente alla fine di legislatura dei primi mesi del 2018 convocato una sola volta e poi lasciato morire.
[16] Dal Preambolo della Carta del paesaggio, pubblicata a marzo 2018 quale ultimo atto del sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni: https://storico.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_1705043404.html (ultimo accesso 28 gennaio 2024).
[17] Convenzione europea del paesaggio, aperta alla sottoscrizione nel 2000 e ratificata dall’Italia nel 2006. Per diversi contenuti, fra cui quelli relativi alla partecipazione, è opportuno far riferimento alla versione in lingua inglese, essendo la traduzione italiana piuttosto riduttiva.
[18] Convenzione di Faro, sottoscritta dall’Italia nel 2013, ratificata nel 2020.
[19] I rapporti di ricerca sono scaricabili da https://www.compagniadisanpaolo.it/it/progetti/piano-paesaggistico.