Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c1
Il primo è il paesaggio trattato attraverso lo strumento della zonizzazione del territorio, e/o dell’elenco di singoli oggetti tutelati, che tendono a negare l’insieme di relazioni che qualificano ciascun «contesto» nella sua percezione quale paesaggio, dividendo il territorio in aree o lotti nei quali il paesaggio è tutelato, e altri nei quali invece di fatto non viene assolutamente considerato. Questo approccio
{p. 57}nega di fatto l’importanza di mettere in campo rappresentazioni efficaci dei caratteri e delle relazioni paesaggistiche da assumere quale riferimento per migliorare l’esito delle trasformazioni, limitando gli impatti negativi sul paesaggio dei diversi progetti e rendendoli invece capaci di contribuire positivamente a migliorare ciascun contesto paesaggistico.
Il secondo è la suddivisione del paesaggio in beni naturali e beni culturali, che nega il carattere del paesaggio quale sedimentazione di pratiche ben riuscite di interazione umana con il contesto naturale, sostenibili nel tempo. Nelle politiche agricole ciò comporta ad esempio che vengano finanziate misure di conservazione degli elementi o aree «naturali», anziché le pratiche tradizionali specifiche del paesaggio rurale di lunga durata di un luogo (spesso produttrici di maggiore biodiversità). Più in generale questo approccio fa sì che la tutela sia considerata come astensione dall’azione, anziché come cura proattiva e accompagnamento della coevoluzione tra dinamiche naturali e intervento umano.
Un ultimo aspetto sul quale ritengo importante soffermarmi, invece, è quello delle procedure di valutazione ambientale. Conosciamo bene da anni il fatto che gli indicatori usati in queste procedure non considerano in maniera specifica il paesaggio, oppure lo riducono a un elenco di componenti naturali o vincoli culturali. L’assenza di indicatori pertinenti e la riduzione del paesaggio a indicatori non adeguati, senza alcuna attenzione a sviluppare appositi indicatori di valutazione che riescano a orientare in modo positivo le procedure di decisione delle istituzioni pubbliche, non soltanto produce danni ai paesaggi in questione, ma comporta anche una sfiducia crescente, da parte dei cittadini e delle loro associazioni, nei confronti di strumenti di governo del paesaggio diversi dai vincoli.
Credo che rivedere le pratiche istituzionali inadeguate costituisca una chiave fondamentale per poter riuscire a tradurre in termini operativi, nelle politiche pubbliche e nelle diverse pratiche degli enti territoriali e più in generale delle istituzioni pubbliche, il valore del paesaggio come concetto intorno al quale tessere l’azione collettiva.
Note