Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c1
Il primo è il paesaggio trattato
attraverso lo strumento della zonizzazione del territorio, e/o dell’elenco di singoli
oggetti tutelati, che tendono a negare l’insieme di relazioni che qualificano ciascun
«contesto» nella sua percezione quale paesaggio, dividendo il territorio in aree o lotti
nei quali il paesaggio è tutelato, e altri nei quali invece di fatto non viene
assolutamente considerato. Questo approccio
¶{p. 57}nega di fatto
l’importanza di mettere in campo rappresentazioni efficaci dei caratteri e delle
relazioni paesaggistiche da assumere quale riferimento per migliorare l’esito delle
trasformazioni, limitando gli impatti negativi sul paesaggio dei diversi progetti e
rendendoli invece capaci di contribuire positivamente a migliorare ciascun contesto
paesaggistico.
Il secondo è la suddivisione del
paesaggio in beni naturali e beni culturali, che nega il carattere del paesaggio quale
sedimentazione di pratiche ben riuscite di interazione umana con il contesto naturale,
sostenibili nel tempo. Nelle politiche agricole ciò comporta ad esempio che vengano
finanziate misure di conservazione degli elementi o aree «naturali», anziché le pratiche
tradizionali specifiche del paesaggio rurale di lunga durata di un luogo (spesso
produttrici di maggiore biodiversità). Più in generale questo approccio fa sì che la
tutela sia considerata come astensione dall’azione, anziché come cura proattiva e
accompagnamento della coevoluzione tra dinamiche naturali e intervento umano.
Un ultimo aspetto sul quale ritengo
importante soffermarmi, invece, è quello delle procedure di valutazione ambientale.
Conosciamo bene da anni il fatto che gli indicatori usati in queste procedure non
considerano in maniera specifica il paesaggio, oppure lo riducono a un elenco di
componenti naturali o vincoli culturali. L’assenza di indicatori pertinenti e la
riduzione del paesaggio a indicatori non adeguati, senza alcuna attenzione a sviluppare
appositi indicatori di valutazione che riescano a orientare in modo positivo le
procedure di decisione delle istituzioni pubbliche, non soltanto produce danni ai
paesaggi in questione, ma comporta anche una sfiducia crescente, da parte dei cittadini
e delle loro associazioni, nei confronti di strumenti di governo del paesaggio diversi
dai vincoli.
Credo che rivedere le pratiche
istituzionali inadeguate costituisca una chiave fondamentale per poter riuscire a
tradurre in termini operativi, nelle politiche pubbliche e nelle diverse pratiche degli
enti territoriali e più in generale delle istituzioni pubbliche, il valore del paesaggio
come concetto intorno al quale tessere l’azione collettiva.
Note