Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c1
La stessa UNESCO, che fino a
qualche anno fa, nella sua pratica istituzionale corrente, distingueva tra patrimonio
mondiale naturale e patrimonio mondiale di interesse culturale, negli ultimi anni ha
riconosciuto come il paesaggio consista in una stratificazione storica di valori
culturali e naturali
[6]
.
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3. Il riferimento allo sguardo (e alle scale della rappresentazione)
È convenzione ritenere che la
parola «paesaggio» derivi da pays, paese, con un uso comune fra i
pittori documentato intorno alla metà del XVI secolo
[7]
. E c’è una disputa sul fatto che siano stati pittori francesi, fiamminghi
oppure veneziani a usare per la prima volta il termine paesaggio.
Quel che è certo è che quando
trattiamo di paesaggio è in gioco lo sguardo, sia alla scala reale (il territorio
apprezzabile dallo sguardo), che alla scala della rappresentazione (pittorica, in
disegni e dipinti, ma anche in giardini, parchi e analoghi luoghi della
rappresentazione). E forse non è solo lo sguardo a essere al centro, ma tutti i diversi
sensi che ci fanno percepire un contesto.
La differenza rispetto al termine
«territorio» è dunque che trattando di paesaggio lavoriamo sugli aspetti della
percezione, sulla qualità di ciò che percepiamo. È interessante notare come nel nostro
mondo attuale, così globalizzato, con i tanti problemi che la globalizzazione comporta
per ciascun luogo, i singoli luoghi siano stati rivalutati proprio attraverso la
mediazione del termine paesaggio e dell’attenzione alla percezione che i diversi
soggetti hanno della qualità di questi luoghi.
Come è stato trattato questo
riferimento allo sguardo in relazione al paesaggio quale riferimento dell’azione
collettiva? Per chi come me si occupa di pianificazione, il tema di come si possa
rappresentare un contesto reale per codificarne gli aspetti da trattare è importante.
Quale scala usare per la rappresentazione? La scala utilizzata per la pianificazione
territoriale è adeguata? Permette effettivamente di trattare gli aspetti sensibili,
interagendo gli attori e abitanti che ne ¶{p. 43}sono parte costitutiva?
La scala per renderlo gestibile è adeguata o ne riduce eccessivamente la complessità?
Questi aspetti relativi al paesaggio sono così complessi che per molto tempo la
pianificazione non ne ha trattato.
4. La pianificazione e il paesaggio
Abbiamo avuto in realtà una serie
di riflessioni intorno alla pianificazione del paesaggio ben prima dell’esperienza dei
piani paesistici
[8]
e di quelli paesaggistici
[9]
. Nel riconsiderare alcuni documenti fondativi della pianificazione
territoriale della Regione del Veneto negli anni ’70, è sorprendente ritrovare una
presenza rilevante del ruolo del paesaggio nell’interpretazione del proprio territorio
[10]
. Ma negli ultimi decenni a livello disciplinare è stata più presente sulla
scena l’architettura del paesaggio che, come noto, in realtà è l’arte dei giardini,
l’arte di progettare spazi verdi di diversa dimensione, progetti che tuttavia
generalmente non sono obbligati a confrontarsi con i conflitti relativi alle diverse
trasformazioni che la pianificazione è chiamata in linea di principio a «regolare».
E proprio in relazione a una serie
di grandi opere infrastrutturali è stata con una certa frequenza impiegata una tecnica
che richiama nel proprio nome il paesaggio, l’ecologia del paesaggio. Nelle sue
applicazioni operative il contesto paesaggistico è stato in molti casi ridotto a un
insieme di tessere uniformi all’interno delle quali vengono lette e quantificate le
componenti ecologiche (e solo queste), evidenziando quali modifiche ai progetti previsti
possano evitare di distruggere le porzioni di superficie con i valori ecologici più
elevati. ¶{p. 44}
Il fatto di considerare il
paesaggio come esclusivamente riferito agli aspetti naturali, ecologici, piuttosto
diffuso negli stati nordoccidentali, stride molto con la nostra consapevolezza
mediterranea.
In Italia, per l’intenso e antico
popolamento di genti diverse, non abbiamo contesti davvero naturali, luoghi riconosciuti
come tali a seguito di una mediazione culturale che li ha riconosciuti a un certo punto
come prevalentemente naturali. È quindi sempre in gioco il rapporto tra natura e
culture, che viene totalmente negato in questo tipo di procedure, con la conseguenza di
legittimare la distruzione di ciò che non è naturale, ma esito della cura umana.
Anche nella pianificazione abbiamo
una lunga serie di esempi di rappresentazione «riduzionista» del paesaggio. Oggi, con il
senno di poi, le valutiamo tali, più o meno riuscite, più o meno limitate; ed è proprio
a partire da questi limiti che la pianificazione ha provato a misurarsi con la sfida
della complessità, con la sfida di rappresentare e codificare le relazioni del paesaggio
che lo rendono significativo.
5. Sperimentazioni anti-riduzioniste
Per introdurre le modalità con cui
la pianificazione ha trattato il problema di rappresentare il paesaggio in modo non
riduzionista utilizzerò sia esemplificazioni pre-Codice che sperimentazioni condotte in
relazione ai piani paesaggistici redatti ai sensi del Codice.
Inizio da due rappresentazioni alle
quali ha contribuito un urbanista tra i primi a misurarsi con la pianificazione del
paesaggio, Roberto Gambino (fig. 2). La prima è una rappresentazione, esemplare per
semplicità ed efficacia, del «corema» dell’Unità di paesaggio Arquà Petrarca del piano
del Parco dei Colli Euganei, risalente ai primi anni ’90; una rappresentazione molto
interessante per la capacità di evidenziare in modo semplificato i caratteri del
paesaggio e le relazioni fra diverse componenti. Caratteri del paesaggio e relazioni che
li connettono sono in effetti due aspetti essenziali per comprendere un paesaggio. La
¶{p. 45}seconda immagine, a destra, è una cartografia che intende
restituire le diverse componenti paesaggistiche del territorio della Regione Piemonte.
Non è facile, come si può notare,
mantenere la medesima efficacia dimostrata nella rappresentazione di paesaggio che
utilizza tecniche tradizionali quando si produce una cartografia con strumenti GIS. Il
piano paesaggistico della Regione Piemonte, approvato nel 2017, ha avuto una gestazione
molto lunga, alla quale ha collaborato nella fase iniziale Roberto Gambino.
L’impostazione del piano paesaggistico piemontese e delle sue rappresentazioni nasce
dalle sperimentazioni dei primi anni 2000, anche se verrà perfezionata in seguito,
scontando una serie di aspetti che ne evidenziano i richiami alla rappresentazione del
territorio tipica della pianificazione di impostazione funzionalista.
Chiaramente affrontare il paesaggio
alla scala regionale, come potete vedere, implica un salto che rende problematica la
capacità di rappresentare le relazioni che qualificano molti e diversi paesaggi.
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Da questo punto di vista, i piani
paesaggistici redatti ai sensi del Codice hanno costituito un’occasione rilevante di
sperimentazione non solo sulle rappresentazioni del paesaggio, ma a monte, chiaramente,
anche sul concetto di paesaggio che vi è implicato.
Queste esperienze hanno trovato un
radicamento forte nelle componenti strutturali del paesaggio, cercando di coniugarli con
gli aspetti percettivi, che nel paesaggio come è stato richiamato all’inizio giocano un
ruolo estremamente rilevante. Se il riferimento è a un processo di pianificazione vi è
infatti comunque la necessità di basare anche la rappresentazione degli aspetti
percettivi su qualcosa di più solido, di più strutturale, riconsiderando tecniche di
rappresentazione cartografica più antiche dell’epoca della modernità funzionale, e
ibridandole con le tecniche GIS più avanzate.
Nel caso del piano paesaggistico
della Regione Puglia, le cui modalità di redazione hanno consentito delle straordinarie
sperimentazioni (fig. 3), vi sono stati diversi tentativi di rappresentazione prima di
arrivare alle tavole di piano definitive.
6. Il patrimonio territoriale di lunga durata come nuovo riferimento qualificante
Queste diverse sperimentazioni
condividono la ricerca di dare una rappresentazione adeguata al patrimonio territoriale
di lunga durata, cioè l’insieme di manufatti, pratiche e saperi sedimentati nel
territorio che sono pervenuti fino a noi attraverso una sedimentazione durata secoli, a
volte millenni. Un patrimonio esito del rapporto tra esseri umani che, vivendo in un
luogo, si sono misurati per prova ed errore con il contesto, cercando di costruire degli
ambienti il più possibile abitabili, la cui permanenza nel tempo è anche indice degli
aspetti di resilienza che queste trasformazioni hanno dimostrato di possedere rispetto
agli eventi climatici, economici, demografici che hanno attraversato i vari secoli.
Quindi questa sedimentazione è davvero qualcosa
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dalla quale possiamo anche apprendere delle cose importanti approfondendo la conoscenza
di ciascun paesaggio.
Note
[6] UNESCO, Recommendation on the Historic Urban Landscape, Paris, UNESCO, 2011.
[7] 1549 Beaux-Arts (Est., s.v. paisage: mot commun entre les painctres); 1551 (G. Gruget, trad. Les dialogues de M. Speron Sperone d’apr. A. J. Greimas ds Fr. mod. t. 17, p. 298); 1556 «ensemble du pays; pays» (Beaugue, Guerre d’Escosse, IV ds Littré), seulement au xvies., Hug.; 1573 «étendue de pays que l’oeil peut embrasser dans son ensemble» (Garnier, Hippolyte, 1224 ds Hug.). Dér. de pays1*; suff. -age*.
[8] Redatti ai sensi della l. 431/1985.
[9] Redatti ai sensi del vigente Codice nazionale dei beni culturali e del paesaggio.
[10] M. Basso e A. Marson, La pianificazione regionale nel Veneto: lo sfondo complessivo e un approfondimento sul tema del patrimonio culturale a base territoriale, in «Urbanistica Informazioni», 2023, n. 306, pp. 30-35.