Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c1
La stessa UNESCO, che fino a qualche anno fa, nella sua pratica istituzionale corrente, distingueva tra patrimonio mondiale naturale e patrimonio mondiale di interesse culturale, negli ultimi anni ha riconosciuto come il paesaggio consista in una stratificazione storica di valori culturali e naturali [6]
.
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3. Il riferimento allo sguardo (e alle scale della rappresentazione)

È convenzione ritenere che la parola «paesaggio» derivi da pays, paese, con un uso comune fra i pittori documentato intorno alla metà del XVI secolo [7]
. E c’è una disputa sul fatto che siano stati pittori francesi, fiamminghi oppure veneziani a usare per la prima volta il termine paesaggio.
Quel che è certo è che quando trattiamo di paesaggio è in gioco lo sguardo, sia alla scala reale (il territorio apprezzabile dallo sguardo), che alla scala della rappresentazione (pittorica, in disegni e dipinti, ma anche in giardini, parchi e analoghi luoghi della rappresentazione). E forse non è solo lo sguardo a essere al centro, ma tutti i diversi sensi che ci fanno percepire un contesto.
La differenza rispetto al termine «territorio» è dunque che trattando di paesaggio lavoriamo sugli aspetti della percezione, sulla qualità di ciò che percepiamo. È interessante notare come nel nostro mondo attuale, così globalizzato, con i tanti problemi che la globalizzazione comporta per ciascun luogo, i singoli luoghi siano stati rivalutati proprio attraverso la mediazione del termine paesaggio e dell’attenzione alla percezione che i diversi soggetti hanno della qualità di questi luoghi.
Come è stato trattato questo riferimento allo sguardo in relazione al paesaggio quale riferimento dell’azione collettiva? Per chi come me si occupa di pianificazione, il tema di come si possa rappresentare un contesto reale per codificarne gli aspetti da trattare è importante. Quale scala usare per la rappresentazione? La scala utilizzata per la pianificazione territoriale è adeguata? Permette effettivamente di trattare gli aspetti sensibili, interagendo gli attori e abitanti che ne {p. 43}sono parte costitutiva? La scala per renderlo gestibile è adeguata o ne riduce eccessivamente la complessità? Questi aspetti relativi al paesaggio sono così complessi che per molto tempo la pianificazione non ne ha trattato.

4. La pianificazione e il paesaggio

Abbiamo avuto in realtà una serie di riflessioni intorno alla pianificazione del paesaggio ben prima dell’esperienza dei piani paesistici [8]
e di quelli paesaggistici [9]
. Nel riconsiderare alcuni documenti fondativi della pianificazione territoriale della Regione del Veneto negli anni ’70, è sorprendente ritrovare una presenza rilevante del ruolo del paesaggio nell’interpretazione del proprio territorio [10]
. Ma negli ultimi decenni a livello disciplinare è stata più presente sulla scena l’architettura del paesaggio che, come noto, in realtà è l’arte dei giardini, l’arte di progettare spazi verdi di diversa dimensione, progetti che tuttavia generalmente non sono obbligati a confrontarsi con i conflitti relativi alle diverse trasformazioni che la pianificazione è chiamata in linea di principio a «regolare».
E proprio in relazione a una serie di grandi opere infrastrutturali è stata con una certa frequenza impiegata una tecnica che richiama nel proprio nome il paesaggio, l’ecologia del paesaggio. Nelle sue applicazioni operative il contesto paesaggistico è stato in molti casi ridotto a un insieme di tessere uniformi all’interno delle quali vengono lette e quantificate le componenti ecologiche (e solo queste), evidenziando quali modifiche ai progetti previsti possano evitare di distruggere le porzioni di superficie con i valori ecologici più elevati. {p. 44}
Il fatto di considerare il paesaggio come esclusivamente riferito agli aspetti naturali, ecologici, piuttosto diffuso negli stati nordoccidentali, stride molto con la nostra consapevolezza mediterranea.
In Italia, per l’intenso e antico popolamento di genti diverse, non abbiamo contesti davvero naturali, luoghi riconosciuti come tali a seguito di una mediazione culturale che li ha riconosciuti a un certo punto come prevalentemente naturali. È quindi sempre in gioco il rapporto tra natura e culture, che viene totalmente negato in questo tipo di procedure, con la conseguenza di legittimare la distruzione di ciò che non è naturale, ma esito della cura umana.
Anche nella pianificazione abbiamo una lunga serie di esempi di rappresentazione «riduzionista» del paesaggio. Oggi, con il senno di poi, le valutiamo tali, più o meno riuscite, più o meno limitate; ed è proprio a partire da questi limiti che la pianificazione ha provato a misurarsi con la sfida della complessità, con la sfida di rappresentare e codificare le relazioni del paesaggio che lo rendono significativo.

5. Sperimentazioni anti-riduzioniste

Per introdurre le modalità con cui la pianificazione ha trattato il problema di rappresentare il paesaggio in modo non riduzionista utilizzerò sia esemplificazioni pre-Codice che sperimentazioni condotte in relazione ai piani paesaggistici redatti ai sensi del Codice.
Inizio da due rappresentazioni alle quali ha contribuito un urbanista tra i primi a misurarsi con la pianificazione del paesaggio, Roberto Gambino (fig. 2). La prima è una rappresentazione, esemplare per semplicità ed efficacia, del «corema» dell’Unità di paesaggio Arquà Petrarca del piano del Parco dei Colli Euganei, risalente ai primi anni ’90; una rappresentazione molto interessante per la capacità di evidenziare in modo semplificato i caratteri del paesaggio e le relazioni fra diverse componenti. Caratteri del paesaggio e relazioni che li connettono sono in effetti due aspetti essenziali per comprendere un paesaggio. La {p. 45}seconda immagine, a destra, è una cartografia che intende restituire le diverse componenti paesaggistiche del territorio della Regione Piemonte.
Fig. 2. Corema Unità di paesaggio Arquà Petrarca, piano del Parco dei Colli Euganei, e Tavola P 4: componenti paesaggistiche, piano paesaggistico Regione Piemonte.
Non è facile, come si può notare, mantenere la medesima efficacia dimostrata nella rappresentazione di paesaggio che utilizza tecniche tradizionali quando si produce una cartografia con strumenti GIS. Il piano paesaggistico della Regione Piemonte, approvato nel 2017, ha avuto una gestazione molto lunga, alla quale ha collaborato nella fase iniziale Roberto Gambino. L’impostazione del piano paesaggistico piemontese e delle sue rappresentazioni nasce dalle sperimentazioni dei primi anni 2000, anche se verrà perfezionata in seguito, scontando una serie di aspetti che ne evidenziano i richiami alla rappresentazione del territorio tipica della pianificazione di impostazione funzionalista.
Chiaramente affrontare il paesaggio alla scala regionale, come potete vedere, implica un salto che rende problematica la capacità di rappresentare le relazioni che qualificano molti e diversi paesaggi. {p. 46}
Da questo punto di vista, i piani paesaggistici redatti ai sensi del Codice hanno costituito un’occasione rilevante di sperimentazione non solo sulle rappresentazioni del paesaggio, ma a monte, chiaramente, anche sul concetto di paesaggio che vi è implicato.
Queste esperienze hanno trovato un radicamento forte nelle componenti strutturali del paesaggio, cercando di coniugarli con gli aspetti percettivi, che nel paesaggio come è stato richiamato all’inizio giocano un ruolo estremamente rilevante. Se il riferimento è a un processo di pianificazione vi è infatti comunque la necessità di basare anche la rappresentazione degli aspetti percettivi su qualcosa di più solido, di più strutturale, riconsiderando tecniche di rappresentazione cartografica più antiche dell’epoca della modernità funzionale, e ibridandole con le tecniche GIS più avanzate.
Nel caso del piano paesaggistico della Regione Puglia, le cui modalità di redazione hanno consentito delle straordinarie sperimentazioni (fig. 3), vi sono stati diversi tentativi di rappresentazione prima di arrivare alle tavole di piano definitive.

6. Il patrimonio territoriale di lunga durata come nuovo riferimento qualificante

Queste diverse sperimentazioni condividono la ricerca di dare una rappresentazione adeguata al patrimonio territoriale di lunga durata, cioè l’insieme di manufatti, pratiche e saperi sedimentati nel territorio che sono pervenuti fino a noi attraverso una sedimentazione durata secoli, a volte millenni. Un patrimonio esito del rapporto tra esseri umani che, vivendo in un luogo, si sono misurati per prova ed errore con il contesto, cercando di costruire degli ambienti il più possibile abitabili, la cui permanenza nel tempo è anche indice degli aspetti di resilienza che queste trasformazioni hanno dimostrato di possedere rispetto agli eventi climatici, economici, demografici che hanno attraversato i vari secoli. Quindi questa sedimentazione è davvero qualcosa
{p. 47}di rilevante, dalla quale possiamo anche apprendere delle cose importanti approfondendo la conoscenza di ciascun paesaggio.
Note
[6] UNESCO, Recommendation on the Historic Urban Landscape, Paris, UNESCO, 2011.
[7] 1549 Beaux-Arts (Est., s.v. paisage: mot commun entre les painctres); 1551 (G. Gruget, trad. Les dialogues de M. Speron Sperone d’apr. A. J. Greimas ds Fr. mod. t. 17, p. 298); 1556 «ensemble du pays; pays» (Beaugue, Guerre d’Escosse, IV ds Littré), seulement au xvies., Hug.; 1573 «étendue de pays que l’oeil peut embrasser dans son ensemble» (Garnier, Hippolyte, 1224 ds Hug.). Dér. de pays1*; suff. -age*.
[8] Redatti ai sensi della l. 431/1985.
[9] Redatti ai sensi del vigente Codice nazionale dei beni culturali e del paesaggio.
[10] M. Basso e A. Marson, La pianificazione regionale nel Veneto: lo sfondo complessivo e un approfondimento sul tema del patrimonio culturale a base territoriale, in «Urbanistica Informazioni», 2023, n. 306, pp. 30-35.