Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c1

Anna Marson Tessere l’azione collettiva nel paesaggio

Notizie Autori
Anna Marson è professoressa ordinaria di Tecnica e pianificazione urbanistica presso l’Università IUAV di Venezia. Da aprile 2010 a giugno 2015 assessore all’Urbanistica, pianificazione del territorio e paesaggio della Regione Toscana. In tale ruolo ha promosso la riforma della legge Toscana di governo del territorio (l.r. 65/2014) e la redazione del piano paesaggistico regionale, approvato in copianificazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali nel 2015.
Abstract
A cosa ci riferiamo quando parliamo di paesaggio in questo campo dell’azione pubblica, collettiva? Come si è evoluto a questo riguardo il concetto di paesaggio negli ultimi decenni? Le trasformazioni più rilevanti sono consistite nel passaggio da una concezione di rilevanza paesaggistica che aveva come riferimento le strette pertinenze di singoli beni o manufatti, a un contesto più ampio significato dai beni stessi e a sua volta significante la comprensione e la qualità della fruizione dei beni, al contesto territoriale nel suo insieme. Ai beni paesaggistici (e quindi al paesaggio) è stato a lungo attribuito, per differenza rispetto ai beni monumentali e artistici, un carattere prevalentemente naturale, o "ambientale". Nel riconsiderare alcuni documenti fondativi della pianificazione territoriale della Regione del Veneto negli anni ’70, è sorprendente ritrovare una presenza rilevante del ruolo del paesaggio nell’interpretazione del proprio territorio. In realtà, le politiche pubbliche che trattano di paesaggio non si esauriscono nella pianificazione. Un ultimo aspetto è quello delle procedure di valutazione ambientale.
Negli ultimi anni ho avuto modo di occuparmi di pianificazione e politiche pubbliche per il paesaggio, a partire dalle mie competenze di pianificatrice territoriale, a diverse scale e da diverse prospettive, istituzionali e non [1]
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Ritengo importante iniziare trattando dell’evoluzione di alcuni concetti che sono direttamente in relazione con le pratiche di pianificazione, ma anche di costruzione e gestione delle politiche che possono incidere sul paesaggio, a partire dal concetto stesso di paesaggio; mi soffermerò su alcuni presupposti importanti, relativi all’interpretazione e alla rappresentazione dei contesti; ripercorrerò poi alcune tappe dell’evoluzione che il concetto di paesaggio ha avuto, nel contesto italiano, in relazione alle politiche pubbliche e più in generale all’azione collettiva.

1. L’evoluzione del concetto di paesaggio

A cosa ci riferiamo quando parliamo di paesaggio in questo campo dell’azione pubblica, collettiva? Come si è {p. 38}evoluto a questo riguardo il concetto di paesaggio negli ultimi decenni? Le trasformazioni più rilevanti sono consistite nel passaggio da una concezione di rilevanza paesaggistica che aveva come riferimento le strette pertinenze di singoli beni o manufatti, a un contesto più ampio significato dai beni stessi e a sua volta significante la comprensione e la qualità della fruizione dei beni, al contesto territoriale nel suo insieme.
Le immagini a seguire (fig. 1) ben esemplificano questo passaggio.
La prima immagine rappresenta il manufatto sul suo lotto di stretta pertinenza, che ne definisce il contesto fruitivo necessario per potervi accedere, e apprezzarne visualmente il rapporto con il contesto morfologico in cui è collocato. C’è voluto del tempo affinché da questo approccio, ancora testimoniato da diversi vincoli paesaggistici istituiti per decreto ministeriale [2]
si passasse a una concezione di bene paesaggistico come contesto più ampio caratterizzato da relazioni estetico-percettive che danno all’esperienza del tutto un valore ben superiore a quello delle sue parti. In questo caso il riferimento è all’immagine centrale, che rappresenta una veduta significativa dell’attuale Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Per chi abbia avuto la fortuna di visitarlo, questa immagine denota la cura del paesaggio rurale storico da parte di chi ha gestito il Parco, oggetto in anni recenti di molte pratiche interessanti di recupero della vegetazione e persino della fauna un tempo presente in questo contesto.
La terza e ultima immagine, a destra, rappresenta invece il Tempio della Concordia e il parco che lo circonda sullo sfondo del contesto esterno al Parco, comprendente le scomposte espansioni urbane della città di Agrigento realizzate nella seconda metà del XX secolo.
Come ben noto agli addetti ai lavori, è stata la Convenzione europea del paesaggio, strumento di soft law aperto alla firma degli Stati membri nel 2000 a Firenze, a {p. 39}convenire che tutto ciò, anche i contesti nei quali il bel paesaggio sia stato fortemente deturpato o comunque alterato e degradato, sia da considerarsi e quindi da gestire come paesaggio. Il paesaggio è dunque anche la relazione tra il bel monumento, il contesto più o meno salvaguardato che lo circonda e i luoghi di vita quotidiana delle popolazioni, e quindi le politiche pubbliche dovrebbero occuparsi di paesaggio tutelandolo ma anche e soprattutto curandone l’evoluzione e assicurandone la qualità.
Fig. 1. La Valle dei Templi ad Agrigento. Da sinistra a destra: il Tempio della Concordia, il Parco archeologico che ne costituisce il contesto visuale e fruitivo di prossimità, il contesto territoriale più ampio che include anche le urbanizzazioni del XX secolo.
I referenti di questa attenzione che le politiche pubbliche dovrebbero [3]
dedicare al paesaggio sono le popolazioni, a partire dagli abitanti, da coloro che vivono e lavorano in ciascun contesto, in relazione al contributo che la qualità del paesaggio di vita può dare al loro benessere complessivo. Ciò potrebbe sembrare un richiamo retorico, ma vi sono invece evidenze concrete che dimostrano come si tratti di un aspetto rilevante [4]
, e che tuttavia va gestito, non soltanto in termini di tutela, ma di accompagnamento attivo verso trasformazioni capaci di qualificarne i caratteri.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio nel 2004 riconosce questa evoluzione del concetto di paesaggio, {p. 40}dando all’art. 135 indicazioni normative avanzate a questo riguardo:
Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: «piani paesaggistici».
Il paesaggio, anche ai sensi del Codice, non sarebbe quindi costituito soltanto da alcuni luoghi di particolare valore, né dovrebbe essere affrontato in termini di zonizzazione, bensì di caratteri e relazioni che dovrebbero essere riconosciuti e qualificati. La compresenza, nel Codice, di disposizioni ben più estese relative ai singoli beni paesaggistici, istituiti attraverso zonizzazioni specifiche che in molti casi evidenziano forti limiti in relazione alle conoscenze e interpretazioni messe in campo dai piani paesaggistici, non aiuta tuttavia a dare attuazione, nei fatti, alla nuova concezione di ciò che va considerato paesaggio.
Così come non aiuta il fatto che in quasi tutti i procedimenti di decisione pubblica il paesaggio, in assenza di uno specifico vincolo, sia un interesse destinato a soccombere rispetto ai diversi obiettivi settoriali, rinforzando purtroppo il senso comune che il paesaggio possa essere difeso soltanto attraverso le tutele dei vincoli, e che altri strumenti di governo non esistano o non siano comunque efficaci.

2. Paesaggio come intreccio ed esito delle relazioni tra natura e cultura

Ai beni paesaggistici (e quindi al paesaggio) è stato a lungo attribuito, per differenza rispetto ai beni monumentali e artistici, un carattere prevalentemente naturale, o «ambientale». La stessa l. 431/1985, nell’individuare le aree vincolate ex lege, fa riferimento ad aree connotate da valori {p. 41}sostanzialmente ambientali (i territori coperti da boschi, ad esempio, indipendentemente dal loro valore paesaggistico e a prescindere dal fatto che la loro espansione contribuisca a distruggere paesaggi rurali storici; o le fasce lungo i corsi d’acqua pubblici, a prescindere dal fatto che l’acqua sia effettivamente presente) attribuendo loro valore paesistico.
Questa riduzione del paesaggio alle componenti ambientali di un determinato contesto non aiuta a far evolvere la concezione di ciò che è il paesaggio e dell’azione collettiva necessaria e utile ad assicurarne la qualità, tendendo invece ad omologarla alla tutela della natura. Ma, come scrive Alberto Magnaghi [5]
, la natura si tutela da sola, e lo farà probabilmente facendo finire anzitempo questa specie umana così ingombrante e nociva per l’ecosistema terrestre. Noi ci limitiamo in genere a tutelare alcune specie vegetali, la fruizione visiva di alberature, spazi aperti o altre componenti specifiche, non arrivando a riconoscere come al centro della caratterizzazione di ciascun paesaggio ci sia invece un’esperienza specifica, generalmente maturata in un tempo lungo, di coevoluzione fra natura e cultura. Sono le possibilità di continuare le coevoluzioni dimostratesi virtuose anche in termini di paesaggio a dover essere salvaguardate, non i singoli alberi o altre componenti che rappresentano il dito, e non la luna.
Considerati da questo punto di vista, i paesaggi hanno molto da insegnarci anche in termini di resilienza, in rapporto alle dinamiche ambientali, se soltanto apprendiamo a interrogarli.
La stessa UNESCO, che fino a qualche anno fa, nella sua pratica istituzionale corrente, distingueva tra patrimonio mondiale naturale e patrimonio mondiale di interesse culturale, negli ultimi anni ha riconosciuto come il paesaggio consista in una stratificazione storica di valori culturali e naturali [6]
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Note
[1] Dal ruolo esterno e complementare avuto in relazione al piano paesaggistico della Regione Puglia, per il quale insieme a M. Reho, D. Patassini e M.R. Vittadini abbiamo seguito la VAS del piano, al ruolo centrale nella promozione, redazione e approvazione del piano paesaggistico della Regione Toscana; dalla partecipazione alla redazione del primo (e finora unico) Rapporto sullo stato delle politiche per il paesaggio (MiBACT, 2017) alla presenza in qualità di esperta nell’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio; dall’esperienza «dal basso» di co-fondatrice di un osservatorio locale del paesaggio, al coordinamento del «Progetto di sperimentazione per l’attuazione del piano paesaggistico regionale» nell’Eporediese e in Alta Val Bormida promosso dalla Fondazione Compagnia di San Paolo insieme a Regione Piemonte e Segretariato regionale MiBACT/MiC (2019-2023), al ruolo di consigliere scientifico della Fondazione nazionale scuola del patrimonio.
[2] Oggi ex art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[3] Su questo aspetto rimando al citato Rapporto sullo stato delle politiche per il paesaggio, che esplora per l’appunto come una serie di politiche e procedure prendono in considerazione e trattano gli aspetti paesaggistici. Purtroppo il fatto stesso che il Rapporto, previsto come biennale, sia rimasto un riferimento isolato e non più aggiornato ben rappresenta la scarsa attenzione del nostro governo statale a questo tema.
[4] Cfr. il cap. 1 del Rapporto di cui alle note precedenti.
[5] Questo riferimento è presente in più saggi, da ultimo A. Magnaghi, Il principio territoriale, Torino, Bollati Boringhieri, 2020.
[6] UNESCO, Recommendation on the Historic Urban Landscape, Paris, UNESCO, 2011.