Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c27
È certamente vero che prevedere percorsi formativi «separati» per chi si occupa di disabilità significa, di fatto, paventare professioni ugualmente separate e dunque un portare le persone con disabilità a essere gestite, anche sul piano della scolarizzazione, in contesti disattenti, poco formati, che portano facilmente a «regimi di separazione» (ovvero non inclusivo, per non dire, spesso, segregante) [17]
. È altrettanto vero che la gestione di situazioni di disabilità (complesse), tanto nella scuola quanto nel sistema dei servizi, non può non prevedere, almeno per ora, formazioni specifiche. La non ordinarietà della disabilità in tutte le sue condizioni, e a maggior ragione per le situazioni più complesse, è sempre un terreno su cui si sedimentano stereotipi, pregiudizi, paure che, se non seriamente affrontati né risolti a partire dai professionisti, producono, sempre, forme di stigmatizzazione e inferiorizzazione [Schianchi 2021]. In che modo il sistema formativo affronta queste situazioni entro le quali non possono che riprodursi culture e pratiche assistenzialistiche, svilenti e non centrate su quella che la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, nel suo Preambolo, indica come «la promozione del pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte delle persone con disabilità»?
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È impossibile non dire che, allo stato attuale, la formazione universitaria di base prevista per i diversi inquadramenti professionali è ancora lontana dall’affrontare, anche solo sul piano teorico-formativo, le questioni più complesse e critiche legate alle condizioni di disabilità. In questo senso, la formazione ricevuta rischia facilmente di essere «lavata via» all’interno dei luoghi e delle dinamiche professionali, spesso basate sull’assistenzialismo e la meccanica soddisfazione di bisogni primari.
Una solida consapevolezza non assistenzialistica, realmente orientata verso sviluppo, autodeterminazione e partecipazione delle persone con disabilità non fa certamente parte di un senso comune né collettivo, né accademico. Siamo ancora in una fase sociale, culturale e formativa in cui è necessaria una preparazione specifica, approfondita, accurata delle questioni della disabilità. Anche dagli esiti di questi percorsi formativi dipende il grado di preparazione e di consapevolezza dei futuri professionisti di alcune questioni decisive, soprattutto alla luce delle dinamiche, brevemente delineate, a cui è poi sottoposta nel mondo professionale.
In questo senso, una più solida formazione dovrebbe essere orientata attorno a una maggior conoscenza, interdisciplinare, delle disabilità. Su questo fronte è necessario evidenziare che, nello scenario italiano sono di fatto assenti quelli che altrove si chiamano Disability Studies che, da oltre trent’anni, hanno avuto il merito di fare ricerca, secondo una prospettiva multidisciplinare, attorno alle numerose questioni che riguardano i temi della disabilità, anche a partire dallo studio e dalle conoscenze delle stesse persone con disabilità che, in molti casi, hanno curricola accademici, ruoli di docenza e responsabilità scientifica in prestigiose università, centri di ricerca, riviste scientifiche [18]
. È certamente necessario che le discipline che formano le professioni che si occupano di disabilità incrocino maggiormente questi dibattiti e queste conoscenze.
Note
[17] Senza alcuna valenza generale, sono indicativi alcuni dati emersi da questionari che ho somministrato a partecipanti agli insegnamenti che tengo presso il corso TFA sostegno dell’Università di Milano-Bicocca per docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Per la scuola secondaria di primo grado, alla domanda sul coinvolgimento del dirigente scolastico sui temi della disabilità il 32,2% (70 risposte) segnala un interesse reale e attivo, mentre la maggioranza 67,8% (148 risposte) indica attenzioni formali, burocratiche e una completa delega agli insegnanti specializzati. Gli insegnanti dello stesso corso per la scuola secondaria di secondo grado non si discostano molto da questo dato: il 39% (85 risposte) segnala un interesse reale e attivo, mentre la maggioranza 61% (133 risposte) segnala attenzioni formali, ecc. Anche l’interesse dei colleghi curricolari ai temi della disabilità è indicativo e coinvolge direttamente anche le questioni formative. Per oltre un quarto degli insegnanti dei due ordini scolastici, il coinvolgimento didattico dei colleghi curricolari potrebbe esserci se fossero più formati. Tuttavia, da questi stessi dati, risulta che le forme di aggiornamento sui temi della disabilità realizzate dai diversi istituti scolastici non sono obbligatorie e sono spesso disertate dagli insegnanti curricolari che non hanno, e continuano a non avere, alcuna formazione specifica in materia.
[18] La ridotta presenza accademica di persone con disabilità in Italia è, in sé, un elemento che segnala le ridotte opportunità delle persone con disabilità di accedere alle scuole di dottorato, ai ruoli della ricerca e della docenza universitaria e il ridotto impatto dello studio e della ricerca sui temi della disabilità nello scenario accademico italiano.