Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c3
Una indicazione pregiudiziale emersa
in modo costante {p. 103}dall’indagine riguarda la consistenza e la
durata storica delle sezioni sindacali analizzate. Nonostante queste siano state
prescelte in zone e in aziende provviste di tradizioni sindacali fra le più antiche in
Italia (ci si riferisce qui in particolare a Milano e a Brescia), molto di rado si è
trovata traccia di una loro presenza organizzata sufficientemente continua. A parte la
scarsa precisione sovente verificata nelle dichiarazioni degli intervistati
[8]
, che già conferma una sommaria percezione del problema, una simile traccia
si è riscontrata in non più di 6 aziende di grandi dimensioni (situate nelle due
province indicate), del tutto singolari per la loro importanza non solo economica, ma
politica nell’intera zona e, proprio per questo, fatte oggetto da tempo di un’attenzione
particolare dai sindacati locali di categoria. Per tale importanza esse presentano di
solito al loro interno una tradizione di vita collettiva organizzata, sia sindacale sia
politico-partitica, di continuità altrettanto eccezionale, in larga misura precedente o
autonoma rispetto alla esistenza dei medesimi sindacati provinciali. Sono queste fra le
aziende più rilevanti in cui si riforma{p. 104}no i primi centri
organizzati di attività sindacale alla fine della seconda guerra mondiale, quasi sempre
legati e in parte identificati con gruppi politico-partitici (nel caso della FIM, di
prevalente derivazione cattolica)
[9]
. Già una simile connotazione caratterizza le prime organizzazioni sindacali
d’azienda come gruppi provvisti di un elevato grado di compattezza e di identità
ideologica. A ciò si aggiunga che nella maggior parte dei casi tale compattezza è
ulteriormente accresciuta dall’ambiente altamente conflittuale creato dalla
contrapposizione di questi gruppi con la forte presenza organizzata della CGIL e delle
organizzazioni social-comuniste. L’importanza e la fecondità di queste sezioni è tale
che da alcune di esse viene addirittura un contributo decisivo alla formazione dei
quadri sindacali provinciali e alla conduzione degli organismi direttivi provinciali,
specie all’inizio della loro vita come organi di un autonomo sindacato di categoria. Il
che assume tanto maggiore significato, in quanto le aziende in parola non rappresentano
una parte di per sé preponderante dell’assetto industriale delle province in questione
(Milano e Brescia) né dei lavoratori sindacalizzati (cfr. tabelle n. 1a e 1b in
appendice) e ripetono quindi palesemente la propria influenza sindacale più dalla
consistenza delle loro organizzazioni interne che dal mero fatto dimensionale. Nei casi
indicati, che rappresentano quasi sicuramente la totalità di quelli esistenti nelle
province esaminate, la durata storica dell’organizzazione sindacale in azienda appare —
ed è percepita dagli interessati — come un dato ininterrotto,
¶{p. 105}rivelandosi di per se stessa una prova non comune della
consistenza organizzativa del gruppo. Tale continuità si dimostra persistente fino alle
vicende più recenti, ove le organizzazioni sindacali delle aziende in questione si
presentano quasi sempre fra le più attive e anticipatrici. Si tratta peraltro, anche in
questo caso, di una percezione di continuità alquanto sommaria, affidata per lo più al
ricordo di singoli, ma apparentemente di scarsa influenza sul presente
dell’organizzazione, toccata qui come altrove da un altissimo grado di ricambio generazionale
[10]
.
Al di fuori di queste ipotesi
l’origine dell’esistenza di nuclei organizzati sindacali interni ai luoghi di lavoro
viene denunciata come marcatamente recente e fatta risalire di regola a tempi compresi
negli ultimi 3-4 anni. Il rilievo sta ad indicare in alcuni casi una radicale novità
della stessa presenza sindacale nelle aziende
[11]
, in altri il carattere del tutto precario delle esperienze organizzative
precedenti, cioè la mancanza di strutture e di vita associativa proprie sia pure
rudimentali, tali da distinguerle ¶{p. 106}dal mero gruppo informale di
attivisti e da garantirne un minimo di continuità nel tempo. Si ha già qui una prima
idea della sfasatura temporale esistente, nella maggior parte delle ipotesi considerate,
fra le direttive sindacali sulla politica organizzativa in azienda e la loro concreta
attuazione. Questa limitatezza della tradizione storica dell’istituto risulta talmente
marcata da imporsi come un elemento decisivo di riflessione per comprendere il suo
attuale atteggiarsi, e la contraddittorietà delle prove fornite di fronte alle più
recenti vicende sindacali.
Un’altra caratteristica generale dei
gruppi aziendali esaminati consiste nella estrema scarsità di produzione normativa sulla
propria organizzazione e sul proprio assetto istituzionale.
Nella quasi totalità dei casi si
riscontra un’assenza completa di disciplina statutaria, regolamentare o di qualsiasi
altra forma, autonomamente elaborata dal gruppo, ed è a mala pena individuabile un
rinvio, per lo più implicito e spesso impreciso, alla normativa delle strutture
sindacali superiori. Anche nelle poche sezioni (5) dove esiste una disciplina statutaria
o regolamentare materialmente distinta
[12]
, il contenuto delle norme è in larga misura riprodotto sul modello, del
tutto schematico, proposto dal rispettivo sindacato provinciale, cui spetta tuttora
formalmente il compito di definire, in base alle linee fondamentali stabilite dal
consiglio generale della federazione, le modalità di costituzione e i compiti
dell’organizzazione aziendale (art. 53 statuto nazionale della FIM, 1969). Le varianti
statutarie o regolamentari autonomamente introdotte da ¶{p. 107}qualche
sezione aziendale sono di solito poco significative e riguardano aspetti meramente
applicativi della disciplina superiore: ad esempio, il numero e la composizione degli
organi, la ripartizione dei compiti fra i loro componenti, le modalità tecniche delle
elezioni e simili. Del resto la situazione non è diversa in molti sindacati provinciali,
che non sempre fanno uso del potere, pure ad essi spettante, di autodeterminare
specificamente la propria struttura interna, limitandosi per lo più a fare rinvio alla
disciplina tipica valida per tutta l’organizzazione nazionale, salvo poi non rispettarla
e modificarla di fatto
[13]
.
La specificazione forse più
interessante registrata nella disciplina delle SAS nelle zone in esame — nel caso
dell’Alfa Romeo di Milano, Arese e Filiale elaborata a livello di sezione, nelle 3
aziende di Treviso e Pordenone riprodotta sullo schema proposto dal sindacato
provinciale — prevede una valorizzazione dei nuovi compiti dell’istituto in materia
contrattuale, dalla fase di amministrazione fino alla vera e propria conclusione del
contratto collettivo. Occorre notare subito come in questa ipotesi la tendenza al
rafforzamento funzionale dell’istituto si traduca, nella normativa regolamentare e nella
interpretazione degli interessati, in un rafforzamento del direttivo della sezione e
ancora più del suo organo di segreteria
[14]
, in cui vengono a concentrarsi in prospettiva i poteri più significativi
nell’esercizio delle nuove funzioni contrattuali
[15]
.¶{p. 108}
Una simile valorizzazione
dell’organo individuale del gruppo si inserisce in una logica emersa abbastanza
univocamente nell’esperienza in questione, come risulterà chiaro considerando più in
generale l’effettivo grado di funzionamento dei vari organi associativi. Anzi proprio in
questa configurazione del ruolo del segretario di SAS si esprimono gli aspetti più
ambigui della formula organizzativa aziendale, sia nei rapporti con la generalità dei
lavoratori sia con le strutture sindacali territoriali. Non a caso emerge di frequente
negli stessi documenti ufficiali del sindacato la duplice posizione del segretario come
«rappresentante dei lavoratori iscritti» dell’azienda e come «diretto delegato del
sindacato» di categoria; ove l’ambiguità della figura si traduce in termini testuali,
che sembrano sfiorare il paradosso e che comunque ricordano chiaramente l’impostazione
tradizionale della SAS sopra analizzata
[16]
.¶{p. 109}
Nella generalità dei casi dunque
l’assetto fondamentale delle sezioni sindacali risulta definito secondo uno schema
alquanto sommario e standardizzato, riprodotto di massima per rinvio alla disciplina
tipo prevista a livello nazionale. Ciò vale sia per l’aspetto funzionale, per cui manca
di solito qualsiasi specificazione circa l’esercizio dei poteri attribuiti alle sezioni
sindacali, sia per le strutture organizzative, che non presentano in genere
particolarità di rilievo, conformandosi alle forme più comuni nella esperienza
associativa. Così è, ad esempio, degli organi associativi (che sono tre, come di
consueto: l’assemblea, il direttivo, il segretario)
[17]
, delle modalità del loro funzionamento, delle rispettive competenze per la
conduzione dell’azione sindacale in azienda, del procedimento per la loro formazione
(sia il segretario che il direttivo devono essere eletti ogni anno, a scrutinio segreto,
rispettivamente dal direttivo al suo interno, e dall’assemblea in numero proporzionale
agli iscritti)
[18]
. Su una simile caratteristica generale non sembrano influire in modo
rilevante né la dimensione del gruppo né la sua consistenza storica e organizzativa, in
quanto essa è verificabile in misura pressoché identica in tutte le ipotesi esaminate,
dalle sezioni più piccole (con poche decine di iscritti) e di recente costituzione, a
quelle provviste di ragguardevole tradizione e comprendenti diverse centinaia di soci.
Appunto per tale caratteristica, i gruppi in esame rientrano tutti fra i casi
paradigmatici in cui il momento normativo assume rilievo marcatamente ridotto nello
svolgimento dell’attività esterna ed interna del gruppo. Così questa riveste non solo
uno scarsissimo grado di formalismo, ma spesso si sottrae a qualsiasi regola
predeterminata, assumente caratteri di sostanziale
¶{p. 110}imprevedibilità. Tanto più che anche i pochi tratti di
disciplina esistente sono, come si vedrà, alquanto precari, per la mutevolezza che li
contraddistingue e soprattutto per la parzialità ed elasticità della loro applicazione.
Note
[8] Pur essendo fra di essi sempre compresi soggetti con alta anzianità aziendale e sindacale, queste dichiarazioni presentano molte lacune e in qualche caso contraddizioni così gravi da renderle scarsamente attendibili. Tali imprecisioni non sono d’altra parte di solito correggibili con fonti di informazioni più sicure, ad esempio, di carattere documentale, data la quasi totale mancanza di «memoria scritta» risalente nel tempo, caratteristica di questi organismi (e degli stessi sindacati provinciali). Esse si ricollegano, e in parte si spiegano, col fatto che la percezione della continuità storica rimane, nella generalità dei casi, a livello individuale e non trova riscontro alcuno nella prassi delle strutture organizzative (vedi oltre nel testo). È infine comune che queste strutture presentino nel tempo andamenti irregolari, alternando periodi di relativo sviluppo a momenti di stasi o di quasi paralisi: il che ne rende ancora più precaria la continuità istituzionale. I casi più tipici riguardano, ad esempio, sezioni sindacali (almeno 7), la cui prima costituzione viene fatta risalire agli anni 1960-61, ma che in seguito sono pressoché scomparse come forme organizzate, per riemergere come tali solo negli ultimi tre-quattro anni. Un segno della particolare vitalità storica delle organizzazioni sindacali delle aziende sopra menzionate si può trovare nella stampa periodica nazionale, specie in «Ragguaglio metallurgico», che negli anni ’50 dedica di tanto in tanto cronache specifiche alla loro attività. I nomi che ricorrono più di frequente, per le provincie in esame, sono quelli dei gruppi o sezioni aziendali dell’Innocenti, Borletti, Alfa-Romeo, Face, M. Marelli, Redaelli, F. Tosi, OM (di Brescia).
[9] Paradigmatici al riguardo sono a Milano i casi dell’Alfa Romeo, dell’Innocenti e, in misura minore, della Borletti, caratterizzati allora da una situazione di intensa sindacalizzazione (fino al 95% degli operai all’Innocenti), da ampi poteri delle prime organizzazioni rappresentative (Commissioni interne e consigli di gestione). Particolarmente intensa è la vita organizzata sindacale in questo periodo in 2-3 aziende di Brescia (ad esempio, la Glisenti). Più tarda e difficile è la penetrazione della CISL nelle grandi aziende di Sesto S. Giovanni, caratterizzate fino dall’inizio da una fortissima prevalenza della CGIL (le prime a riscontrare una consistente presenza della FIM sono la Magneti e la Ercole Marelli, ma quest’ultima già alla fine degli anni ’50). Di formazione generalmente più recente (pure verso la fine degli anni ’50) è l’organizzazione della FIM, come la stessa industrializzazione, in provincia di Treviso.
[10] È significativo come fra gli attuali quadri dirigenti delle sezioni sindacali considerate nessuno ricoprisse posizioni di rilievo in periodo antecedente all’inizio degli anni ’60, e come quelli allora preminenti siano largamente emarginati. Una anzianità più consistente si riscontra in alcuni membri di commissione interna; si tratta peraltro di pochi casi (5-6), menzionati come del tutto anormali, e soggetti a continua riduzione negli ultimi anni. Sull’età media degli attivisti di sezione in provincia di Milano, vedi i dati forniti dalla relazione su La politica organizzativa, al VI Congresso provinciale della FIM milanese, n. 7, p. 19: su 383 attivisti considerati, appartenenti a 83 aziende oltre i 400 dipendenti ove la FIM è presente, 129 hanno meno di 25 anni, e 164 sono fra i 25 e i 35 anni. Analoghe proposizioni di ricambio sono del resto verificabili in media a livello di quadri dirigenti provinciali, secondo una tendenza già ricordata, che caratterizza queste strutture come particolarmente giovani o di «memoria corta».
[11] Si tratta per la FIM di un numero non trascurabile di unità produttive, in cui solo di recente essa si è affermata: vedi i dati, già di per sé significativi, delle tabelle 1A e 1B in appendice, sulla progressione degli iscritti a partire dal 1966, che indicano diverse aziende ove la presenza della FIM è appena incipiente. Sulla scarsa anzianità di costituzione delle sezioni sindacali vedi anche i risultati di una ricerca condotta a cura dell’ufficio formazione dell’unione CISL di Milano, alla fine del 1967 (nel Quaderno n. 4, La presenza del sindacato nei luoghi di lavoro). Su 48 sezioni riscontrate esistenti, in un campione di 100 aziende (di 6 settori diversi, e con 31 aziende metalmeccaniche), 34 risultano costituite da meno di 5 anni.
[12] La scarsa importanza o addirittura l’inutilità di una simile disciplina formale per le organizzazioni di fabbrica è sottolineata quasi con ostentazione dagli interessati, che del resto mostrano spesso di ignorarla. Per l’assetto generale dell’istituto (organi, finanziamento, potere disciplinare, rapporti con le strutture territoriali superiori) si ritiene semmai sufficiente la normativa generale dettata da queste ultime. Per lo svolgimento dell’azione sindacale e per il funzionamento concreto degli organi si decide con delibere di volta in volta o si procede in via di fatto, anche contrariamente alle regole generali (vedi, più avanti, gli esempi delle modalità di elezione degli organi e delle iniziative unitarie con le altre organizzazioni).
[13] Fra i sindacati provinciali in esame, la disciplina statutaria più elaborata, sia sul proprio funzionamento interno sia sulle SAS, è quella dettata dalla FIM di Brescia. Le varianti di maggior rilievo, comuni agli statuti di tutti questi sindacati, riguardano la possibilità, già prevista peraltro dalle direttive generali della federazione, per le sezioni sindacali superiori a certe dimensioni di eleggere direttamente uno o più rappresentanti del direttivo provinciale (vedi nota 39), il numero e la rappresentanza delle SAS nei consigli di zona (molto più consistenti, in tutte le province in esame, di quella prevista in generale dall’art. 59 del regolamento di attuazione dello statuto nazionale), l’incompatibilità delle cariche direttive provinciali, zonali ed esecutive aziendali (CI, SAS, CTP) con incarichi rappresentativi politici ed amministrativi e incarichi direttivi di partito a tutti i livelli.
[14] L’art. 51 del regolamento di attuazione dello statuto nazionale prevede un segretario, con la possibilità di eleggere uno o due vicesegretari nel caso di sezioni superiori a 500 iscritti.
[15] La tendenza al rafforzamento del segretario è particolarmente evidente nel regolamento della sezione dell’Alfa Romeo (vedilo riportato in appendice): al direttivo spetta di «promuovere le vertenze aziendali e di seguirne l’andamento» (art. 3), mentre il segretario ha il compito di condurle direttamente, assumendo «su delega del sindacato l’incarico di contrattualista» (art. 6) e usufruendo per tale fine di appositi permessi, retribuiti dall’azienda, ove possibile (il che è avvenuto, vedi nota 37), o altrimenti «sostenuti dal fondo della SAS». Secondo gli altri regolamenti in questione l’esercizio della contrattazione compete originariamente alla SAS, che l’esercita tramite un comitato composto dal Segretario e da una rappresentanza del direttivo da questo designata ad hoc (con la possibilità di intervento di un rappresentante del sindacato provinciale e, in accordo con la SAS, dell’unione sindacale provinciale). Questi nuovi compiti del segretario di SAS dovrebbero, secondo gli intervistati, esplicarsi anzitutto nella trattazione delle questioni sottoposte al comitato tecnico paritetico di accertamento (al riguardo l’esperienza è già avviata: vedi nota 60) e in secondo grado discusse con le competenti associazioni imprenditoriali; per allargarsi poi alla generalità delle vertenze di reparto e al limite al rinnovo di accordi riguardanti l’intera azienda.
[16] Così, ad esempio, l’art. 51 del regolamento d’attuazione dello statuto FIM-CISL (approvato nel 1965 e tuttora non abrogato), che indica nel segretario «il rappresentante del sindacato nell’azienda», cui «spetta la direzione della SAS» appunto «quale diretto delegato del sindacato di categoria, oltre che rappresentante dei lavoratori iscritti»; e analogamente il regolamento della sezione dell’Alfa Romeo. È la stessa concezione ambivalente che si trova nella legge francese del 27 dicembre 1968, per il delegato sindacale d’azienda e per la sezione sindacale.
[17] Le varianti più significative riguardano talora la presenza di un esecutivo intermedio fra il direttivo e la segreteria (così, ad esempio, all’Alfa Romeo, alla Ercole Marelli), il carattere collegiale della segreteria (così nelle aziende di Treviso e Pordenone).
[18] Così gli artt. 51 e 49 del regolamento di attuazione dello statuto nazionale, peraltro largamente disattesi non solo di fatto, come si vedrà, ma dalla stessa disciplina inferiore (il termine di durata in carica del direttivo è ad esempio allungato a 2 anni da regolamento della FIM di Brescia, art. 1; e da quello della sezione dell’Alfa Romeo, art. 10).