Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c1
Non è dunque una novità dell’ultimo anno né la collocazione curricolare dell’orientamento, né la logica di processo
{p. 16}formativo attribuitagli, lo diventa perché le attività di orientamento, affidate all’iniziativa delle singole scuole, non essendo definite a livello centrale come vincolate a un peso orario, hanno di fatto prodotto un’incredibile varietà di risposte e di equivoci e sovrapposizioni, nonché di mancate risposte.
Le esperienze significative tradotte in politiche educative istituzionali a livello di scuola, di area, di regione che hanno assunto una logica formativa e verticale sono davvero poche.

3. Una storia breve ma intensa

Nel 1947, padre Gemelli, uno dei più importanti pionieri dell’orientamento, già sosteneva l’importanza della collocazione dell’orientamento all’interno della scuola e la necessità di non «costringere i giovani per una determinata via» perché così «viene lesa la fondamentale libertà della persona umana» [Gemelli 1947, 147].
In Italia è solo negli anni Cinquanta che l’orientamento assume veste istituzionale: con il d.p.r. del 18 dicembre 1954, n. 1512, si approva lo statuto dell’Ente nazionale per la prevenzione degli infortuni (ENPI) in cui vengono, tra le altre cose, elencate le azioni che l’Ente svolge per adempiere ai propri scopi, tra queste, alla lettera c) si trova «istituisce servizi specializzati per l’orientamento professionale dei lavoratori». In quegli stessi anni i Consorzi provinciali per l’istruzione tecnica [4]
iniziano ad affrontare il tema dell’o{p. 17}rientamento. L’approccio di riferimento era quello di tipo psico-attitudinale [5]
.
Se dunque un interesse per l’orientamento in Italia si può far risalire a circa ottant’anni fa, occorre situare la peculiare esperienza italiana, rispetto allo sviluppo degli studi e della ricerca sull’orientamento.

3.1. Le fasi storiche dell’orientamento

L’orientamento se inteso come una pratica finalizzata a dirigere, guidare o sostenere il soggetto nella scelta del proprio percorso formativo, professionale, esistenziale e di inserimento sociale, in qualche forma, è sempre esistito. Tradizionalmente la famiglia e, alle nostre latitudini, la Chiesa hanno rivestito ruoli persino ingombranti in tal senso.
In epoca pre-industriale, la funzione di orientare era svolta principalmente dai membri più anziani del nucleo familiare o, in alcune società, del gruppo più ampio di riferimento.
La famiglia ha rivestito sia una funzione di indirizzo e limite (ciò che devi/dovresti fare, ciò che non puoi fare) e di regolazione etica (ciò che si fa, ciò che non si fa), la Chiesa, in quanto «autorità morale», ha fornito indicazioni {p. 18}alle persone in un modo diretto quanto efficace su come comportarsi per essere riconosciute come parte di una comunità che «garantisce» una ricompensa successiva. Quello che è buono e quello che è giusto e quello che è cattivo e che è ingiusto, ciò che è adeguato e ciò che non è adeguato. Per lunghi tratti, inoltre, la Chiesa ha fornito un contributo all’ordine sociale invitando ciascuno all’accettazione della propria collocazione nella società (l’implicito è che quella collocazione sia «voluta da Dio»), dell’ordine stabilito come condizione per ricevere una ricompensa poi, nell’oltranza. Premio e punizione erano, dunque, i due estremi, a volte esplicitati, a volte lasciati sottesi, con i quali, di fatto, si favoriva il mantenimento dello status quo, spesso, nei secoli, invece terribilmente ingiusto e violento [Boerchi 2012].

3.1.1. Di padre in figlio

Per un tempo lunghissimo l’orientamento, anche prima di emergere come area di ricerca e pratica definita e autonoma, ha avuto una funzione direttiva e adattiva nei confronti dei soggetti, al servizio di interessi estranei ai soggetti «orientati» e che fuori da loro risiedevano. Anche laddove il contesto in cui si era inseriti non era al servizio di interessi specifici l’individualità del soggetto, i suoi bisogni e le sue motivazioni non venivano prese in considerazione, il destino del soggetto veniva definito da altri e il suo contributo non ritenuto indispensabile.
La realizzazione di una persona non era contemplata, non era necessaria, non era «pensata»: la vita era quella che era, veniva ricevuta e gestita più che costruita e il destino di una persona si svolgeva quasi sempre e quasi esclusivamente all’interno del contesto socio-economico di origine. Più la posizione sociale di partenza stava in basso e più la vita era pensata (da altri) in funzione di altri/di altro. Cambiamenti e ascese sociali rappresentavano rarissime eccezioni [Boerchi 2012].
L’emersione della famiglia mononucleare, che ha dominato la scena occidentale per oltre cento anni, molto legata {p. 19}all’urbanizzazione, ha assegnato il compito di orientare alla coppia genitoriale, in particolare all’uomo.
Semplificando possiamo affermare che alle nostre latitudini il figlio veniva fortemente indirizzato alla prosecuzione del lavoro svolto dal padre, la figlia veniva collocata nel lavoro domestico o, dove presente, nell’attività agricola o commerciale di famiglia. La continuità padre figlio era così radicata nella cultura del passato che anche con l’emersione della società industriale per lungo tempo molte industrie hanno esplicitamente favorito/garantito l’assunzione di padre in figlio.
Già nei primi anni del Novecento si comincia a dare il nome di orientamento alle attività che venivano svolte con e per i soldati rientrati dalle guerre al fine di ricollocarli, professionalmente, nella società [6]
. Proprio all’inizio del Novecento si fa, convenzionalmente, iniziare la storia dell’orientamento anche se già nel 1885 George Merrill aveva avviato il primo programma di orientamento scolastico-professionale attraverso il counseling, teso a indirizzare e ottimizzare le scelte professionali di chi terminava le scuole secondarie di secondo grado [Savickas 2009].
Il successo fu tale da facilitare l’approvazione di cambiamenti normativi che facilitarono l’emersione di altre iniziative di orientamento.
La storia dell’orientamento, ma soprattutto della riflessione sistematica e della ricerca sull’orientamento è riassumibile in poche fasi storiche (tab. 1).
Negli ultimi trentacinque anni il sistema educativo e di istruzione ha assunto un’importanza sempre maggiore rispetto alle attività di orientamento, in coincidenza con l’emersione di un grande paradigma che pensa all’orientamento come dispositivo di progressivo apprendimento e di progressiva autonomia: le persone per potersi orientare, per progettarsi e progettare il proprio percorso formativo {p. 20}e professionale hanno bisogno di conoscersi e di sviluppare abilità e competenze [Sicurello 2020].
Tab. 1. Fasi storiche dell’orientamento dal punto di vista del sistema di istruzione
Periodo
Fase
Parole chiave
Idea fondamentale di soggetto che si orienta
Strumenti principali di orientamento
Inizi del Novecento
Diagnostico-attitudinale
Attitudine. Attività lavorative/professioni
Idea di mettere l’uomo giusto al posto giusto sulla base delle sue attitudini
Test attitudinali
Anni Trenta
Caratterologica-affettiva
Interessi
L’importanza di integrare ciò che un soggetto è in grado di fare con ciò che gli interessa
Questionari, test, inventari degli interessi lavorativi
Anni Cinquanta
Clinico-dinamica
Bisogni profondi
Motivazioni e bisogni profondi e inconsci
Colloquio psicologico/psicanalitico
Anni Sessanta
Maturativo-personale
Persona
Centralità della persona che si orienta
Colloqui di facilitazione dei processi di autorientamento
Anni Settanta e Ottanta
Funzionale-produttivo
Scuola, mondo del lavoro
Incrocio tra desideri e obiettivi e richieste del mondo del lavoro
Informazione orientativa, conoscenza del mondo del lavoro
Anni Novanta
Emersione progressiva (già dagli anni Sessanta) del ruolo educativo e formativo dell’orientamento
Scolastico-formativa
Successo formativo.
Protagonismo del soggetto
Centralità del percorso formativo adeguato. Supporto, consiglio nelle fasi di passaggio e scelta. Emersione di metodi centrati sul soggetto
Informazione orientativa, colloqui di orientamento
Anni Duemila
Affermazione del paradigma formativo in orientamento
Empowerment dei soggetti.
Orientamento long life
Incremento del potere del soggetto sulla propria vita e sulle proprie scelte, in relazione con gli altri. Bisogno di orientamento per tutto l’arco della vita
Orientamento di gruppo, percorsi formativi di orientamento
Oggi
Curricolo orientativo iniziale situato nel percorso educativo e di istruzione.
Progetto di vita
Centralità dello sviluppo delle abilità e competenze atte a gestire il proprio progetto di vita.
Perdita di significato delle distinzioni tra orientamento scolastico, professionale…
Costruzione di curricoli orientativi in verticale
 
 
 
 
 
Note
[4] Con la legge 7 gennaio 1929, n. 7, venne istituito in ogni provincia un Consorzio per l’istruzione tecnica con sede presso il Consiglio provinciale dell’economia. Questi Consorzi, la cui finalità era quella di elaborare e proporre programmi scolastici mirati a livello locale, in relazione alle esigenze delle attività economiche presenti sul territorio a livello locale e nazionale, ricevevano contributi da Stato, province, comuni, associazioni professionali e da privati. Avevano personalità giuridica ed erano sottoposti alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1977 i Consorzi sono stati soppressi: i beni e il personale sono stati trasferiti alle regioni competenti ma pare definirsi un’eccezione nel d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, art. 39: «Le relative funzioni, i beni e il personale sono trasferiti alle regioni, ad eccezione delle funzioni di orientamento scolastico che sono attribuite ai distretti scolastici», tuttavia si reperiscono leggi regionali del 1978 per le quali il personale assunto con funzione di orientatore viene trasferito, come il resto del personale, alla regione.
[5] Occorre dire che in Italia i due paradigmi dominanti, sino alla fine del secolo scorso, sono stati senza dubbio quello psico-attitudinale e quello informativo. Tanto è stato il loro peso che se ne trovano tracce evidenti in molteplici pratiche orientative odierne. L’approccio psico-attitudinale pretendeva di ottimizzare le probabilità di successo delle scelte indirizzate a specifici campi di studi o settori occupazionali verificando la corrispondenza del soggetto alle richieste del ruolo. Si parla invece di un paradigma informativo nei periodi (fine anni Settanta-fine anni Novanta) in cui l’attenzione è stata rivolta verso l’informazione, ritenuta non solo importante, ma spesso sufficiente per elaborare progetti e compiere scelte consapevoli. I temi oggetto di informazione hanno riguardato le dinamiche del mercato del lavoro, le occupazioni emergenti, le offerte formative, le tendenze occupazionali.
[6] Fin dal 1917 si svilupparono test di abilità mentale per valutare l’idoneità dei soldati impegnati nella Prima guerra mondiale. Più tardi, nel 1920, iniziarono a circolare i primi test attitudinali volti a misurare i reali interessi professionali.