Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c1

Capitolo primo Storia, funzione e senso dell’orientamento. Dal paradigma formativo al curricolo in verticale
di Federico Batini

Abstract
L’orientamento viene chiamato in causa, nel dibattito pubblico, quando ci si riferisce ai costi sociali ed economici connessi alla dispersione scolastica: all’interruzione precoce degli studi, alla durata protratta ed eccessiva degli stessi o al completamento senza acquisizione degli apprendimenti previsti. Il decreto del 22 dicembre 2022, n. 328, con il quale viene riformato l’orientamento all’interno del sistema di istruzione, definisce esplicitamente la necessità di riferirsi anche all’interno del sistema scolastico a un paradigma di orientamento di tipo formativo e stabilisce una consistenza minima, 30 ore per ciascuno degli otto anni delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Per un tempo lunghissimo l’orientamento, anche prima di emergere come area di ricerca e pratica definita e autonoma, ha avuto una funzione direttiva e adattiva nei confronti dei soggetti, al servizio di interessi estranei ai soggetti «orientati» e che fuori da loro risiedevano. Negli anni Trenta inizia ad emergere un nuovo approccio all’orientamento e nasce la fase che viene correntemente denominata «caratterologico-affettiva». Il rifiorire della psicanalisi alla metà del secolo, dopo il periodo nazifascista che ne aveva rallentato l’impetuoso sviluppo, favorì la diffusione di una nuova visione dell’uomo, della donna e del loro sviluppo psicologico. La fase successiva è denominata fase maturativo-personale e caratterizza l’intero dibattito dagli anni Sessanta del Novecento. Finalmente il soggetto assume un ruolo centrale nel processo orientativo, le esigenze e le richieste della società passano in secondo piano. Dalla seconda metà degli anni Novanta, tuttavia, si può parlare, anche in Italia, di emersione del paradigma formativo. Nei percorsi di orientamento narrativo, che prediligono le modalità gruppali e partecipative perché si nutrono dello scambio, l’obiettivo non è quello di arrivare a una scelta o a una decisione quanto quello di imparare a scegliere, decidere, immaginare e progettare, fuori dalla retorica dell’occasione unica.
Negli ultimi anni, la sfida più grande si è rivelata quella di esaminare i modi in cui sosteniamo, consciamente o inconsciamente, le strutture di dominio.
[hooks 2004; trad. it. 2022, 81]

1. Introduzione

L’esergo ci introduce, direttamente, in campo aperto: all’orientamento oggi dovremmo assegnare il compito di non declinare come ascritto il futuro di ciascuno anzi di consentire che, in modalità e forme differenti, ciascuno diventi non soltanto protagonista, ma anche autore e sceneggiatore della propria vita. Prima di domandarsi quali siano le pratiche di orientamento necessarie, occorre interrogarsi, in primo luogo, su quali siano i vincoli che hanno determinato, più o meno consapevolmente, l’agire fino ad adesso. Per esempio: quali sono i dispositivi che fanno sì che per i ragazzi con background migrante i consigli orientativi e le valutazioni scolastiche, a parità di rendimento, siano piegati in direzione di percorsi formativi immediatamente professionalizzanti e siano riassunti in voti inferiori [1]
[Aktas et al. 2022]? Quali {p. 12}sono i dispositivi con i quali sinora si è favorita l’interiorizzazione, da parte delle ragazze, di una riduzione delle loro possibilità lavorative (o dei settori nei quali metterle in gioco) rispetto a quelle dei ragazzi [Zanetti 2010; Biemmi e Leonelli 2020]? Quali sono le azioni messe in campo per promuovere, implicitamente, la conservazione della situazione socio-economica di provenienza [Romito 2014]?
In secondo luogo occorre esplicitare quale disposizione è necessario assumere nei confronti dell’esistenza: meglio credere nella possibilità di poter essere in grado di determinare, almeno parzialmente, gli eventi della vita oppure pensare che le occasioni e le possibilità siano determinate unicamente dal caso e dalla collocazione sociale?
In terzo luogo è possibile esercitare un’opzione antropologica: ovvero credere che ogni persona, se le è data l’occasione di sviluppare un adeguato apparato strumentale e di competenze, possa e debba determinare autonomamente, in relazione con gli altri, la propria traiettoria formativa, professionale, esistenziale, oppure limitarsi a ritenere che questo valga soltanto per alcuni e solo ai livelli più alti.
Se si crede che sia giusto, utile e possibile per ciascuno esercitare autonomia, responsabilità e controllo sulla propria vita, tenendo conto delle conseguenze sugli altri, sul proprio futuro e sul pianeta dei propri progetti e delle proprie scelte, allora è necessario tornare a riflettere sui paradigmi {p. 13}dell’orientamento per adottare metodi e strumenti coerenti [2]
all’interno di un paradigma formativo finalmente dominante [Margottini 2006].
Non si orienta qualcuno, si attiva e si supporta un processo dinamico lungo tutto l’arco della vita attraverso il quale ciascuno può orientarsi. Si può sintetizzare la finalità complessiva odierna dell’orientamento in un incremento di potere, autonomia, responsabilità e resilienza [Batini e Bartolucci 2017]. Nel suo percorso di crescita e sviluppo ciascun soggetto si trova a fronteggiare, progressivamente, compiti differenti ed è chiamato a progettare, progettarsi e mettere in campo azioni congruenti. A tale scopo è necessario quanto essenziale sia progredire nella conoscenza di sé stessi e nello sviluppo di abilità e competenze specifiche e sia ricevere fiducia. Compiere scelte è, in definitiva, l’ultimo aspetto del processo di orientamento, tuttavia nella «vulgata» sono proprio le scelte, specie quelle formative, che vengono immediatamente collegate all’orientamento.
L’orientamento viene chiamato in causa, nel dibattito pubblico, quando ci si riferisce ai costi sociali ed economici connessi alla dispersione scolastica: all’interruzione precoce degli studi, alla durata protratta ed eccessiva degli stessi o al completamento senza acquisizione degli apprendimenti previsti [Zecca et al. 2020]. Si sente parlare, allora, di «cattivo orientamento» o di «orientamento inadeguato» o della necessità di migliorare l’orientamento e favorire forme precoci di canalizzazione delle scelte formative, attraverso le quali alcune studentesse e alcuni studenti vengono «orientati» in direzione di percorsi formativi di durata inferiore, legati a un’occupazione specifica, a basso contenuto intellettuale. Queste iniziative in cui chi ha intrapreso un percorso nel sistema di istruzione, che qualcuno ritiene «troppo» (troppo complesso, troppo difficile, troppo impegnativo) per lei o {p. 14}per lui, viene indirizzato verso percorsi più brevi e professionalizzanti, sono spesso chiamate «ri-orientamento».
A quale idea di orientamento si fa riferimento in questi casi? Si potrebbe interpretare per esempio questa convinzione come l’idea che l’orientamento non abbia individuato per ciascuna/o i percorsi più adeguati (adeguati a chi? Sarebbe la legittima domanda). Il soggetto, con la sua storia in fieri, sembra quasi «sparire» e l’orientamento appare nella sua funzione di mera analisi e di indicazione. Il processo in questo caso si limita a questo: cerco di capire chi sei, quali sono le tue disposizioni naturali (ammesso che sia ancora possibile parlare di qualcosa del genere) per dirti cosa è meglio che tu faccia. Se lo si adotta nell’ambito di un colloquio individuale ci si trova, probabilmente, all’interno di uno dei tanti approcci del counseling. Se lo si attiva attraverso l’uso di test e strumenti e si presenta, in uscita, un profilo (o si può farlo), allora si è, indubbiamente, nell’orientamento attitudinale [3]
.
Non si individua invece, sottesa, un’idea che inquadri i problemi che hanno determinato quelle difficoltà o quei costi (tra i quali vengono spesso dimenticati i costi individuali e familiari) e l’assenza di percorsi atti a superarli. Per quale motivo infatti quel soggetto non dovrebbe essere in grado di compiere quel percorso formativo?
Cosa significa fare orientamento per chi possiede un apparato strumentale, per diversi motivi, del tutto inadeguato? Per chi non è in grado di parlare di sé in modo articolato? Per chi non è in grado di raccontare la propria esperienza (e dunque di approfittarne)?
L’orientamento, se correttamente inteso, svela i limiti di un sistema educativo e di istruzione che poco si preoccupa della costruzione dell’apparato strumentale di tutte e di tutti e che, solo recentemente, ha iniziato a interrogarsi circa la propria equità.{p. 15}

2. Un’attenzione recente?

Il decreto del 22 dicembre 2022, n. 328, con il quale viene riformato l’orientamento all’interno del sistema di istruzione, definisce esplicitamente la necessità di riferirsi anche all’interno del sistema scolastico a un paradigma di orientamento di tipo formativo e stabilisce una consistenza minima, 30 ore per ciascuno degli otto anni delle scuole secondarie di primo e secondo grado (pur richiamando la necessità di agire sin da prima in questa direzione nella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia). La definizione dell’orientamento come formativo, il posizionamento nel percorso apprenditivo di tutti gli otto anni delle scuole secondarie, il richiamo al fatto che «l’orientamento inizia, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria» (con riferimento alle Indicazioni nazionali 2012) richiama giocoforza un’idea di curricolo orientativo in verticale costruito per obiettivi di apprendimento progressivi, inserito in modo esplicito e strutturale nel sistema educativo e di istruzione.
Il decreto, con il quale vengono approvate le Linee guida per l’orientamento, ha contribuito a riportare l’orientamento al centro del dibattito ma, per molti, pare aver segnato l’atto di nascita dell’orientamento a scuola.
Nelle politiche educative, l’orientamento ha acquisito, negli ultimi 25 anni, un’importanza crescente, già la direttiva n. 487 del 6/8/1997 affermava come l’orientamento fosse «una fondamentale componente strutturale del processo formativo di ogni persona lungo tutto l’arco della vita, a partire dalla scuola dell’infanzia». A tutte le scuole veniva richiesto, fin da allora, di inserirlo in maniera organica nel curricolo:
le scuole di ogni ordine e grado prevedono nel programma di istituto attività di orientamento che i consigli di classe inseriscono organicamente nei curricoli di studio, valorizzando il ruolo della didattica orientativa e della continuità educativa.
Non è dunque una novità dell’ultimo anno né la collocazione curricolare dell’orientamento, né la logica di processo
{p. 16}formativo attribuitagli, lo diventa perché le attività di orientamento, affidate all’iniziativa delle singole scuole, non essendo definite a livello centrale come vincolate a un peso orario, hanno di fatto prodotto un’incredibile varietà di risposte e di equivoci e sovrapposizioni, nonché di mancate risposte.
Note
[1] Facciamo alcuni esempi: i cittadini di Paesi Terzi soggiornanti negli Stati membri dell’UE-27 rappresentavano il 5,3% della popolazione totale nel 2020 (dati aggiornati al 1o gennaio 2021). Eurostat, in quello stesso anno calcola però che essi avevano una sovrarappresentazione in alcuni settori a bassa qualificazione e retribuzione (indagine sulle forze di lavoro e classificazione ISCO-08): l’8,7% degli addetti alle pulizie e dei collaboratori; il 7,2% del personale non qualificato addetto alla ristorazione, il 6,9% del personale non qualificato addetto all’agricoltura, alle foreste e alla pesca; il 6,1% degli addetti all’edilizia e il 6,0% del personale non qualificato nei settori minerario, edile, manifatturiero e dei trasporti. Secondo Save the Children il 94% dei bambini con cittadinanza italiana accede alla scuola dell’infanzia, mentre vi accede solo il 79% dei bambini senza cittadinanza italiana, il ritardo scolastico che interessa il 9% dei ragazzi è più di tre volte tanto (30%) per gli alunni cittadini di Paesi Terzi. L’ISMU segnala che l’abbandono precoce, indagato sui 18-24enni coinvolge ancora i ragazzi e le ragazze con background migrante con il 32,1% di ELET (Early Leavers from Education and Training), ovvero in proporzione, oltre il triplo dei ragazzi e delle ragazze con cittadinanza italiana. Occorre rammentare che la stragrande maggioranza degli studenti stranieri è costituita da studenti di seconda generazione, cioè bambini e giovani nati in Italia da genitori non italiani di origine. Ringrazio Alessio Surian per la segnalazione di dati, documenti, esempi e per la continua disponibilità al confronto.
[2] Sono purtroppo evidenti assunzioni di decisioni a livelli organizzativi, locali, regionali e più ampi in cui a dichiarazioni di adesioni al paradigma formativo e alla rubricazione di finalità e obiettivi coerenti sono fatte seguire scelte operative improntate a paradigmi precedenti.
[3] Molto diffuso in Italia a partire dagli anni Cinquanta, quando già se ne vedevano limiti e crepe in altre parti del mondo, è ancora oggi presente in modo esplicito e implicito persino all’interno dei sistemi di istruzione.