Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c1
L’accentuazione sugli aspetti di sviluppo e costruzione, progressiva, dell’identità ha fatto sì che, per alcuni tra i metodi che si sono sviluppati in questo periodo, il percorso scolastico, specie quello obbligatorio e comune, si presentasse come terreno ideale. Questo nonostante sia altrettanto chiaro il bisogno orientativo per tutto il corso dell’esistenza e l’emersione del concetto di «progetto di vita» come nucleo centrale dell’intero itinerario orientativo della vita di ciascuno [Boffo 2014; De Pietro e Capalbo 2023; Montanari 2023].
Occorre subito precisare come nella realtà sia all’interno che fuori dal percorso educativo e di istruzione le pratiche e gli strumenti utilizzati non hanno corrisposto, segnando gravi ritardi, all’avanzamento della riflessione teorica e della ricerca sull’orientamento e, sia esplicitato, producendo gravi distorsioni in un dispositivo di rilevanza sociale e civile per il mantenimento della democrazia, con conseguenze rilevanti sulla vita delle persone e delle comunità. Le pratiche, tuttavia, hanno, a volte, anticipato la riflessione teorica almeno a certe latitudini. Per limitarsi a un solo esempio è possibile ricordare la situazione che si è verificata in Italia negli anni Novanta del secolo scorso, in cui, insieme alla persistenza di approcci datati nell’ambito dell’orientamento, c’è stata anche una crescente presenza di operatori e consulenti di orientamento che si formavano utilizzando strumenti e metodi formativi di orientamento di matrice francofona [Vaira 2012].

3.1.2. Dall’età industriale all’emersione dell’approccio diagnostico attitudinale

L’orientamento trova una via di sviluppo nel processo di industrializzazione, accompagnandone il processo e sviluppandosi al suo interno ne assume lo scopo. In quegli anni l’orientamento svolge un ruolo cruciale nel processo di selezione e assegnazione delle risorse umane alle aziende industriali emergenti. La finalità principale dell’orientamento {p. 22}era ottimizzare i profitti industriali: ma come poteva l’orientamento facilitare il raggiungimento di questa finalità? Attraverso l’individuazione delle persone giuste al posto giusto.
Si trattava, cioè, di far corrispondere ai ruoli previsti dalle diverse aziende protagoniste dei processi di industrializzazione, i soggetti che si ritenevano adatti per attitudini (considerate fisse e misurabili) e caratteristiche. I tempi di reazione, le abilità motorie e alcuni tratti dei soggetti venivano misurati, confrontati, esaminati con gli strumenti emergenti dalla psicofisiologia e, di conseguenza, destinati a ruoli differenti. Interessi, motivazioni, desideri, bisogni e punto di vista del soggetto non erano per nulla presi in considerazione.
Intorno all’inizio del Novecento emerge un modello di orientamento che viene solitamente definito «diagnostico-attitudinale», basato su alcuni principi. Il primo principio è che non soltanto le attitudini siano fondamentali e siano caratteristiche del soggetto stabili nel tempo, ereditarie, oggettive, osservabili e per questo misurabili, ma anche che le disposizioni di un soggetto influenzino le sue capacità e performance lavorative in modo determinante. Molti sostengono, per semplificare, che l’idea guida di questo periodo, rispetto alle finalità dell’orientamento, sia quella elaborata e diffusa da Frank Parsons in quegli anni, nel suo Vocation Bureau (1907) [7]
: far corrispondere lavoro a lavoratore, il «profilo» di una persona al «profilo» richiesto da un’attività, da una mansione lavorativa, per mettere «l’uomo giusto al posto giusto» [Nota e Soresi 2020]. Le misurazioni, le indagini e le analisi sono condotte con modalità definite come «oggettive» e vengono condotte da uno specialista mediante reattivi, test, prove elaborati dalla psicotecnica. Chi viene scelto per quel ruolo deve funzionare in quel ruolo, deve garantire produttività e il minimo spreco possibile per la realtà produttiva.
Tab. 2. Le caratteristiche della fase diagnostico-attitudinale
Gli scopi
Mettere in relazione alla posizione lavorativa richiesta la persona ritenuta più adeguata a svolgerla
Su cosa si focalizza l’agire dell’orientatore
L’orientatore ricerca nell’individuo, attraverso strumenti standardizzati, le disposizioni, le attitudini adeguate a quella specifica mansione. Le attitudini sono considerate come disposizioni del soggetto stabili, oggettive e dunque misurabili
Gli strumenti dell’orientatore
Soprattutto test attitudinali e, in misura minore, motivazionali
Chi è l’orientatore
L’orientatore è di solito uno psicologo o un tecnico testista
Il ruolo del soggetto da orientare
Passivo. La finalità del processo di orientamento è quella di rispondere alle richieste delle organizzazioni. Il soggetto deve essere analizzato per poi farlo «combaciare» con una mansione lavorativa
Background teorico di riferimento
Studi psicofisiologici
 
 
Nota: Ringrazio per una prima elaborazione di queste tabelle riassuntive Giulia Mattiacci ed Elia Carlotti che hanno lavorato anche alla sintesi di più documenti relativi alla storia dell’orientamento.
L’orientatore in questa fase è quasi sempre una persona con formazione psicologica, a volte uno psicologo, più spesso un tecnico testista, che utilizza come strumenti i test psico-attitudinali e motivazionali. Sono gli anni in cui Frank Parsons elabora la Teoria dei tratti (caratteristiche individuali) e dei fattori (caratteristiche richieste per una buona prestazione lavorativa) e fonda a Boston il Vocation Bureau. La Teoria dei tratti [8]
e dei fattori prevede tre condizioni fondamentali per rendere proficua l’associazione tra posto di lavoro e lavoratore [Armitage e Amar 2021]:
  1. il soggetto deve avere una comprensione chiara di sé stesso, soprattutto in merito alle proprie attitudini e deve comprendere le proprie motivazioni;{p. 24}
  2. il soggetto deve avere buone conoscenze delle caratteristiche e delle prospettive offerte da ogni attività lavorativa;
  3. è fondamentale individuare le relazioni, e dunque le sovrapposizioni, tra le due classi di fattori sopra espressi, tanto che all’inizio la teoria fu denominata teoria dell’abbinamento dei talenti.
Le convinzioni che animavano il Centro fondato da Frank Parsons, poco prima della sua morte, si basavano sulla possibilità di descrivere gli individui attraverso le attitudini, ritenute stabili, che possiedono; allo stesso modo le attività lavorative potevano essere descritte attraverso le attitudini richieste [Zickar 2020]. I soggetti potevano prendere decisioni razionali solo attraverso il supporto di un consulente che fosse in grado di individuare le loro attitudini e metterle in relazione con le attitudini richieste dalle diverse mansioni lavorative. Il successo lavorativo è determinato dall’affinità tra le disposizioni del soggetto e le disposizioni attraverso le quali viene descritta un’attività lavorativa [9]
. Parsons viene considerato, da molti, il fondatore dell’orientamento professionale e, nel 1909, fu pubblicato, {p. 25}postumo, il suo manoscritto inedito, Choosing a Vocation [Parsons 1909] [10]
.
L’approccio diagnostico-attitudinale viene messo progressivamente in crisi da alcune evidenze empiriche sul rendimento dei lavoratori. La critica di fondo consiste nel fatto che due persone, che hanno le stesse attitudini, abbiano un rendimento diverso dato da una variante diversa: un grado di interesse nei confronti di quest’attività. Tali studi, ripresi da Baumgarten [1949], pongono l’attenzione sul successo lavorativo come dipendente non da fatti psico-attitudinali, ma dal grado di coinvolgimento nei confronti di un determinato compito. L’orientamento è dunque qualcosa che ha una matrice psicologica, più che psicofisiologica. L’attenzione alla variabile degli interessi fa emergere il ruolo delle componenti affettive della persona: essi dunque rappresentano
{p. 26}un’innegabile motivazione, che si intreccia a fattori ambientali e socio-culturali dell’individuo sottoposto [Viglietti 1981].
Note
[7] Parsons aveva anche sviluppato un modello in 3 fasi, legato alla propria Teoria dei tratti e dei fattori, che prevedeva una fase di conoscenza di sé stessi (ovviamente in senso attitudinale, ma con un’attenzione anche per gli interessi e i limiti), una di analisi del lavoro e delle professioni e un momento di sintesi. Vedi più oltre nel paragrafo.
[8] Un tratto è una risposta comportamentale che, a prescindere dallo stimolo che lo provoca, si ripete in maniera piuttosto costante nel tempo.
[9] Occorre precisare, tuttavia, che le intenzioni di Parsons erano straordinariamente moderne, al di là della traduzione operativa. Parsons era un ingegnere, avvocato e scrittore, diventato docente alla Boston University. Le sue lezioni e i suoi scritti si scagliavano contro il capitalismo incontrollato del tempo, e proponevano una filosofia della reciprocità che si sostituisse al capitalismo: la competizione doveva cedere il passo alla cooperazione, lo smodato desiderio di guadagno doveva essere sostituito dall’interesse e dalla preoccupazione per l’umanità. Fu protagonista di campagne per il voto alle donne e scrisse sulla necessità di rendere di proprietà pubblica aziende chiave per il welfare americano e per la loro economia. Nella parte finale della sua storia professionale e della sua vita si pose l’obiettivo di aiutare i giovani, specie quelli immigrati in alcuni distretti di Boston che ne accoglievano moltissimi (dove si trovava anche il suo Vocation Bureau), attraverso il reperimento del lavoro adeguato per loro. I giovani venivano intervistati e valutati e, sulla base degli esiti della valutazione, si fornivano loro informazioni sulle possibili scelte lavorative che avevano di fronte. Di straordinaria modernità il fatto che si facilitasse anche l’esplorazione dei propri sentimenti nei confronti del lavoro. L’interpretazione e l’utilizzo del suo lavoro non fu, probabilmente, quello che lui avrebbe auspicato nella maggior parte dei casi, anche se c’è chi lo ritiene alla base anche degli approcci di counseling orientativo.
[10] La prima parte del libro di Parsons fornisce una panoramica dei suoi «principi e metodi» per raccogliere informazioni personali dai clienti, compresi esempi dettagliati di domande da fare nell’intervista di orientamento per valutare gli interessi, le disposizioni del cliente, nonché la disponibilità o le capacità di prendere decisioni in modo adeguato. La seconda parte, dopo aver fornito informazioni e conoscenze legate alla collocazione storica, fornisce un elenco delle competenze o abilità di base che Parsons riteneva fondamentali per il successo in diverse occupazioni, individua vocazioni «particolarmente adeguate per le donne» e fornisce anche una georeferenziazione degli interessi professionali nel paese. L’ultima parte del volume racconta la storia della fondazione del Vocation Bureau. Parsons avrebbe dovuto iniziare la formazione dei consulenti professionali presso l’YMCA di Boston nell’ottobre del 1908, ma morì pochi giorni prima della prima lezione. In questa parte viene descritto anche il processo di formazione previsto, i materiali utilizzati nel lavoro. Nella parte conclusiva del volume, incoraggia i suoi lettori a sfruttare il periodo dello sviluppo e della giovinezza per contribuire a favorire la crescita globale e per preparare ad entrare nel mondo del lavoro. Parsons sostiene che solo quando la società si renderà conto del ruolo che deve rivestire nella preparazione delle generazioni future realizzerà il proprio potenziale nello sfruttare talenti e risorse dei giovani. Parsons immaginò che un giorno l’istruzione sarebbe stata il cuore della società con uffici di orientamento in ogni scuola dotati di professionisti preparati. Sebbene i metodi di gestire una consulenza di Parsons apparirebbero oggi direttivi e non centrati sull’utente, si può indubbiamente assegnargli il merito di avere, tra i primi, intuito il ruolo dell’orientamento anche rispetto a politiche inclusive e di supporto per poveri e migranti.