Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c6
Un ultimo aspetto, di particolare interesse in relazione al carattere eccezionale della pandemia ma che finora ha investito solo alcune grandi aree metropolitane (Milano e Roma), riguarda i grandi eventi e le misure approntate in relazione alle minacce che fino al 2020 provenivano soprattutto dalle reti terroristiche internazionali. Se consideriamo quanto è accaduto in occasione di Expo 2015, possiamo
{p. 137}identificare due ulteriori cambiamenti: un primo, che ha riguardato la necessità di rafforzare il coordinamento e la divisione del lavoro tra tutti gli attori in campo – forze di polizia e istituzioni di governo locali e nazionali, procure della Repubblica, protezione civile, strutture sanitarie, ecc. – grazie alla «cabina di regia» garantita dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza assieme al tavolo tecnico a esso collegato e coordinato dal questore, responsabile della sicurezza a livello provinciale; un secondo, che ha comportato l’adesione a nuovi modelli di gestione del rischio con particolare riferimento alla diffusione di una cultura del rischio condivisa entro le organizzazioni coinvolte [Rose 2000] e al passaggio da un approccio preventivo, tipico delle forze dell’ordine, a uno precauzionale, caratteristico dell’ambito militare [Battistelli 2016].

6. La gestione della sicurezza durante la pandemia: tra rassicurazione sociale e controllo della normativa anti-Covid

Per rispondere alla nostra domanda di ricerca è utile partire da alcune considerazioni di fondo su come le caratteristiche consolidatesi nel corso degli anni Novanta e Duemila si siano velocemente riconfigurate in rapporto all’emergenza pandemica.
A fronte di una emergenza che si è presentata, ed è stata percepita e narrata, come globale, la dimensione locale della sicurezza è passata in secondo piano ed è stata sottoposta a un processo di ripubblicizzazione. È venuta smussandosi la connotazione urbana che era prevalsa nel dibattito politico e nell’azione di governo a partire dagli anni Novanta e, con essa, si sono affievolite le caratteristiche che si erano col tempo consolidate: focalizzazione sui fenomeni devianti e/o criminali, stretta connessione con minacce – presunte o reali – che affollerebbero lo spazio urbano rendendolo insicuro, scomposizione in sicurezza reale e percepita, con quest’ultima che è divenuta il baricentro del dibattito e delle politiche. Il tema della sicurezza ha cessato altresì di rappresentare una risorsa preziosa grazie alla quale la {p. 138}politica può continuare a riaffermare la propria indispensabilità agli occhi dell’elettorato [Bauman 1999]. Allo stesso tempo, la situazione di emergenza ha fatto sì che il processo di securitization abbia investito quasi tutti gli ambiti della «vita sociale», con una concomitante diffusione in contesti precedentemente immuni alla cultura del rischio.
Questa situazione, tanto inedita quanto imprevista, non ha lasciato immutate le priorità che le istituzioni pubbliche hanno definito in materia di pubblica sicurezza e l’operatività delle forze di polizia, soprattutto in relazione ai controlli per monitorare il rispetto della normativa antipandemica. Un primo elemento riguarda il drastico cambiamento che ha caratterizzato l’agenda di priorità delle varie forze di polizia [Maskàly et al. 2021]. Sebbene una valutazione complessiva su base comparativa sia a oggi impossibile alla luce delle forti differenze riscontrate a livello nazionale e internazionale [cfr. Ashby 2020; Mohler et al. 2020], tale cambiamento può essere posto in relazione al repentino mutamento delle abitudini quotidiane delle persone – in parte reso obbligato dalle normative che ovunque hanno limitato la libertà di movimento, in parte derivante da scelte individuali volte a limitare le occasioni di contagio – che ha generato una sostanziale sparizione di alcuni profili di reato che da sempre rappresentano una priorità nelle prassi di prevenzione-repressione. Si pensi, ad esempio, ai reati di carattere «predatorio» – taccheggi, furti, scippi, rapine, ecc. – a quelli connessi al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti e a quelli che hanno come teatro lo spazio pubblico, quali risse, ubriachezza molesta, disturbo della quiete pubblica, ecc. Se, però, nei primi mesi della pandemia, la usuale call for service [Maskaly et al. 2021] delle forze di polizia è notevolmente diminuita in relazione a queste fattispecie di reato, gli agenti sul campo sono stati impiegati in larga misura per svolgere controlli relativi al rispetto delle restrizioni alla mobilità, del distanziamento fisico, dell’utilizzo di dispositivi di protezione individuale all’esterno delle abitazioni, oltre che del divieto di lasciare il luogo di residenza per coloro che avevano contratto il virus, previsti dai vari d.p.c.m. {p. 139}
Soprattutto nella prima fase, gli sforzi sono stati orientati in maniera massiccia alla effettuazione di controlli sulle persone o sulle attività produttive, con una suddivisione dei compiti tra le forze di polizia in campo: a Varese come a Napoli, per esempio, la Polizia locale controllava, almeno inizialmente, le attività produttive e commerciali, mentre il controllo delle persone e delle autocertificazioni era appannaggio di Carabinieri e Polizia di Stato. Tali compiti non venivano decisi in sede di Comitato provinciale, ma dal cosiddetto Tavolo tecnico del questore, un dispositivo pensato per dare concretezza agli indirizzi concordati in sede di Comitato grazie al ruolo di autorità tecnica di pubblica sicurezza di cui il questore, che lo presiede, risulta investito. In questo modo, il questore afferente a ciascun contesto territoriale è stato in grado di stringere un rapporto molto più diretto con le varie istituzioni in cui si articola localmente la Pubblica amministrazione, riuscendo di conseguenza a fornire un supporto strategico-operativo concreto anche alle realtà più piccole.
Molti tra gli intervistati hanno sottolineato l’importanza delle attività di controllo del territorio, ancorché rideclinate in relazione a priorità stabilite sul piano normativo a seguito del diffondersi della pandemia, rispetto a – o congiuntamente con – altri compiti di carattere più «sociale» di rassicurazione della cittadinanza. Le modalità di dispiegamento dei controlli sarebbero state improntate, da un lato, a un’applicazione non troppo severa e rigida dei dispositivi sanzionatori, dall’altro lato, a un’attività che, in senso lato, possiamo definire come preventiva.
Come regole di ingaggio con i diversi operatori commerciali e imprenditoriali, io mi sono raccomandato con i miei di non essere troppo intransigenti, nel senso che tu ad una persona che sta sbagliando, magari ha la mascherina abbassata, la prima volta gli dici: «Guarda alzati la mascherina che stai mettendo in pericolo anche gli altri» [Polizia locale di Napoli].
Perché poi di fatto era il controllo volto soprattutto non a reprimere fiscalmente o a intervenire fiscalmente su coloro che {p. 140}si trovavano a dover rispettare le norme sull’assembramento, sugli spostamenti e quant’altro, ma più che altro a creare quella consapevolezza nel cittadino della necessità di mantenere comportamenti responsabili per la non diffusione del virus […] una modalità che ha caratterizzato un po’ tutti tra le forze di polizia, il convincere piuttosto che il semplice sanzionare [Arma dei Carabinieri di Milano].
La flessibilità che ha caratterizzato le attività condotte dalle forze di polizia locali e nazionali in relazione alla pandemia può essere messa in relazione con il diffondersi anche in Italia, in anni recenti, di pratiche di community policing o di «polizia di prossimità» [9]
. Sulla base di queste premesse, non deve stupire che l’indirizzo generale adottato dalle forze di polizia in materia di controlli avesse un orientamento votato alla prevenzione e a un’applicazione flessibile delle norme, con l’obiettivo di bloccare sul nascere – e quindi prevenire – ogni tentativo di aggirare la norma, svolgendo al contempo una funzione di moral suasion. Un approccio che, nel corso del 2021, è stato usato anche per affrontare, senza accrescere la tensione, le frange della popolazione – i militanti No-green pass, ad esempio – più polemiche nei confronti delle restrizioni e degli obblighi di legge (dal dover indossare i dispositivi di protezione individuale, al mantenere le distanze nello spazio pubblico, all’essere in regola con le norme relative al green pass).
Un secondo elemento d’interesse riguarda le forme di cooperazione e coordinamento tra le varie forze di polizia che hanno caratterizzato l’esercizio dell’attività di controllo nei contesti indagati. A questo proposito, sono stati utilizzati numerosi dispositivi: dai piani di controllo coordinato del territorio, alle linee guida enucleate in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, {p. 141}alle direttive tecnico-operative definite nel corso dei tavoli tecnici coordinati dalle questure.
Siamo un’organizzazione statuale e quindi è evidente che il territorio geografico dove si lavora ha un significato non totalizzante; che cosa intendo dire? Che le procedure e i protocolli operativi rispetto alla pandemia caratterizzano la nostra attività da Agrigento a Bolzano, poi la declinazione sul territorio si adatta a quelle che sono le peculiarità del territorio medesimo [Questura di Milano].
Secondo me viene esaltato il ruolo che ordinariamente ha il Comitato. Il Comitato è il luogo dove, comunque, si discute e vengono prese le decisioni per meglio affrontare le varie esigenze, dalla più semplice a quelle più complicate. Dico che viene esaltato perché, nelle difficoltà, le pratiche virtuose diventano ancora più virtuose [Arma dei Carabinieri di Bergamo].
Il coordinamento tra gli attori impegnati sul campo, inoltre, non ha funzionato solo per adeguare l’offerta di sicurezza ai bisogni del territorio, ma anche per imprimere la necessaria dose di elasticità e di flessibilità a fronte di un contesto normativo, oltre che di percezione del rischio, in rapido mutamento. La centralità rivestita dal Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza e dal Tavolo tecnico, tuttavia, è stata sicuramente favorita dalla straordinarietà della situazione dovuta al diffondersi, inizialmente inarrestabile, della pandemia, ma ha costituito, come abbiamo ricordato, il punto di arrivo di un processo che si era consolidato nel corso degli anni Duemila.
Il terzo elemento che le figure apicali da noi intervistate hanno sottolineato come fortemente innovativo si riferisce all’espletamento di una molteplicità di attività di supporto e sostegno alla cittadinanza che avrebbero addirittura riconfigurato la relazione tra cittadini e polizia. Si tratta di un insieme di pratiche che, in buona sostanza, possono essere ricondotte entro un modello ampio di polizia di prossimità. Com’è noto, i servizi di prossimità (community policing) non comportano solo una ridefinizione del modello organizzativo nell’erogazione dei servizi
{p. 142}di polizia, ma implicano una nuova filosofia di lavoro e una ridefinizione complessiva delle funzioni pubbliche che le forze di polizia sono chiamate a svolgere [Weisburd e Braga 2006; Willis, Mastrofski e Rinehart Kochel 2010]. Fare polizia di prossimità, infatti, significa fondare la propria legittimazione sul rapporto che si riesce a instaurare con i beneficiari dei servizi di sicurezza e sulla capacità da parte della polizia di fornire una risposta ai problemi quotidiani di questi ultimi. La predisposizione di servizi di prossimità inoltre comporta l’adesione a un modello operativo in cui la prevenzione «sociale» sostituisce, almeno in parte, quella «situazionale» [10]
. Nei casi da noi considerati, tuttavia, questi interventi di prossimità non vanno interpretati tanto come un’estensione di linee d’indirizzo programmatiche, quanto nei termini di un diverso modo, dettato dalla contingenza, di interpretare il proprio ruolo di street-level bureaucrats.
Note
[9] Le forze di polizia, dunque, sono andate incontro a un allargamento delle attività che erano chiamate a svolgere per dare risposta a una domanda di sicurezza molto più ampia, diversificata e multidimensionale che ha reso necessaria una flessibilità ancor più accentuata all’interno dei corpi [Stefanizzi 2018].
[10] Con prevenzione sociale intendiamo il complesso delle azioni preventive volte a intervenire sulle cause sociali degli atteggiamenti delittuosi attraverso programmi centrati su rassicurazione sociale e su servizi integrativi di prossimità a sostegno della persona.