Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c6
Capitolo sesto Prevenire, controllare, rassicurare: la pubblica sicurezza durante la pandemia, di Leonard Mazzone, Fabio Quassoli, Eleonora Di Molfetta e Giacomo Campini
Notizie Autori
Leonard Mazzone è ricercatore in Filosofia sociale e politica presso
l’Università di Firenze. Ha da poco concluso la ricerca Mutualismi
emergenti. Narrazioni e pratiche di reciprocità solidale,
iniziata presso l’Università di Milano-Bicocca in qualità di assegnista di
ricerca. È autore di diversi contributi apparsi su riviste italiane e
internazionali, nonché delle seguenti monografie: Il principio
possibilità (2017), Introduzione a Elias Canetti. La
scrittura come professione (2017), Ipocrisia. Storia e
critica del più socievole dei vizi (2021), Le imprese
recuperate in Italia (con R. Calcagno, 2022).
Notizie Autori
Fabio Quassoli insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi
presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Milano-Bicocca, dove
coordina il corso di laurea magistrale in Analisi dei processi sociali. I suoi
interessi di ricerca riguardano il multiculturalismo, il controllo delle
migrazioni, il razzismo istituzionale, le politiche della sicurezza urbana. Su
questi temi ha pubblicato alcuni libri e diversi articoli su riviste nazionali e
internazionali. Tra le sue pubblicazioni recenti, Clandestino, il
governo delle migrazioni nell’Italia contemporanea
(2022).
Notizie Autori
Eleonora Di Molfetta ha conseguito un PhD in Criminologia presso l’Erasmus
University Rotterdam. I suoi interessi di ricerca riguardano le politiche di
sicurezza urbana, il controllo delle migrazioni, le pratiche giudiziarie, gli
strumenti e i meccanismi del controllo sociale. Al momento collabora con il
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Milano-Bicocca. Nel 2024 sarà
pubblicata la monografia Delivering Justice to Non-Citizens
presso Routledge.
Notizie Autori
Giacomo Campini è dottorando in Urban Studies presso il Dipartimento di
Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca. I suoi interessi
di ricerca riguardano la sicurezza urbana, le politiche di sicurezza, le
attività di policing e le pratiche di sorveglianza.
Abstract
Oltre a relegare progressivamente in secondo piano un’altra emergenza globale
come il cambiamento climatico e ad accentuare la crisi che aveva già investito
alcuni settori della vita sociale, l’evento globale che ha segnato la storia più
recente – la crisi pandemica – ha inaugurato una svolta politica. Prima ancora che
il vaccino venisse introdotto senza obbligo e, con esso, il green pass, in Italia le
misure assunte dai governi Conte II e Draghi sono state al centro di un dibattito
filosofico-politico molto acceso, che ha trovato un ospitale luogo di espressione
sul sito dell’Istituto italiano degli studi filosofici di Napoli. Se le versioni
apocalittiche dell’eccezionalismo mostrano una certa miopia nei confronti delle
diverse eccezioni sovrane in gioco, gli interpreti liberali fanno di tutto per
ribadire il rispetto rigoroso di norme là dove a regnare sovrano è solo il disordine
inintenzionale delle misure emergenziali. Il quadro che emerge dai racconti dei
vertici delle istituzioni impegnate nella gestione della sicurezza durante il primo
anno di pandemia evidenzia una situazione «sul campo» ben diversa da quella
paventata da chi, fin dai primi mesi, ha sottolineato i rischi per la tenuta delle
istituzioni democratiche derivanti da uno stato di eccezione o di emergenza divenuti
«permanenti». I dati e le interviste, dunque, ci raccontano di una divergenza tra la
rappresentazione che i vertici delle istituzioni danno dell’operato delle forze di
polizia, e dei principi a cui il loro operato si sarebbe ispirato, e le modalità con
cui i dispositivi normativi fortemente restrittivi della mobilità personale si sono
tradotte in pratiche di controllo e in sanzioni.
1. Introduzione
Oltre a relegare progressivamente in
secondo piano un’altra emergenza globale come il cambiamento climatico [Marletto 2020] e
ad accentuare la crisi che aveva già investito alcuni settori della vita sociale
[1]
, l’evento globale che ha segnato la storia più recente – la crisi pandemica
– ha inaugurato una svolta politica
[2]
. Nell’assumere delle decisioni che avrebbero fortemente limitato la libertà
personale dei cittadini (e che per questa ragione sarebbero state potenzialmente
impopolari) per evitare il peggioramento della situazione sanitaria, gli esecutivi
sapevano che qualunque scelta politica finalizzata a contenere la diffusione del
contagio avrebbe automaticamente peggiorato la situazione economico-sociale dei loro
Paesi. È però intorno alle diverse interpretazioni critiche – da quelle totalitarie
(Agamben) a quelle apocalittiche (Galli) dell’eccezionalismo schmittiano – o
legittimiste che hanno segnato il dibattito sulla sospensione delle norme ordinarie che
si è concentrato ¶{p. 128}il dibattito pubblico, le cui coordinate
saranno sintetizzate nella prima parte di questo contributo. Diversamente da chi
sostiene che la gestione politica della crisi sanitaria sia stata ispirata dalla
strategia deliberata di uno stato d’eccezione permanente, cercheremo di fare luce sugli
effetti indesiderati di medio e lungo periodo cagionati dal fenomeno, specularmente
opposto, di una «sovrapproduzione normativa» che si può riscontrare dall’analisi dei
diversi dispositivi introdotti nel corso dei primi mesi di gestione della pandemia.
Poiché l’imprevedibilità di effetti
secondari e indesiderabili rappresenta una costante di qualsivoglia decisione politica
assunta in vista di esiti immediatamente auspicabili, indagheremo poi le ricadute
inintenzionali di questo processo di sovrapproduzione normativa in materia di sicurezza
urbana. A tal proposito, presenteremo i risultati di una ricerca condotta tra il
settembre 2020 e il dicembre 2021 sull’impatto che la pandemia da Covid-19 ha avuto
sulle percezioni e sulle rappresentazioni della sicurezza urbana da parte degli attori
istituzionali incaricati di attuare i dispositivi normativi straordinari introdotti nel
periodo considerato. In particolare, l’équipe di ricerca ha analizzato i casi di due
grandi aree metropolitane del Paese (Milano e Napoli) contestualizzandole a livello
regionale e – per quanto riguarda la Lombardia – ha considerato tre ulteriori contesti
locali: si tratta delle province di Bergamo e Varese, investite in modo molto differente
dalla pandemia nel periodo considerato, e il comune di Codogno, in cui è stata istituita
la prima zona rossa
[3]
.¶{p. 129}
2. Il governo della crisi: sovrano è chi decide della norma decisiva
Prima ancora che il vaccino venisse
introdotto senza obbligo e, con esso, il green pass, in Italia le misure assunte dai
governi Conte II e Draghi sono state al centro di un dibattito filosofico-politico molto
acceso, che ha trovato un ospitale luogo di espressione sul sito dell’Istituto italiano
degli studi filosofici di Napoli
[4]
. A inaugurarlo è stato un articolo di Giorgio Agamben apparso il 22 maggio
2020, in cui il corpo docente alle prese con la didattica online (definita come la
«nuova dittatura telematica») veniva esplicitamente accostato ai «docenti universitari
che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista» [Agamben 2020b].
Dopo avere obiettato alla
«necropolitica reazionaria» di Agamben di liquidare le promesse giuridico-politiche
della modernità per via della loro incompiutezza, alcune voci si sono schierate in
difesa del suo tentativo di delineare un’alternativa critica alla mera apologia
dell’esistente, senza per questo accettare l’inoperosità autocompiaciuta del pensatore italiano
[5]
. Accostamenti scandalosi come quelli da lui proposti consentirebbero di
mettere a fuoco rischi e minacce che altrimenti finirebbero per essere trascurati nel
dibattito pubblico dominante [Preterossi 2020]. Poiché, tuttavia, l’esagerazione è una
licenza che può essere concessa solo a grandi intellettuali degni di questo epiteto, è
proprio la statura intellettuale dell’autore a essere stata messa in discussione
all’indomani di questa esternazione: non sono mancate, infatti, le voci dissonanti che
hanno prontamente rispedito al mittente l’accusa di fascismo [Donaggio 2020].
Intenzionale o meno che fosse, l’accusa lanciata da Agamben
¶{p. 130}aveva il raro difetto di anteporre l’eccentricità narcisistica
dell’autore all’argomentazione della tesi sostenuta.
All’intuizionismo profetico di
analogie tanto azzardate, altre voci hanno preferito la forza argomentativa del
paradigma teorico dello stato d’eccezione [Galli 2020]:
l’assunto di una vera e propria «invenzione della pandemia» sostenuto da Agamben [2020a]
decade, ma permane la tesi di una normalizzazione dello stato di
eccezione. Di contro alla classica tesi liberale, secondo cui l’eccezione
sarebbe prevista entro l’ordine costituzionale vigente, il paradigma decisionista
consentirebbe di mettere a fuoco la capacità della decisione
consapevolmente sovrana di far ordine nel disordine attraverso
l’eccezionale sospensione delle norme ordinarie. Non è tutto: gli eccezionalisti
rimproverano agli interpreti liberali una sorta di autoinganno pericoloso, perché la
neutralizzazione costituzionale dello stato d’eccezione li renderebbe molto più propensi
a normalizzarne gli usi e a provocare disordine anziché ordine: la mole di ordinanze
commissariali, d.p.c.m. e ordinanze della protezione civile non avrebbe fatto altro che
introdurre un ordinamento gerarchico nei diritti costituzionalmente garantiti. In nome
di una dogmatica adesione alla scienza e alle raccomandazioni dei tecnici, la
biopolitica sanitaria inaugurata da questo processo inconsapevole di normalizzazione
dell’eccezione avrebbe sistematicamente sacrificato i legami e le relazioni sociali
sull’altare della salvezza fisica di una vita scandita dall’angoscia: secondo Carlo
Galli, «anziché essere l’irruzione del nuovo, l’eccezione è il banco di prova della
resilienza del sistema – a spese delle libertà dei cittadini, a cui si chiede
un’obbedienza nuova, che conferma le vecchie. Una continuità al ribasso, quindi, in cui
al capitalismo della sorveglianza (quello dei big data,
privatistico) si affianca lo Stato di sicurezza (la funzione pubblica), in una
mescolanza zoppicante e aporetica, in un ordine disordinato, affollato di eccezioni,
anomico» [Galli 2020; cfr. Zuboff 2019].
Di contro a questa lettura, si
possono contestare l’affrettata equiparazione fra «stati di emergenza» e «stato
d’eccezione» e la potenziale legittimazione di un pericoloso stato d’eccezione a fronte
di emergenze reali indotta da certe formule ¶{p. 131}polemiche
[6]
. Prima ancora, ciò che il paradigma eccezionalista sembra sottovalutare è la
differenza fra stato d’eccezione e le decisioni straordinarie assunte per
far fronte all’emergenza pandemica e la non equivalenza di ogni
misura emergenziale
[7]
.
3. Frenesia tassonomica e sovrapproduzione normativa
Se le versioni apocalittiche
dell’eccezionalismo mostrano una certa miopia nei confronti delle diverse eccezioni
sovrane in gioco, gli interpreti liberali fanno di tutto per ribadire il rispetto
rigoroso di norme là dove a regnare sovrano è solo il disordine inintenzionale delle
misure emergenziali. Il dibattito in questione sembra insomma tradire una certa pigrizia
intellettuale proprio in quegli autori che hanno fatto del pensiero una professione: di
fronte all’enigmatica apparizione di eventi inaspettati come la pandemia, la filosofia
sembra aggrapparsi alle categorie di cui già dispone e pretendere di conformarvi il
presente, anziché cimentarsi in quella meravigliosa avventura del pensiero che consiste
nell’affinarne di nuove di fronte alla sopraggiunta indecifrabilità del mondo [Forti
2020]. È possibile, infatti, assumere una prospettiva decisionista o far uso della
categoria di biopolitica e giovarsi della loro capacità euristica senza per questo
condividere lo spirito profetico o i moniti apocalittici degli eccezionalisti o, ancora,
negare – come sembrano fare certi interpreti liberali – i rischi e i veri e propri
pericoli derivanti dalla normalizzazione politica degli stati d’emergenza reali.
A raccomandare questa prospettiva
critica sono proprio gli esiti paradossali della sovrapproduzione normativa che si è
¶{p. 132}registrata durante la pandemia e la «frenesia tassonomica» che
l’ha accompagnata: sin dalla cosiddetta «Fase 1» il governo politico della crisi
sanitaria in Italia è stato caratterizzato da una sovrapproduzione
normativa a fronte di una proliferazione e sovrapposizione
delle sue fonti e dei relativi strumenti
[8]
, dagli ormai noti decreti del presidente del Consiglio dei ministri alle
ordinanze comunali, passando attraverso i decreti-legge del governo, le circolari
ministeriali e del Dipartimento di protezione civile [Drigo e Morelli 2020].
Note
[1] Innumerevoli sono i contributi che si sono pronunciati sulle ricadute del governo politico della crisi pandemica sui diversi settori cruciali per la vita produttiva e riproduttiva della società, dal lavoro alla scuola, passando attraverso il diritto all’abitare, la sanità, i servizi pubblici di assistenza e il welfare: cfr. Seghezzi [2020]; Piras [2020]; Rocchi [2020]; Filandri e Semi [2020]; Falcon [2020]; Sanfelici e Mordeglia [2020]; Cinelli [2020].
[2] Cfr. Cerutti [2020] che distingue fra minacce planetarie come la pandemia e minacce globali letali in senso stretto come il riscaldamento climatico e le armi nucleari, perché solo queste ultime possono risultare fatali per l’intera civiltà.
[3] In ciascun contesto, sono stati raccolti dati quantitativi riguardanti sia l’attività delle forze di polizia (PS, CC, GdF e Polizia locale) sia quella della magistratura (flussi dei procedimenti civili e penali); sono state inoltre effettuate interviste semi-strutturate a tutti gli attori coinvolti nel campo della sicurezza: prefetti, questori, comandanti provinciali del corpo dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, sindaci, assessori alla sicurezza, procuratori della Repubblica, procuratori aggiunti e presidenti di tribunale.
[4] Per una sintesi efficace e più ampia di questo dibattito, si rimanda a Serughetti [2021].
[5] «Insomma, il problema non è aver detto che fare la Dad è come giurare fedeltà al fascismo. Il punto è piuttosto la politicità della teoria agambeniana. E con questo Agamben ci pone davanti a un dilemma che non vorremmo affrontare: siamo davvero costretti a decidere tra una filosofia scandalosa ma inoperosa e una filosofia appiattita sull’esistente?» [Tedesco 2020].
[6] «Tutto ciò non vuol dire che la gestione dell’emergenza sia sempre e necessariamente eccezione e fuoriuscita dalle regole: anzi, proprio nella gestione dell’emergenza le regole e il rispetto dei diritti diventano più importanti. Che ci vogliano leggi chiare – e qui sicuramente la passata gestione nel nostro Paese non ha brillato – e veloci non significa che tali leggi non si possano giudicare alla luce di criteri di giustizia e legittimità» [Pellegrino 2020, 501].
[7] A chiarire questi nodi fondamentali sono recentemente intervenuti Andrea Salvatore e Mariano Croce [2022].
[8] A inizio aprile 2020 si potevano contare 228 provvedimenti del governo e dei vari ministeri, 339 ordinanze regionali e 40.000 comunali [Celotto 2020].