Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Un primo indirizzo è stato formulato dalla Corte con riguardo — si è ritenuto — alla conformità a costituzione dei diversi, possibili sistemi di indicizzazione delle retribuzioni [126]
. Chiamata a giudicare della legittimità di una legge della provincia di Bolzano, regolante un’indennità integrativa speciale più favorevole di quella in vigore nel settore statale, la Corte ha ribadito la potestà delle regioni a statuto speciale e delle provincie autonome di attribuire ai propri dipendenti trattamenti retributivi differenziati rispetto a quelli in atto nel pubblico impiego statale [127]
, purché ciò
{p. 252}non avvenga in modo arbitrario, evitandosi dai legislatori locali di tenere nella debita considerazione «termini sicuri e comuni di raffronto fra situazioni omogenee». Situazione omogenea, sembra di capire, a parere della Corte può senz’altro essere ritenuta la perdita di potere d’acquisto provocata in tutte le retribuzioni dall’erosione inflazionistica, come tale da fronteggiare «per definizione... in una maniera equivalente per tutti i lavoratori indipendentemente dalla retribuzione da ciascuno percepita». Dall’affermazione di principio, per la verità, si potrebbero far discendere conseguenze diverse da quelle che sembra aver tratto la Corte, sostenendosi, non senza fondamento, che la possibilità di contrastare l’andamento dell’inflazione in maniera equivalente per tutti i lavoratori, mediante un meccanismo di indicizzazione, è offerta proprio da quei sistemi di scala mobile (c.d. anomali) che garantiscono a ciascuno un incremento di retribuzione proporzionale all’incremento del costo della vita. La decisione della Corte, viceversa, s’è mossa, almeno apparentemente, in tutt’altra direzione, nel senso di ritenere, anche sulla base del disposto contenuto nell’art. 2 della legge n. 91/1977, classificabile addirittura «fra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» il principio «per cui il trattamento di contingenza deve essere, in linea di massima, comune per tutti i lavoratori interessati e comunque contenuto entro certi limiti». E poiché l’affermazione è stata corroborata da un riferimento al criterio perequativo ricavabile dal combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost, in sé probabilmente neanche necessario [128]
, si è creduto di potervi leggere una più generale assunzione di «posizione... sulla funzione della contingenza, elevandosene la corresponsione in cifra uguale per tutti non solo a principio generale dell’ordinamento, ma addirittura a forma costituzionalmente necessaria» [129]
. La {p. 253}deduzione, peraltro, pare alquanto forzata, frutto di un equivoco forse ingenerato dal riferimento alle disposizioni della legge n. 91 nella sentenza della Consulta: la quale non si trovava affatto a giudicare di un meccanismo di scala mobile a percentuale e, quindi, nessuna opinione può aver inteso esprimere rispetto ad essi, ma di un sistema di indicizzazione in cifra fissa eguale per tutti, con valore intrinseco del punto, però, lievemente superiore a quello adottato per i dipendenti statali. Si comprende, allora, come il nucleo «forte» della decisione vada ricercato non nell’assunto per cui il trattamento di contingenza deve essere «comune per tutti i lavoratori interessati», circostanza che per la Corte, ben consapevole che proprio la legge n. 91 ha lasciato in vita meccanismi differenziati di indicizzazione, deve verificarsi solo in linea di massima; ma nel rilievo per cui quel trattamento deve comunque essere contenuto entro certi limiti.
Essendo detti limiti implicitamente individuati nel valore del punto riconosciuto ai lavoratori statali (e dell’industria in genere), la conseguenza da trarre sembra nel senso che la Corte non abbia, in realtà, inteso esprimere alcuna precisa valutazione in ordine alla legittimità costituzionale dell’una piuttosto che dell’altra forma di indicizzazione, ma, più incisivamente, un orientamento di fondo sul rapporto fra inflazione e salari. Quest’ultimo — secondo la Corte — può anche essere regolato da un meccanismo automatico di adeguamento dei secondi all’andamento della prima, purché la copertura dalla svalutazione monetaria assicurata da tale meccanismo non sia integrale [130]
: il che, sia detto per inciso, può verificarsi, com’è universalmente noto [131]
, anche in un sistema a percentuale, qualora l’entità dell’aggiustamento salariale sia meno che proporzionale rispetto all’aumento dei prezzi.{p. 254}
Né l’una, né l’altra forma di indicizzazione, comunque, devono essere considerate costituzionalmente necessarie, come si potrebbe essere tentati di pensare se la contingenza andasse davvero riguardata come «istituto contrattuale di attuazione di un principio costituzionale» [132]
. Quest’ulteriore implicazione sarà chiarita dalla Corte in una successiva decisione, meno nota della precedente, ma non meno importante sul piano dei principi, con la quale è stata detta una parola, in qualche modo definitiva, sulla relazione costituzionalmente necessaria fra inflazione e retribuzioni. Non altrimenti, infatti, potrebbe valutarsi la sentenza [133]
che ha respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale proposte nei confronti della legge 4 febbraio 1977, n. 21, nella parte in cui escludeva l’attribuzione dell’indennità integrativa speciale (e delle quote di aggiunta di famiglia) ai contrattisti ed assegnisti universitari, non soltanto in riferimento all’art. 3 Cost. [134]
, ma anche all’art. 36, in base alla considerazione che «l’esigenza di una retribuzione “sufficiente” non comporta certamente l’obbligo di meccanismi di adeguamento particolari» giacché «...il legislatore ben può adeguare la retribuzione alle variazioni nel costo della vita con interventi adottati di volta in volta, senza essere vincolato all’adozione di meccanismi automatici».
Una delegittimazione più ampia dei meccanismi di indicizzazione salariale non si sarebbe potuta immaginare. L’affermazione della Corte, in altre parole, suona come palese smentita di quelle teoriche, di derivazione soprattutto dottrinale, che, affermata nella norma costituzionale in materia di retribuzione l’esistenza della nozione di salario reale, ne fanno discendere la conseguenza (principale) che, non potendo il lavoratore «in forza della direttiva dell’articolo 36 Cost, in nessun momento del rapporto... percepire una retribuzione che non sia adeguata e sufficiente», ciascuna prestazione retributiva «viene adeguata attraverso la corresponsione (obbligatoria) dell’indennità di contingenza, giustifica{p. 255}ta dall’esistenza dell’obbligazione fondamentale e della ragione di scambio che ab initio la sorregge» [135]
; e la conseguenza (ulteriore) che la contingenza, in quanto emolumento formalmente retributivo, ma sostanzialmente indennitario, andrebbe corrisposta anche in assenza di esplicite pattuizioni, perché «automaticamente riconducibile al regolamento iniziale dell’obbligazione fondamentale soggetta al criterio dell’art. 36 Cost.» [136]
.
La tesi in esame, in realtà, è sempre apparsa alquanto forzata, in particolare con riferimento all’asserita natura sostanzialmente indennitaria, di mera reintegrazione del salario reale inizialmente convenuto, della contingenza; ed oltre tutto smentita da una più attenta considerazione proprio di quelle fonti contrattuali addotte a sostegno dell’affermazione. Non solo e non tanto per lo scontato rilievo che risulta difficile pensare ad una mera funzione di ristorazione del salario reale a proposito di un emolumento che, stando almeno alle discipline collettive più consolidate nel nostro sistema, «non attua una rivalutazione piena ed immediata, ma utilizza soltanto determinati coefficienti ad operatività in parte “ritardata”, con un risultato che è più contenuto rispetto all’effettivo tasso generale di svalutazione della moneta» [137]
. Quanto soprattutto perché quelle discipline collettive hanno mostrato di intendere l’indennità di contingenza come emolumento dotato di propria autonoma sostanza retributiva, distinta da quella della retribuzione base, attraverso la regolamentazione dell’ipotesi di funzionamento «in discesa» della scala mobile, che l’opinione in discussione valorizza, viceversa, come elemento centrale di supporto del proprio assunto [138]
. Il funzionamento «in discesa» della scala mobile, in realtà, non era previsto nella regolamentazione {p. 256}iniziale dell’indennità di contingenza, con la quale si era inteso stabilire «un rapporto asimmetrico tra dinamica del costo della vita e salari» [139]
. L’accordo interconfederale 28 novembre 1947 provvide ad introdurre la relativa disciplina, assistita, peraltro, dalla previsione di una clausola di franchigia, tale che «un’eventuale riduzione del costo della vita si sarebbe tradotta in un aumento del potere di acquisto dei salari» [140]
. Col successivo accordo 15 gennaio 1957 la clausola di franchigia è stata abolita e sostituita da una clausola c.d. di «riconferma» (tuttora in vigore), ai sensi della quale l’eventuale riapprezzamento della moneta comporterebbe una corrispondente decurtazione degli importi di contingenza solo se verificato per due trimestri consecutivi: anche in questo caso con un evidente guadagno in termini reali, medio tempore, dei salari e conseguente incrinatura della configurazione della contingenza come «proiezione necessaria, ineliminabile e non autonoma del salario contrattuale» [141]
, la quale, per essere compiutamente dimostrata, dovrebbe trovare conferma anche in ipotesi-limite.
Ad ogni modo, e per tornare alla decisione della Corte, qualsiasi cosa si voglia pensare circa la natura dell’indennità di contingenza (o di emolumenti di analoga struttura, quale l’indennità integrativa speciale), resta fermo che essa non può essere assunta a forma costituzionalmente necessaria di adeguamento delle retribuzioni [142]
. La Corte, naturalmente, non giunge a negare l’esistenza di un rapporto, giuridicamente rilevante, fra inflazione e salari: nega però che tale rapporto debba obbligatoriamente inverarsi attraverso un meccanismo automatico o, in altre parole, che l’uno, piuttosto che l’altro, strumento di aggiustamento dei salari possa ritenersi coperto dalla garanzia di cui all’art. 36 Cost.
I criteri enunciati nelle due sentenze ricordate sono stati utilizzati, implicitamente o esplicitamente, dai giudici della Consulta nella risoluzione delle questioni di costituzionalità prospettate nei
{p. 257}confronti della legislazione in materia retributiva con riferimento all’art. 36 e anche all’art. 3 Cost.
Note
[126] Corte cost., 20 aprile 1978, n. 45, in «Riv. giur. lav.», 1978, II, p. 740.
[127] Il principio era stato appena affermato da Corte cost., 20 marzo 1978, n. in «Giur. cost.», 1978, I, p.458, con riferimento al trattamento retributivo del personale della regione siciliana, in base alla considerazione che «non esiste attualmente un principio dell’ordinamento giuridico dello Stato od una norma fondamentale delle riforme economico-sociali, in tema di retribuzioni del pubblico impiego, da cui possa trarsi un limite che sia in grado di operare nei confronti della competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale».
[128] Si v., in questo senso, D’Atena, A prima lettura, in «Giur. cost.», 1978, 1, p. 529 e già Id., Regioni, eguaglianza e coerenza dell’ordinamento. (Alla ricerca di principi generali in materia di indicizzazione delle retribuzioni), ivi, 1977, I, p. 1291 ss.
[129] Treu, Problemi giuridici della retribuzione, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1980, p. 11.
[130] L’implicazione racchiusa nel ragionamento della Corte si può cogliere meglio, forse, riflettendo sulla circostanza che qualsiasi meccanismo di scala mobile a punto fisso — anche quello adottato dalla provincia di Bolzano e, a maggior ragione, quello in uso nei settori industriali e del pubblico impiego statale — è caratterizzato da gradi di copertura dalla svalutazione monetaria, oltreché differenziati per livelli retributivi, via via decrescenti nel tempo.
[131] Al riguardo cfr. BIT, L’indexation, cit., p. 11 s., con l’esatto rilievo che, dal punto di vista tecnico, risulta equivalente l’adozione di un sistema di scala mobile a percentuale non proporzionale, di indicizzazione di una parte soltanto del salario o ancora di attribuzione di una cifra fissa eguale per tutti.
[132] Così, invece, Ventura, Intervento, cit., p. 440.
[133] Corte cost., 14 aprile 1980, n. 43, in «Foro it.», 1980, I, c. 1261.
[134] La violazione del principio di uguaglianza è stata negata dalla Corte in base alla considerazione che nelle figure del contrattista e dell’assegnista emergevano caratteristiche peculiari «non riscontrabili nei rapporti dell’università con gli altri suoi dipendenti e tali da escludere quella sostanziale eguaglianza di situazioni dalla quale soltanto può dedursi l’irrazionalità e quindi l’illegittimità di trattamenti differenziati».
[135] Alleva, Automatismi, cit., p. 82.
[136] Id., op. ult. cit., p.83.
[137] Cass. S.U., 16 febbraio 1984, n. 1148, in «Foro it.», 1984, I, c. 387. Con questa decisione le Sezioni Unite si sono assai sbilanciate nel sottolineare la funzione di tendenziale recupero del valore reale del salario propria della contingenza, giungendo a parlare di una «retribuzione essenziale del lavoratore quale entità composta da due elementi, di cui uno contrattualmente statico-nominalistico (retribuzione-base) e l’altro dinamico-funzionale (indennità di contingenza)»; ribadendo, però, che quest’ultima va considerata come «un’entità che mantiene una sua distinta connotazione» e che perciò «non si confonde, ma si affianca alla retribuzione-base».
[138] Cfr. infatti Alleva, op. ult. cit., p. 83 ss.
[139] Lungarella, op. cit., p. 40.
[140] Id., op. cit., p. 41.
[141] Alleva, op. ult. cit., p. 79.
[142] Questa, del resto, è l’opinione largamente prevalente anche in dottrina: cfr. Treu, op. ult. cit., p. 16; De Luca Tamajo, Per un controllo sindacale della retribuzione, in «Pol. dir.», 1982, p. 349 s.; Giugni, Intervento alla tavola rotonda La disdetta della scala mobile: quali problemi giuridici, in «Riv. giur. lav.», 1982, I, p. 545.