Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c1
Anzitutto, per oltre un anno la scuola
non è più stata un luogo fisico: non più quella scuola, a
quell’indirizzo, con quelle aule, quel cortile, quei banchi. È entrata a casa di ciascuno, o
per meglio dire si è svolta da casa di ciascuno, non con istitutori a
domicilio, ma con insegnanti che entrano a forza attraverso lo schermo del PC dentro cucine
affollate, camere da letto da rassettare, balconi, divani. La dematerializzazione
dell’edificio scuola pone la prima sfida nella dimensione dello spazio: gli alunni devono
sapersi organizzare, imporsi regole nuove, voler continuare a fare scuola davvero; gli
insegnanti devono trovare nuovi modi per fare lezione, uscire dalla zona di
comfort di anni di scuola svoltisi dentro le aule per far diventare
aula una stanza qualsiasi, nella domesticità privata di ogni alunno. La mancanza di un luogo
fisico definito amplifica la disuguaglianza, aggiungendosi a quella derivante dalle competenze
digitali e dal possesso dei dispositivi cui si faceva cenno poc’anzi:
¶{p. 17}mostra case piccole e affollate da una parte e case ampie, lussuose,
confortevoli, magari troppo grandi per chi le abita, dall’altra; evidenzia le differenti
dotazioni tecnologiche, più o meno aggiornate oppure obsolete; sottolinea la differenza nelle
risorse e nei consumi culturali delle famiglie.
La ricaduta sui
metodi d’insegnamento è evidente: come si può insegnare senza avere la
classe fisicamente di fronte a sé? Senza la possibilità d’intercettare sguardi, diagnosticare
cali d’interesse, individuare e amplificare curiosità? Per molti insegnanti il nuovo mandato
didattico è stato complesso e di fronte a esso le loro competenze professionali, sociali ed
emotive si sono spesso dimostrate inadeguate. Come ogni crisi, anche questa ha funzionato come
evidenziatore di differenze latenti: alcuni insegnanti hanno reso più palese la loro
resistenza al cambiamento, una scarsa propensione all’innovazione e una certa ossessione
burocratica, che ha preso forma, per esempio, nel bisogno di terminare i programmi
indipendentemente dal reale apprendimento, o nell’enfatizzare oltremodo il momento della
verifica delle conoscenze. Per altri invece si è trattato di un’opportunità per mettere in
campo soluzioni creative, sperimentare nuovi metodi, attingere a giacimenti di saperi inediti
nell’esperienza scolastica. Come poi vedremo, gli effetti sugli alunni sono stati
corrispondenti: laddove la DAD è stata sottovalutata nelle sue potenzialità e non pensata
creativamente ha causato una regressione nei metodi di insegnamento/apprendimento: gli alunni
sono tornati a essere contenitori vuoti da riempire. La distanza fisica ha allora creato una
frattura generazionale e di ruoli come non accadeva da lungo tempo, lasciando gli alunni soli,
spaesati, senza punti di ancoraggio. Per coloro che invece hanno potuto sperimentare un altro
modo di fare scuola, ricco comunque di proposte e contenuti, ad alta densità d’innovazione e
creatività, l’esperienza si è qualificata come qualcosa di più di un’alternativa obbligata
alla modalità tradizionale.
Le relazioni sono
la stoffa su cui è cucito questo cambiamento, nelle sue varie forme: si è
assistito a un rafforzamento (non scevro di problematicità) dei legami familiari, sia dentro
la famiglia nucleare che in quella estesa, un ritrarsi e pro¶{p. 18}teggersi
nella domesticità; una nuova centralità riconosciuta alle figure genitoriali, riferimento
imprescindibile per gli adolescenti. E parallelamente c’è stata la rarefazione delle relazioni
con gli altri adulti esterni alla famiglia: insegnanti, allenatori, animatori, educatori.
Questa trasformazione non è priva di implicazioni rispetto ai bisogni e agli obiettivi
scolastici ed educativi in genere. Allo stesso modo, il parterre degli
amici si è modificato, determinando una sorta di selezione naturale, che fa sopravvivere le
amicizie robuste, fondate su valori comuni, quelle a cui si è dedicato tempo, attenzione,
cura, e lascia morire le altre, derubricate a frequentazioni temporanee – non senza qualche
sorpresa, delusione di aspettative, rammarico e comunque con un diffuso senso di perdita.
A livello più macrosociale, ciò che
appare chiaro è che la situazione legata alla pandemia sta spingendo la scuola
[12]
verso un mutamento strutturale, interferendo con tendenze di lungo termine già in
atto e costituendo meccanismi sociali complessi. La scuola – così si è detto in molte
riflessioni accademiche e nel dibattito pubblico – dovrà cambiare luoghi, tempi, metodi,
relazioni. Il fatto che attualmente, dopo varie ondate epidemiche e in una fase di sicurezza
provvisoria e fluttuante offerta dalla campagna vaccinale, sembri prevalere un’inesorabile
forza d’inerzia che tende a riportare tutto al business as usual non può
eliminare le esigenze di cambiamento nel lungo periodo. A livello macro, oltre l’emergenza del
momento o la resistenza a oltranza, gli scenari aperti sono molteplici. Gli esiti sono ancora
remoti e incerti
[13]
. Ma l’accelerazione della morfogenesi strutturale e culturale dei sistemi
d’istruzione sembra svolgersi lungo alcune linee direttrici che possiamo qui soltanto
identificare:¶{p. 19}
- intersettorialità. I sistemi d’istruzione tendono a incrementare le loro relazioni d’interscambio e di reciproca dipendenza – che comprende la possibilità del reciproco «disturbo» e della disfunzionalità – con altri sistemi, non soltanto in ambito educativo-socializzativo. Si tratta, per esempio, delle interazioni con i sistemi sanitari, dei trasporti e del lavoro;
- potenzializzazione. La tendenza che abbiamo sopra delineato nel suo impatto sulle vite personali si sviluppa, anzi ha un suo ambito di elezione, precisamente a livello organizzativo, gestionale e di policy. Come già sta accadendo per altre forme organizzative e complessi istituzionali, la scuola entra nel vortice della disponibilità alla valorizzazione continua del mutamento, all’apertura dei propri confini e alla ricerca di sempre nuove, specifiche forme e mission al di là degli orizzonti che di volta in volta rapidamente compaiono;
- personalizzazione. Il trend di lungo periodo che spinge alla personalizzazione dei servizi in vari campi, per esempio nell’ambito del welfare, s’intensifica anche in campo educativo, a causa della crescente variabilità di condizioni, di bisogni educativi e di livelli di apprendimento, anche all’interno delle medesime classi.
Per trarre le somme, queste sono state
le linee fondamentali del mutamento della e nella scuola, durante l’emergenza e dopo di essa,
per effetto dell’«onda lunga» della destrutturazione delle relazioni educative. Certamente,
esse implicano anche opportunità trasformative. Che si tratti di riflettere sul nuovo ruolo
della scuola o sulle sue capacità di mantenere il posto che aveva prima, è comunque certo che
le organizzazioni scolastiche siano al centro di una trasformazione sociale epocale e che la
tecnologia ha in essa un ruolo importante.
Dal punto di vista delle conseguenze sui
giovani alunni è stato naturale ipotizzare, nei contributi scientifici e nel dibattito
pubblico, un forte impatto di tutta questa situazione sugli apprendimenti e sulle prestazioni
scolastiche, come anche sulla crescita personale.
Proprio quest’ultima dimensione – che
peraltro le scienze sociali hanno da tempo dimostrato essere strettamente
¶{p. 20}intrecciata alla prima
[14]
– è al centro dell’interesse di questo libro, in cui se ne assume una declinazione
specifica, onde precisare e rendere il più possibile rigorosa l’analisi. È stato percorso un
sentiero di ricerca nuovo, centrato sul nesso tra l’esperienza della
modalità telematica d’insegnamento e l’emergere di alcune dimensioni
importanti dello sviluppo umano dei giovani alunni. Queste ultime sono state definite entro un
quadro di riferimento teorico che ruota attorno a due concetti chiave: quello di
competenze socio-emozionali (social and emotional
skills, d’ora in avanti SES) – dette anche «caratteriali» (character
skills) – e quello di riflessività, intesa come proprietà
emergente personale
[15]
. Entrambe sono significativamente connesse sia alla capacità dei giovani di «fare
la propria strada nel mondo», integrandosi e contribuendo positivamente agli ambienti sociali
in cui si svolge la loro vita – a partire da quello scolastico – sia alla loro capacità di
maturare un orientamento sensato e progettuale rispetto al futuro. La domanda fondamentale da
cui prende le mosse questo studio, dunque, è formulabile nel modo seguente: è vero, e se sì a
quali condizioni, che la transizione a una modalità telematica dell’insegnamento, con tutto
ciò che ha comportato, è correlata a una flessione nel livello di SES e a una crisi della
riflessività personale negli alunni? L’ipotesi di partenza è che il legame sia duplice: la
DAD/DDI potrebbe associarsi a una minore efficacia della scuola nel formare tali competenze e
al tempo stesso la «dotazione personale» di SES e riflessività, dipendente da altri fattori,
potrebbe fungere da forte strumento di resilienza, riducendo l’impatto negativo della
situazione di emergenza che ha ¶{p. 21}accompagnato la scuola e ogni forma
d’interazione sociale a partire da marzo del 2020.
Lo scenario che abbiamo tratteggiato
evoca l’emergere di dispositivi di governance, che
tentino di orientare queste dinamiche, e dispositivi
culturali che (ri)attribuiscano senso all’esperienza educativa come tale,
rendendola meno paradossale. In questo contesto, la domanda latente nel nostro lavoro è se
l’attuale «catastrofe» pandemica si stia traducendo anche in una catastrofe scolastica ed
educativa. Più specificamente, come reagiscono i sistemi scolastici alla crisi? Quali
istituzioni si trasformano oppure cedono all’eccesso di complessità e perché? Con quali
effetti sulle persone? Per esempio, sta davvero emergendo una «generazione Covid», secondo la
suggestiva espressione che comincia a farsi strada nel dibattito pubblico? E se sì, con quali
tratti caratteristici?
Ragionare su queste domande implica due
grandi nuclei generativi del discorso. Il primo tratta l’impatto della crisi dal punto di
vista dell’apprendimento scolastico-disciplinare e della rilevanza economica dell’istruzione.
Sotto questo profilo, il notevole effetto negativo sugli apprendimenti è già stato ampiamente dimostrato
[16]
. Sul piano economico, tale perdita di conoscenze e competenze – cioè di capitale
umano – si tradurrebbe, secondo stime autorevoli, in un calo del PIL nazionale quantificabile
nell’1,5% per ogni anno fino alla fine del secolo [Hanushek e Woessman 2020]
[17]
. A livello individuale, naturalmente, ciò significherà perdite di reddito lungo
tutto l’arco della vita lavorativa, minori opportunità e chances di vita
in generale e maggiori
¶{p. 22}diseguaglianze, ancora difficili da
quantificare, ma molto probabilmente di vaste proporzioni.
Note
[12] I sistemi d’istruzione comprendono ovviamente anche le istituzioni d’istruzione superiore, in primo luogo l’università. L’analisi sviluppata in questa sede riguarda esclusivamente la scuola e di essa quindi parleremo sempre nel testo.
[13] Per un esercizio predittivo che delinea «creativamente» alcuni possibili scenari a medio-lungo termine cfr. OECD [2020].
[14] Per una concisa trattazione di questo punto sia consentito di nuovo un riferimento a un nostro precedente studio [Maccarini 2021].
[15] Per i lettori interessati ai fondamenti teorici dell’impostazione di questo studio empirico, segnalo che una trattazione delle SES e una prima formulazione che tenta di elaborare i due concetti chiave di SES e riflessività personale entro un modello integrato si trova in Maccarini [2019, cap. 8, specialmente pp. 240-248]. La nozione di riflessività è pensata qui con riferimento al pluriennale lavoro di Margaret Archer [2006; 2007; 2009].
[16] Per l’Italia si vedano i dati, chiari e drammatici, emersi dalle prove INVALSI del 2021: https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get= static&pag=materiale_approfondimento.
[17] Questa percentuale è una media riferita ai paesi OCSE, calcolata sul periodo di chiusura delle scuole nella sola «prima ondata» pandemica del 2020 e supponendo che non vi siano ulteriori chiusure. Naturalmente, i vari paesi saranno variamente posizionati attorno a questa media, a seconda della maggiore o minore durata della loro chiusura e di altre variabili, quali per esempio la dotazione tecnologica e la qualità della didattica erogata a distanza.