Note
  1. Lasciando il dibattito sulle definizioni ad altre sedi [si veda per esempio Maccarini 2021, cap. 1], assumiamo questi termini come sinonimi ai fini della presente ricerca. L’espressione character skills sottolinea maggiormente il carattere integrato delle competenze in questione, che disegnano un «profilo» del soggetto, e altresì la loro multidimensionalità, che chiama in causa aspetti cognitivi, comportamentali, affettivi e morali. La formula «competenze sociali ed emozionali» punta l’attenzione sulle dimensioni più centrali che vengono messe in questione.
  2. Per una panoramica critica dell’estesissima letteratura internazionale, che non è possibile qui nemmeno riassumere, devo rinviare ancora a Maccarini [2021]. Il dibattito nazionale è alimentato sia da traduzioni di opere centrali sul tema [Heckman e Kautz 2016] che da ormai molteplici contributi originali. Si veda per esempio Chiosso, Poggi e Vittadini [2021].
  3. Nell’ambito della teoria sociologica, il riferimento fondamentale sul tema dell’accelerazione sociale va al lavoro di Hartmut Rosa: si veda per esempio Rosa [2013].
  4. La dinamica dei sistemi di welfare europei – con la nozione di politiche «attive» per l’autoprotezione dai rischi – costituisce un esempio istruttivo.
  5. Un’interessante teoria della potenzializzazione come necessità funzionale percepita in ambito organizzativo si trova in Andersen e Pors [2016]; per una prima applicazione al campo dell’educazione si veda Andersen, Knudsen e Sandager [2022], da cui riprendo anche la formula qui citata.
  6. Questo è ciò che in vari lavori Archer [per es. 2009] ha definito l’imperativo riflessivo. Tornerò su questo punto in un successivo paragrafo del presente capitolo.
  7. In questo senso la situazione culturale contemporanea corrisponde, sotto certi aspetti, all’idea di «terapeutica» elaborata dal grande (e dimenticato) Philip Rieff [1966]. Tornerò altrove su questo argomento. L’assenza di riferimento a un quadro culturale più ampio presenta dei riscontri empirici che saranno sottolineati nei capitoli terzo e quinto di questo volume.
  8. Quello dell’orientamento è a sua volta un tema di grande rilevanza, che in questo volume potremo soltanto sfiorare.
  9. Sul filo di questa argomentazione diventa rilevante la connessione tra l’idea di educazione come relazione sensata, la nozione di character skills e una teoria dell’educazione come «risonanza» [Rosa 2016, 402-419; Rosa e Endres 2016]. L’educazione come relazione sensata rappresenta in sé un’idea non nuova, che rimanda a una visione complessiva del sociale come relazione. Su questo si veda per esempio Donati [1991; sul fenomeno educativo soprattutto cap. 7].
  10. Questa espressione allude all’idea di una società «senza esterno», in cui vengono meno le distanze simboliche e sociali – benché possano essere imposti distanziamenti fisici. Su questo mi permetto di rinviare a un mio contributo [Maccarini 2019].
  11. Questa singolare espressione è emersa – piuttosto curiosamente – in una delle nostre interviste con insegnanti e in una lunga intervista – profilo biografico di Margaret Archer – il cui lavoro sociologico è una delle fonti d’ispirazione di questo studio. La riprendo qui, nel significato specifico che dovrebbe essere chiaro, dato il contesto discorsivo.
  12. I sistemi d’istruzione comprendono ovviamente anche le istituzioni d’istruzione superiore, in primo luogo l’università. L’analisi sviluppata in questa sede riguarda esclusivamente la scuola e di essa quindi parleremo sempre nel testo.
  13. Per un esercizio predittivo che delinea «creativamente» alcuni possibili scenari a medio-lungo termine cfr. OECD [2020].
  14. Per una concisa trattazione di questo punto sia consentito di nuovo un riferimento a un nostro precedente studio [Maccarini 2021].
  15. Per i lettori interessati ai fondamenti teorici dell’impostazione di questo studio empirico, segnalo che una trattazione delle SES e una prima formulazione che tenta di elaborare i due concetti chiave di SES e riflessività personale entro un modello integrato si trova in Maccarini [2019, cap. 8, specialmente pp. 240-248]. La nozione di riflessività è pensata qui con riferimento al pluriennale lavoro di Margaret Archer [2006; 2007; 2009].
  16. Per l’Italia si vedano i dati, chiari e drammatici, emersi dalle prove INVALSI del 2021: https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get= static&pag=materiale_approfondimento.
  17. Questa percentuale è una media riferita ai paesi OCSE, calcolata sul periodo di chiusura delle scuole nella sola «prima ondata» pandemica del 2020 e supponendo che non vi siano ulteriori chiusure. Naturalmente, i vari paesi saranno variamente posizionati attorno a questa media, a seconda della maggiore o minore durata della loro chiusura e di altre variabili, quali per esempio la dotazione tecnologica e la qualità della didattica erogata a distanza.
  18. Nella vasta letteratura già accumulatasi sul tema, che non possiamo discutere qui, si veda per esempio la meta-analisi di Racine e colleghi [2021].
  19. Qui la nostra ricerca si connette al dibattito teorico ed empirico sul tema delle generazioni. In particolare, si situa all’incrocio tra le classiche analisi di Karl Mannheim [1928; trad. it. 1974] e la loro critica. Parlare di «generazione Covid» sembra echeggiare l’idea di generazione intesa come insieme di persone esposte a un medesimo contesto storico-sociale, alle stesse idee, eventi e «contenuti di vita», da cui risulta – attraverso un «nesso generazionale» – lo sviluppo di comuni modi di sentire, di pensare e di agire, e potenzialmente di certe forme di agire collettivo. Tale effetto è, naturalmente, più forte e profondo quando l’esposizione a eventi di vasta portata avviene nell’età in cui la propria identità è in fase di formazione. Il lavoro di Donati e Colozzi [1997] ha a suo tempo mostrato efficacemente come e perché le generazioni in questo senso risultino sempre più difficili da identificare e forse non esistano più. Ora, la potenza del fenomeno pandemico sembra rilanciare in un certo senso tale possibilità, in forme ancora da comprendere. La nostra interpretazione tiene conto di questa possibile evoluzione. Ma rimane vero, in ogni caso, che la costituzione di «nessi», articolati in «unità» generazionali – per dirla sempre con Mannheim – può essere colta soltanto attraverso le relazioni con le generazioni compresenti, che mediano tali complesse transazioni. Queste relazioni sono, perciò, al centro delle nostre analisi.
  20. Occorre però ricordare che anche i social media e l’intera nube comunicativa che avvolge ormai completamente le nostre vite non è semplicemente un fenomeno naturale, ma un fatto socio-culturale che dipende da specifici «architetti» e dal design che essi esprimono. Benché sganciato dal livello dell’interazione faccia a faccia, essi fanno comunque parte di quel «mondo adulto» con cui i giovani si confrontano.
  21. Non è certamente questa la sede per fare il punto sulla teoria della socializzazione. Un’utile rassegna, ancora attuale, si trova in Maccoby [2007]. Il riferimento a una teoria «orientata alla riflessività» rimanda a una prospettiva esemplificata in Archer [2015]. Su questo tema ci permettiamo di rinviare anche alle considerazioni svolte in Maccarini [2017].
  22. L’espressione «imperativo riflessivo» compare nel lavoro di Margaret Archer per designare un effetto centrale delle situazioni di rapida trasformazione sociale e culturale, introducendo la sua teoria della riflessività personale. Si può argomentare che tale concetto sia applicabile a vari livelli di organizzazione sociale, dall’interazione all’organizzazione fino ai sistemi sociali più complessi. La stessa nozione di potenzializzazione, a cui abbiamo accennato sopra, è strettamente connessa a questa condizione di «necessità riflessiva». L’interpretazione della pandemia come imperativo riflessivo è qui ripresa da una conversazione con Mark Carrigan (Università di Manchester) e da un lavoro comune in corso di elaborazione.
  23. Basti qui ricordare che si è fatto riferimento, per le competenze socio-emotive, al modello Big Five come parzialmente rielaborato nelle recenti ricerche promosse dall’OCSE. Tale modello rappresenta un riferimento concettuale ed empirico ampiamente condiviso [Borkenau e Ostendorf 1990; Digman 1990; Goldberg 1990; McCrae e Costa Jr. 1987; Norman 1963]. I cinque domini in cui si articola tale modello hanno mostrato un alto valore predittivo, riferito ad abilità individuali malleabili e temporalmente stabili [Chernyshenko, Kankaraš e Drasgow 2018]. D’altra parte, sarebbe un errore considerare il modello in questione come una visione onnicomprensiva della personalità umana. È sempre possibile evocare ulteriori aspetti, quali la motivazione, l’avversione al rischio o l’onestà [Kankaraš 2017]. Infine, ma non meno importante, va sottolineato che le SES implicano comunque una dimensione prestazionale e una morale-motivante, così come aspetti cognitivi, comportamentali e affettivi. È impossibile approfondire il discorso in questa sede. Peraltro, il nostro gruppo di ricerca ha affrontato il tema in un precedente lavoro. Per una sintetica rassegna e discussione critica sia consentito ancora un riferimento a Maccarini [2021, cap. 1].
  24. La scelta delle scuole e i suoi criteri sono illustrati nell’appendice metodologica.
  25. Il testo delle tracce è riportato nell’appendice metodologica.
  26. Su questo cfr. Polanyi [1985]; Denzin [1989]. Sul concetto di trama si veda anche Czarniawska [2004].
  27. Nel filone habermasiano, si potrebbe qui riflettere sulla narrazione come forma di agire comunicativo: cfr. Linde [1993]; Bachtin [1975].
  28. È appena il caso di ricordare che una folta letteratura combina la trattazione del senso della narrazione, in particolare in età giovanile, con le forme digitali della sua espressione. Tra i numerosi contributi facciamo riferimento a Bertolini [2017], Bertolini e Contini [2018], Bondioli e Savio [2018], De Rossi e Petrucco [2013], De Rossi e Restiglian [2013], Di Blas [2016], Di Blas, Paolini e Torreburro [2010], Glenn e Stein [1980], Karlsson [2013], Petrucco e De Rossi [2009], Stein e Albro [1997], Yuksel [2011].
  29. Ulteriori dettagli, sia sul serious game che sulle scale impiegate per il questionario, si trovano nell’appendice metodologica alla fine del presente volume.