Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c3

Capitolo terzo Appassionarsi al mondo, nonostante tutto
di Giulia Maria Cavaletto

Notizie Autori
Giulia Maria Cavaletto insegna Metodologia della ricerca sociale nell’Università di Padova e Sociologia dell’educazione nell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni recenti: Emerging Platform Education? What Are the Implications of Education Processes’ Digitization? (2020), Overcoming the STEM Gender Gap. From School to Work (2020), Democrazia. Le sfide del presente tra rappresentanza e partecipazione (2020).
Abstract
La narrazione prevalente, all’interno dei media e delle istituzioni, che parla della condizione giovanile nel quadro della «società malata», è tutta centrata sul disorientamento e sul disagio, psicologico e relazionale; ciò non esclude tuttavia che possano esistere altre narrazioni, talora meno diffuse, ma che contribuiscono a disegnare un profilo ben più articolato e meno monolitico. Le narrazioni a cui poco si pensa, a cui si dà poca evidenza, perché non sono oggetto di una rappresentazione mediatica, sono proprio quelle dei protagonisti diretti della didattica digitale: gli studenti. In questo capitolo vengono esaminati gli scritti dei giovani alunni, intrecciando tra loro diverse prospettive analitiche, che offrono chiavi di lettura e di approfondimento differenti. L’analisi attraverso il software Alceste consentirà, poi, di raffinare alcune interpretazioni e identificare sfumature particolari.

1. Le autorappresentazioni degli alunni: biografie educative, DAD e riflessività

La narrazione prevalente, all’interno dei media e delle istituzioni, che parla della condizione giovanile nel quadro della «società malata» [Le Goff 2021] è tutta centrata sul disorientamento e sul disagio, psicologico e relazionale; ciò non esclude tuttavia che possano esistere altre narrazioni, talora meno diffuse, ma che contribuiscono a disegnare un profilo ben più articolato e meno monolitico. Le narrazioni a cui poco si pensa, a cui si dà poca evidenza, perché non sono oggetto di una rappresentazione mediatica, sono proprio quelle dei protagonisti diretti della didattica digitale: gli studenti. La presente indagine ha dato voce, appunto, a queste rappresentazioni rimaste sottotraccia, o sussunte in categorie estremamente schematiche nel dibattito pubblico. In questo capitolo esaminiamo gli scritti dei giovani alunni, intrecciando tra loro diverse prospettive analitiche, che offrono chiavi di lettura e di approfondimento differenti. Leggiamo anzitutto i testi individuando i loro contenuti principali. L’analisi attraverso il software Alceste consente, poi, di raffinare alcune interpretazioni e identificare sfumature particolari. Inoltre, impiegando il frame concettuale della teoria archeriana della riflessività alcune valenze di notevole rilevanza vengono alla luce, qualificando meglio i testi soprattutto rispetto alla capacità di commitment e di proiezione sensata nel futuro.
La lettura dei materiali narrativi ci consegna complessivamente un’immagine articolata degli adolescenti e {p. 74}di difficile categorizzazione. Le studentesse manifestano maggiore riflessività e maggiore capacità critica, sia verso sé stesse sia verso il mondo che le circonda; i loro coetanei maschi sembrano maggiormente legati a una dimensione ludica, a rituali di socialità di gruppo. Gli stranieri esaltano i paesi di origine, i figli degli operai sottolineano la fatica di genitori impegnati faticosamente nel lavoro, gli héritiers alimentano la narrazione stereotipata dei viaggi all’estero, delle prestigiose università, del lavoro che già li attende.
In ogni caso, per tutti la pandemia ha portato trasformazioni sia esterne – la DAD e il modo in cui si fa scuola, la mancanza delle routine della socialità, la privazione dei luoghi consueti, la sospensione dello sport, e altre ancora – sia nella dimensione interiore: il senso di solitudine, la perdita o viceversa la conquista della fiducia in sé stessi, la ridefinizione valoriale eccetera. Ciò ha messo in luce diverse capacità e modalità di reazione a un evento avverso, fortemente condizionante e del tutto imprevedibile.
Riprendendo la categorizzazione di Kempson, applicata nel corso di una ricerca sulla povertà nel Regno Unito [Kempson, Bryson e Rowlingson 1994] e riferita alle transizioni biografiche che un evento spiazzante porta con sé, possiamo collocare gli alunni da noi studiati in quattro diversi clusters. Nel nostro caso, l’evento spiazzante è stato duplice: la pandemia come evento sanitario che ha costretto a misure straordinarie a tutela della salute pubblica, e la durata dell’evento stesso, che nel corso dei mesi ha assunto tratti diversi con diverse conseguenze. Abbiamo, con tre storytelling, ottenuto l’istantanea di tre momenti del tempo degli adolescenti: il momento del lockdown, il secondo quadrimestre dell’anno scolastico, e infine il futuro, quello prossimo e quello più lontano. Per tutti la combinazione dei due elementi costitutivi della crisi ha cambiato ciò che si era, con chi si era, che cosa si faceva, come lo si faceva, quando lo si faceva. Nella categorizzazione di Kempson, gli epiloghi possibili sarebbero quattro:
  1. galleggiare, ossia restare comunque nella realtà e resistere, più o meno attivamente;
  2. lottare per tornare in superficie, ossia perdere qualcosa ma anche lottare per riconquistarlo;{p. 75}
  3. affondare, ossia perdere le speranze e sentirsi sovrastati dagli eventi, ma senza soccombere del tutto a essi, quindi mantenendo una residua speranza;
  4. annegare, ossia perdere ogni speranza e vedere compromessa o frammentata la propria identità.
Anche nelle narrazioni dei nostri studenti si rinvengono le stesse situazioni. I temi presentati permettono di identificare chi «annega», del tutto spiazzato dagli eventi e incapace di fronteggiarli, non disponendo di risorse individuali e familiari per ricomporre un orizzonte di senso nella propria biografia; il passato condiziona quanto verrà dopo, il futuro è cupo e senza prospettive. Chi «affonda» riesce a non perdere del tutto la speranza di riemergere, anche se la zavorra delle difficoltà e le incognite sono ancora prevalenti. Chi «lotta» per tornare in superficie attinge a un capitale speciale, che nutre la capacità di resistenza e resilienza, spesso con il supporto di famiglie allargate, composte di genitori, fratelli, sorelle e nonni. Infine, chi «galleggia» ammortizza meglio di tutti il colpo; non ha evitato del tutto la tempesta, ma riesce comunque a far prevalere le proprie capacità e non accetta di vedere stravolti i propri progetti e opportunità, contrastando in ogni modo gli effetti dell’evento imprevisto. Questa classificazione ha una duplice utilità: da un lato, consente di vedere se e come i soggetti indagati si distribuiscano in tali categorie, e in quale proporzione; dall’altro, permette poi di correlare tali esiti a vari fattori facilitanti od ostacolanti. Vedremo nel seguito del nostro percorso di analisi come ciò si applichi nel nostro studio. La tassonomia in questione si caratterizza, tuttavia, per descrivere una sorta di «scala», che va da un più a un meno nel senso della capacità di risposta a sfide impreviste. Ciò non è in sé un male, ma richiede anche interpretazioni qualitativamente più specifiche circa le modalità e forme della riflessione e dell’agire, al di là della valenza più o meno «resiliente».
Tentiamo di cogliere questa fenomenologia focalizzando l’attenzione su alcuni fattori strutturanti. Un elemento cruciale, prevedibilmente, emerso dalle narrazioni è il passare del tempo. Il tempo non è un fattore neutro nelle biografie individuali e nell’identificazione di ciò che sta a cuore. E {p. 76}questo accade sia quando ciò che sta a cuore riguarda la progettualità individuale e la dimensione pratica, sia quando si riferisce alle relazioni e al loro significato, sia infine quando si riferisce alla modulazione e rimodulazione del sé. Questo continuo ripensamento, una conversazione interiore che porta a riflettere su ciò che si è, ciò che si desidera, ciò che si fa, con chi, come e dove, si manifesta nei nostri giovani con segni opposti; oscilla tra l’ottimismo e il più cupo realismo; spazia dalla capacità di adattamento e dalla scoperta, o meglio dalla costruzione graduale di un modus vivendi, alla nostalgia di ciò che c’era e ciò che si era.
Eppure ora, a poca distanza dalla fine di un altro anno scolastico trascorso, per la quasi totalità della sua durata, seduto ad una scrivania o ad un tavolo qualsiasi della casa, il pensiero stesso del futuro risulta essere, ai miei occhi, più grigio e spento rispetto quanto mi sarei aspettato in passato. La speranza di realizzare molte delle prospettive future è surclassata dall’incertezza che affligge persistentemente ognuno di noi. Tutti gli obiettivi che apparivano a portata di mano adesso sembrano – e sono effettivamente – più lontani. Per citare uno dei nostri più importanti pensatori e filosofi del secolo scorso, Antonio Gramsci, sembrano scontrarsi fra loro pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà: il desiderio di realizzare ciò che speriamo ci rende ottimisti, mentre lo strato della nostra mente proiettato sulla realtà (anch’essa, in fondo, pura illusione, in quanto le viene dato un significato in base alla sua interpretazione da parte di ciascun individuo) ci suggerisce di diffidare del futuro (scuola Blu, numero di registro 1, maschio).
Durante quei mesi la maggior parte delle notti e delle giornate mi ero sentita male, pochissimi erano i giorni durante i quali riuscivo a non piangere, disperarmi e star male. Mi sono dovuta impegnare tantissimo ad accettarmi, a capire chi fossi e cosa volessi veramente. Ho pianto e lavorato duramente per arrivare a distanza di un anno accettandomi ed essere cosciente di quelle doti che realmente ho sempre avuto ma, non riuscivo a vederle (scuola Azzurra, numero di registro 5, femmina).
In futuro vorrei essere felice. Come sono adesso in realtà. Adesso sono in una fase positiva e costruttiva, nel senso letterale della parola: ho quasi finito di porre le basi per vivere la mia vita felice e poter erigere palazzi alti e solidi sopra. Dopo aver smes{p. 77}so canottaggio ho cominciato vari corsi. Adesso sento di essere entrata e di aver capito l’impegno e la presenza che devo avere in ognuno di essi. Oltre alle attività, c’è la scuola; anche quella l’ho capita, anche se appena ti vedono stabile ti fanno cambiare: da biennio a triennio, da grammatica latina a letteratura latina, da prof. tizio a prof. tizia, filosofia, fisica… In tutti i casi sono molto più serena e rallegrata dalla scuola, se non m’interessa un argomento studio lo stretto necessario; se lo voglio approfondire, studio solo l’approfondimento e se mi piace studio tutto. In generale sono migliorata e seguo tutte le lezioni con leggerezza che però non è superficialità (scuola Blu, numero di registro 9, femmina).
C’è quindi nelle narrazioni e nelle riflessioni degli adolescenti un livello descrittivo, che si sofferma sulle routine, sulle abitudini, sulle pratiche quotidiane: è la dimensione del «che cosa», legata all’oggettivazione di ciò che sta fuori di sé. Da questo punto di vista, molte narrazioni si soffermano poco sul passato e portano direttamente sull’attualità, come se la forza travolgente della novità imprevista e indesiderata s’imponesse all’attenzione e lasciasse ancora poco spazio a un ricordo dai contorni più precisi.
Ma c’è anche un livello introspettivo, con cui ci si addentra nel proprio Io e si mette in atto una revisione dei valori, delle priorità, dei pensieri. È questa la dimensione del «chi», orientata a chi si vuole essere, a chi si pensa di essere diventati, rispetto a chi si era prima.
Sinceramente quando penso al futuro ho molto meno entusiasmo del prepandemia. Il mio indice di felicità devo dire che si è abbassato notevolmente: mi serve molto meno per essere felice. Questa è forse la cosa positiva della pandemia per noi ragazzi. Siamo passati da essere tristissimi magari quando i nostri genitori ci negavano una serata in discoteca, ad essere felici di poter uscire e vedere qualche amico. Questo pensiero l’ho maturato negli ultimi giorni, perché stando di più a casa ovviamente penso di più. Siamo forse tutti un po’ meno viziati rispetto a prima, perché appunto ci basta meno per essere felici (scuola Blu, numero di registro 11, maschio).
Mi trovo bene, molto bene, la mia stanza non è la mia cella, ma è un luogo nel quale mi rifugio per ascoltare nuova musica,
{p. 78}leggere e passare il tempo che se no avrei perso nelle strade della città. Ritrovo com’era stare da sola, faccio poche videochiamate e, a differenza di altri, sono felice. Sto rispondendo a parecchie domande che mi ritrovo in testa da mesi. In quasi quattro settimane riesco a leggere tre libri, per il mio piacere personale, non per la scuola, e questo mi fa rivivere (scuola Blu, numero di registro 9, femmina).
Note