Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c8
VIII
I diritti e le funzioni dei sindacati e dei rappresentanti sindacali nell’impresa
Relazione generale sul primo tema dell’VIII Congresso internazionale di diritto del lavoro e della sicurezza sociale, tenuto a Selva di Fasano (Brindisi) nei giorni 17-19 settembre 1974 (pubblicata in «Jus», 1974, pp. 381-410)
1. La posizione del sindacato nei sistemi di relazioni industriali dei paesi europei anteriormente al 1968. Il principio della neutralizzazione sindacale dell’impresa nei paesi della Comunità economica europea.
Fino alla vigilia degli anni Settanta, i sistemi di relazioni industriali nei paesi ad economia di mercato dell’Europa continentale (esclusa la Scandinavia) sono fondati su un comune principio negativo, che esclude il sindacato, come tale, dalle imprese. Non solo non sono riconosciute forme di articolazione dell’organizzazione sindacale al livello delle singole imprese, ma nemmeno è ammessa a questo livello un’articolazione della contrattazione collettiva con le associazioni sindacali esterne. La funzione del sindacato si esaurisce nella contrattazione ai livelli superiori delle categorie professionali o dell’intero settore produttivo, normalmente accentrata sul piano nazionale, talvolta integrata o adattata alle varie situazioni locali mediante contratti regionali o provinciali. Nelle unità produttive il controllo sull’applicazione dei contratti collettivi e l’amministrazione delle relative controversie sono istituzionalmente affidati a organismi di rappresentanza del personale distinti dalle strutture sindacali ed eletti da tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro affiliazione sindacale. Il principio della neutralizzazione sindacale dell’impresa comporta una divisione di competenze tra il sindacato, fuori dall’impresa, e la rappresentanza del personale, dentro l’impresa.¶{p. 210}
Certo in tutti i sistemi operano criteri di coordinamento fra le due strutture, destinati a preservare l’azione degli organismi di fabbrica dalla degenerazione in un chiuso corporativismo aziendale e quindi in un fattore di rottura dell’unità dei lavoratori, che è la suprema preoccupazione del sindacato. In Germania e Austria, dove vige praticamente una situazione di unità sindacale sostenuta da un alto grado di adesione formale dei lavoratori, la cooperazione dei consigli aziendali col sindacato esterno è garantita di fatto dall’affiliazione sindacale della grande maggioranza dei membri e dei presidenti dei consigli, ed è ulteriormente favorita dalla legge tedesca con l’ammissione, a certe condizioni, di delegati sindacali (con voto consultivo) alle riunioni del consiglio, e ancora più incisivamente dalla legge austriaca con la possibilità di elezione a membri del consiglio di funzionari sindacali (salva la riserva di tre quarti dei posti ai candidati che siano lavoratori occupati nell’impresa). In Francia e Italia, dove la «patria irredenta» dei lavoratori non iscritti al sindacato è molto più estesa, questa forma di unione personale è assicurata dal riconoscimento ai sindacati del diritto (in Francia esclusivo) di presentare liste di candidati alle elezioni dei delegati del personale e dei comitati di impresa o, rispettivamente, delle commissioni interne. Tuttavia, sia la finalizzazione alla tutela di un interesse collettivo identificato in funzione del vincolo di dipendenza contrattuale dei rappresentati da un medesimo datore di lavoro, e non in funzione di solidarietà più ampie di categoria professionale o di classe sociale, sia la natura profondamente diversa della loro fonte di legittimazione rendono le rappresentanze interne del personale inidonee a una piena integrazione funzionale nell’azione sindacale.
Generalmente istituite e disciplinate da leggi dello Stato, con l’eccezione delle commissioni interne italiane, di origine convenzionale, queste rappresentanze rivelano, nella comparazione dei sistemi, notevoli divergenze di struttura e di funzioni. In Germania, Austria e Italia sono formate soltanto da membri eletti dai lavoratori, mentre nei consigli d’impresa belgi e olandesi è rappre¶{p. 211}sentato anche il datore e in Francia la funzione di rappresentanza dei lavoratori è ripartita in due strutture, una di formazione unilaterale (delegati del personale), l’altra a composizione mista (comitati d’impresa). Dal punto di vista funzionale, le commissioni interne italiane aggiungono alla competenza originaria di organi di controllo dell’applicazione delle condizioni di lavoro e di conciliazione delle relative controversie (che fondamentalmente le qualifica come istituzione corrispondente ai delegati del personale francesi) alcune funzioni di collaborazione proprie dei consigli di gestione (previsti dall’art. 46 Cost., ma non attuati), limitatamente all’organizzazione del lavoro e alla gestione dei servizi sociali dell’impresa, con esclusione, a differenza dei consigli di impresa francesi, belgi e olandesi, di ogni ingerenza nella politica generale dell’impresa. Ma da questo punto di vista soprattutto notevole è il più ampio e penetrante assetto di competenze che, in confronto alle corrispondenti istituzioni degli altri paesi, caratterizza le rappresentanze del personale nei paesi di cultura germanica. Sul piano della gestione del personale i Betriebsräte sono investiti non solo di funzioni di controllo dell’applicazione delle condizioni di lavoro e di funzioni consultive e di proposta in ordine all’organizzazione del lavoro, ma anche di poteri di codecisione, i quali (diversamente dalla Mitbestimmung sul piano della gestione tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dell’impresa, attribuita ai lavoratori nelle imprese costituite in forma di società di capitale) si risolvono sostanzialmente in una attività di negoziazione con l’imprenditore
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. Non si tratta di una negoziazione omogenea e parallela alla contrattazione collettiva ai livelli superiori, sia perché non può investire materie proprie di questa, essendo limitata alle c.d. condizioni formali di lavoro, sia perché, in caso di disaccordo, non è assistita dalla possibilità di ricorso a mezzi di lotta sindacale, ¶{p. 212}bensì da un’istanza superiore di conciliazione obbligatoria, la cui decisione sostituisce l’accordo tra il datore di lavoro e il consiglio aziendale. Ma la diversa impostazione ideologica (collaborazione, piuttosto che confronto tra due poteri contrattuali antagonistici) non toglie che l’attività negoziale dei Betriebsräte riesca in definitiva a temperare la rigidità del sistema centralizzato della contrattazione collettiva di mercato, avvicinandolo in qualche misura al modello dinamico del diritto inglese. Data l’influenza del sindacato sui consigli, i poteri di cogestione istituiti al livello delle singole aziende operano in pratica, sotto certi aspetti, come una forma di amministrazione sindacale indiretta del contratto collettivo. In pari tempo essi sviluppano una capacità di limitazione del potere direttivo del datore di lavoro, e quindi di modificazione della struttura autoritaria dell’impresa, molto più incisiva di quella espressa per es. dalle commissioni interne italiane. Qui sta probabilmente una delle ragioni che spiegano la «tenuta» del sistema germanico di relazioni industriali, il quale potrà anche apparire «anacronistico» (secondo il giudizio della relazione austriaca) e forse denuncia un eccesso di istituzionalizzazione dell’impresa, ma finora si è dimostrato in grado di cimentarsi, senza troppe scosse, con la sfida del progresso tecnologico.
Negli altri paesi la neutralizzazione sindacale dell’impresa è attuata secondo la concezione più rigorosa, che rifiuta qualsiasi forma di negoziazione collettiva all’interno delle unità produttive. Alle rappresentanze del personale sono attribuite soltanto funzioni consultive, mai vincolanti per l’imprenditore, anche se l’obbligatorietà della richiesta di parere preventivo per certe decisioni può esercitare sul datore di lavoro una pressione psicologica a cercare un accordo con i rappresentanti dei lavoratori.
In Italia l’accordo interconfederale istitutivo delle commissioni interne nell’industria esclude testualmente la loro competenza a trattare con la direzione dell’impresa questioni concernenti l’introduzione di nuove condizioni di lavoro. Tuttavia, negli anni successivi al 1953 il rapido ¶{p. 213}processo di industrializzazione del paese determinò l’interesse delle imprese tecnologicamente più avanzate ad attribuire alla clausola un significato diverso dall’intenzione della controparte
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. Dal punto di vista delle centrali sindacali essa aveva il valore di un divieto sancito a garanzia del monopolio sindacale della contrattazione collettiva a qualsiasi livello; i datori di lavoro la interpretarono, invece, semplicemente come una clausola che escludeva per essi l’obbligo di trattare con le commissioni interne. Questa interpretazione, per la verità discutibile, prevalse nella prassi. Nella misura in cui ritennero opportuno concedere ai lavoratori una partecipazione ai benefici del progresso tecnologico, i datori di lavoro stipularono numerosi accordi aziendali con le commissioni interne, spesso «informali», talvolta, soprattutto dopo il 1958, anche «formali». Ma, non appena le nuove condizioni del mercato del lavoro e il mutato clima politico modificarono la bilancia del potere, i sindacati pretesero di sostituirsi alle commissioni interne nella contrattazione aziendale. Questa tendenza, favorita anche dall’inserimento nei nuovi contratti collettivi nazionali di clausole obbligatorie che riconoscevano ai sindacati stipulanti funzioni di istanza di secondo grado per le controversie circa l’interpretazione e l’applicazione del contratto non risolte in primo grado dalle commissioni interne, fu all’origine di un nuovo corso delle relazioni industriali, che si stabilì in Italia a partire dal 1962. Fu introdotta, prima nel settore dell’industria metallurgica, poi anche in altri settori, la cosiddetta contrattazione articolata, cioè un sistema di decentramento della contrattazione collettiva regolato dal contratto nazionale mediante clausole di rinvio, per certi argomenti, a una contrattazione ulteriore a livelli inferiori, e in particolare al livello delle singole aziende. Il nuovo modello non modifica l’assetto istituzionale delle imprese, dal quale il sindacato rimane escluso, ma
¶{p. 214}riconosce alle associazioni territoriali la qualità esclusiva di agente contrattuale anche al livello aziendale. La contrattazione collettiva a questo livello non è ancora l’espressione dinamico-operativa di una nuova organizzazione sindacale, fondata su strutture di base interne alle unità produttive, ma è soltanto un’articolazione del potere contrattuale delle centrali sindacali, destinata a promuovere una crescita dei salari proporzionale agli incrementi di redditività delle singole aziende e non più frenata dai condizionamenti delle imprese marginali. La contropartita per gli imprenditori fu un impegno di tregua sindacale per tutte le questioni escluse dal rinvio ai livelli contrattuali inferiori.