Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c7
Infine, condizione fondamentale per un corretto funzionamento della partecipazione è la programmazione economica, che deve costituire il quadro di riferimento e il parametro di controllo del confronto degli interessi organizzati tra di loro e col pubblico potere. Solo la programmazione, intesa come coordinamento dei centri autonomi di decisione in cui si articola la democrazia pluralistica [63]
, può rafforzare il confine, altrimenti fragile, che separa il pluralismo dall’anarchia. La «funzione di aggregazione della domanda di provvedimenti al sistema politico istituzionale» assunta dal sindacato [64]
, ove non fosse regolata da scelte prioritarie e da una corrispondente gerarchia di obiettivi, si tradurrebbe in una pressione disordinata sulla spesa pubblica e in conseguenti spinte a processi di inflazione. E l’inflazione rappresenta un limite, da tempo riconosciuto, alla possibilità di funzionamento del pluralismo democratico. Quando c’è inflazione, il contropotere del sindacato cessa di essere un fattore di equilibrio e di stabilizzazione, e «assume, invece, una forma maligna, che diventa parte della dinamica stessa dell’inflazione» [65]
.
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La necessità di promuovere questa condizione non era sufficientemente apprezzata nel disegno di legge sulle procedure di attuazione della programmazione, presentato dal governo al senato il 13 settembre 1968, che escludeva la partecipazione del sindacato alla formulazione degli obiettivi generali del programma, cioè alla predeterminazione delle grandi scelte politiche. L’obbligo di consultazione del sindacato era limitato alla fase successiva di elaborazione del programma, nell’ambito della quale non dovrebbe più essere possibile alcuna discussione politica, trattandosi di determinare le scelte strumentali che logicamente derivano dagli obiettivi prefissati. Una impostazione del genere, formalmente giustificata da preoccupazioni di ordine costituzionale, ma in realtà ispirata da una concezione prevalentemente tecnocratica della programmazione, non può ottenere il consenso del sindacato, che in essa vede disconosciuta la sua funzione politica [66]
. Opportunamente la Va Commissione del Senato ha modificato il progetto [67]
introducendo già nella fase di predisposizione del documento programmatico (c.d. documento sulle opzioni) la consultazione obbligatoria delle organizzazioni sindacali più rappresentative (e delle Regioni), che poi verranno ancora consultate nella fase di elaborazione del programma (artt. 3 e 5). In tal modo, fermo il principio che le sintesi politiche finali, tradotte nel documento operativo delle scelte di priorità, non possono emanare se non dall’organizzazione statale, e precisamente dal massimo organo di rappresentanza democratica (al quale il documento deve essere sottoposto per l’approvazione), viene garantita l’inclusione in quelle sintesi finali anche delle sintesi politiche di primo grado elaborate dal sindacato, e quindi anche delle esigenze so{p. 208}ciali che i partiti, senza il tramite del sindacato, non sono in grado di recepire.
La formula della «supplenza sindacale» nel vuoto aperto dalla crisi dei partiti può avere un valore di critica, non un valore costruttivo, perché la democrazia collettiva può completare la democrazia politica e renderla più efficiente, non sostituirla [68]
. In questo senso la partecipazione è strumento di integrazione del pluralismo sociale nell’unità politica nazionale.
Note
[63] Momigliano, op. cit., p. 147.
[64] Romagnoli, Appunti in tema di società operaie, sindacati e partiti, in Studi in memoria di A. Gualandi, Urbino, 1969, p. 221.
[65] Galbraith, Il capitalismo americano, Milano, 1955, p. 221.
[66] Cfr. Speroni, I sindacati di fronte alla programmazione economica, in «Il Politico», 1969, pp. 346 s.
[67] Il disegno di legge «norme sulla programmazione economica», nel testo proposto dalla Va Commissione (finanze e tesoro) del Senato, è stato comunicato alla presidenza, con la relazione dei senatori Banfi e Cuzari, il 27 giugno 1969 (documento 180-A).
[68] Fraenkel, Kollektive Demokratie, p. 90.