Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/p2
In questa sede, però, non si esplorano né ascendenze né derivazioni del concetto analogico di «soggiorno obbligato», ma ci si pone sul piano delle somiglianze morfologiche a prescindere, dunque, da sussistenza e consistenza di possibili nessi storici, in applicazione del «metodo delle coordinate» proposto da D’Arcy Wentworth Thompson nel 1917 e che si sostanzia in un procedimento di «comparazione delle forme affini» che «porta al riconoscimento di una forma come dovuta alla variazione o deformazione di un’altra, indipendentemente dalla comprensibilità del “tipo fondamentale” [...]» [Thompson 1961, 271; trad. it. 2016, 293]. In pratica, inscritta una figura in un sistema di coordinate cartesiane, la deformazione del sistema di coordinate induce la conseguente alterazione della figura inscritta nel diagramma così deformato. Ne risulta un cartogramma delle figure sottoposte a torsioni, stiramenti, slittamenti o compressioni più o meno omogenei. Con una trasposizione dalle forme biologiche alle forme sociali, il soggiorno obbligato per le persone con disabilità appare in una di queste tavole di trasformazione – forse quella dalle proporzioni più alterate – se solo si protende l’orecchio all’ascolto
{p. 19}del «murmure insistant de la ressemblance», del «mormorio insistente della somiglianza» [Foucault 1966, 83; trad. it. 1994, 85].
Quanto alla terminologia prescelta, ci si è attestati, infine, sull’ultima flessione storica degli istituti di controllo della mobilità interna, un po’ per le medesime ragioni che hanno portato il lemma «soggiorno» a prevalere nel testo definitivo del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana elaborato dalla Commissione per la Costituzione [24]
(art. 10, comma 1, che sarebbe diventato poi il comma 1 dell’art. 16 nel testo definitivo), un po’ perché la sfera semantica di «soggiorno» la rende ancora, probabilmente, la meno arcigna delle formulazioni disponibili.
Sul piano categoriale, nel volume si assume programmaticamente una nozione processuale di «istituzionalizzazione», con una prospettiva temporale e un orizzonte fenomenico più estesi rispetto a quei segmenti cronologici che Goffman ci ha insegnato a definire come «fase predegente» (prepatient phase) e «fase degente» (impatient phase) [Goffman 1961, 131 ss., 146 ss.; trad. it. 2001, 157 ss., 172 ss.]. In questa chiave, il volume esplora le molteplici, articolate e interrelate dimensioni che incidono sui processi di istituzionalizzazione. L’interesse ricade, pertanto, su tutti quei fattori e quelle variabili che sono in grado di espandere o contrarre le «possibilità sociali» [Tarantino e Givigliano 2014; Tarantino e Pizzo 2015] dell’individuo di vivere nella comunità su base di uguaglianza con gli altri, secondo il dettame cardine della CRPD. Si tratta di uno studio longitudinale retrospettivo, nell’attesa che si rendano disponibili dati provenienti da studi longitudinali prospettici.
Quanto alla portata giuridica delle nozioni di «istituzionalizzazione» e «deistituzionalizzazione», alla luce dei princìpi e delle norme della CRPD, si dispone ora di una sorta di interpretazione autentica fornitane dall’United Nations Committee on the Rights of Persons with Disabilities [25]
– organismo di monitoraggio dell’attuazione della Convenzione da parte degli Stati parte – nelle Guidelines on Deinstitutionalization, Including in Emergencies, elaborate e rilasciate mentre questa ricerca era in svolgimento. Come scrive il Comitato, le linee guida «integrano il commento generale n. 5 del Comitato (2017) [26]
e le sue linee guida sul diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone con disabilità (art. 14) [27]
. Esse hanno lo scopo di guidare e sostenere gli Stati parte nei loro sforzi per realizzare il diritto delle persone con disabilità a vivere in modo indipendente e a essere incluse nella comunità, e di essere la base per pianificare i processi di {p. 20}deistituzionalizzazione e di prevenzione dell’istituzionalizzazione» [UN-CRPD 2022, punto 1]. Frutto di un processo partecipativo [punto 3], anche le linee guida, come chiarito al punto 2, sono riconnesse agli effetti del COVID-19, dato che «si basano sulle esperienze delle persone con disabilità prima e durante la pandemia di coronavirus (COVID-19), che ha portato alla luce una diffusa istituzionalizzazione, evidenziando l’impatto dannoso dell’istituzionalizzazione sui diritti e sulla vita delle persone con disabilità [...]» [punto 2]. Ai sensi delle linee guida, «l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità si riferisce a qualsiasi detenzione basata sulla sola disabilità o in combinazione con altri motivi come “assistenza” o “trattamento”», a prescindere dalla denominazione del luogo in cui si verifica [punto 15], mentre «la deistituzionalizzazione comprende processi interconnessi che dovrebbero concentrarsi sul ripristino dell’autonomia, della scelta e del controllo delle persone con disabilità su come, dove e con chi decidere di vivere» [punto 19].
Nella struttura dell’analisi e dell’argomentazione si è deciso di seguire la dinamica concreta del fenomeno così come si sviluppa nel quotidiano vissuto esperienziale del soggetto disabile.
In funzione di tale impostazione, lo studio si apre con una prima parte – «Geometrie esistenziali e crisi della presenza» – in cui si presentano alcune traiettorie esistenziali paradigmatiche, selezionate fra le molte narrazioni biografiche raccolte nel corso della ricerca, alcune delle quali troveranno spazio in una prossima raccolta tematica collettanea dal titolo provvisorio Le guerre d’indipendenza. Storie minuscole di disabilità ed emancipazione. Nel presente volume si riportano alcuni casi esemplari, proposti in ordine anagrafico, secondo un ordine crescente d’età. Sono storie assolutamente ordinarie, in nulla riconducibili all’euristica del «caso-limite». Da queste storie emergono i determinanti sociali maggiori dell’istituzionalizzazione, le loro correlazioni, le loro regolarità e le loro concomitanze; il peso specifico dei singoli determinanti dipende invece, chiaramente, dalle situazioni precipue in cui si inserisce ogni vicenda. Anche in questo caso, lo spettro temporale di riferimento risulta più ampio rispetto a quello relativo alle «contingenze di carriera» (career contingencies) impiegate da Goffman [1961, 134 ss.; trad. it. 2001, 160 ss.]. Ogni storia mette in evidenza il progressivo, più o meno lento, sommarsi di segmenti di «désaffiliation» [Castel 1990; 1991] – che può condurre all’istituzionalizzazione – e, correlativamente, il tempo sempre disponibile per intervenire ed evitare fenomeni di «déracinement» (sradicamento), riprendendo il lessico impiegato da Pierre Bourdieu e Abdelmalek Sayad a proposito dei dislocamenti e rialloggiamenti forzati operati dalla logica coloniale in Algeria [1964] [28]
. {p. 21}Come anticipato, infatti, l’istituzionalizzazione non è solo l’esito di un processo, ma il processo stesso, processo di cui fanno parte sia le condizioni di possibilità dell’istituzionalizzazione in senso stretto che le dinamiche di proto-istituzionalizzazione e, persino, la semplice disponibilità del ricorso all’istituzionalizzazione quale prospettazione di sfondo o extrema ratio. In sintesi, tutte le storie mettono in luce come le vite delle persone con disabilità siano segnate da una serie di «crisi della presenza» nel domicilio abituale e come, proprio in quei momenti, assuma consistenza il rischio di una «dislocazione involontaria» [29]
. Chiaramente, la nozione di «crisi della presenza» non è altro che una materializzazione radicale della categoria di cui siamo debitori a Ernesto De Martino [2021; 2022].
Le crisi della presenza possono risolversi, di volta in volta, in diverso modo. Rispetto all’oggetto di indagine rileva, ovviamente, quella particolare risoluzione della crisi che porta a esiti dissonanti rispetto alla previsione dell’articolo 19 CRPD, ossia al diritto che le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione. Per questo, la seconda parte del volume – «Cartometrie e cartografie della residenzialità in Italia» – è dedicata alla mappatura del fenomeno della residenzialità in Italia sia sul piano sincronico che su quello diacronico, tramite la proposizione di alcune serie storiche. Per inciso, nessuna equazione viene posta fra residenzialità e istituzionalizzazione; le forme dell’abitare sono assai diverse e solo alcuni modi qualificati dell’abitare sono istituzionalizzanti alla luce dei diritti sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione. Nell’impianto della ricerca è assiomatico che l’istituzionalizzazione attenga al dispiegarsi di una logica e non all’ontologia di un luogo. Ciò non toglie che si diano luoghi improntati, disponibili o acquiescenti a una logica istituzionalizzante; luoghi che, ribaltando sul piano della topologia delle istituzioni il suffisso di similarità attenuata che Cesare Lombroso riservava alle tipologie dell’umano – mattoidi, epilettoidi, criminaloidi... – sono stati qualificati di recente come «istituzioni totaloidi» [Tarantino 2022; 2023a].
Specifico focus viene dedicato in questa sezione alla caratterizzazione del fenomeno poco esplorato e altamente complesso dell’istituzionalizzazione impropria delle persone con demenza, parte della più ampia area di indistinzione che si produce fra anzianità e disabilità.
La terza parte del volume si concentra sui «codici culturali e i quadri normativi» che regolano il fenomeno. Viene qui sviluppata l’analisi portante dello statuto costituzionale e convenzionale della libertà, sia in relazione al principio personalista che rispetto al principio di pari dignità, come {p. 22}pure viene affrontato il tema delle condizioni della libertà per una libera scelta, prima fra tutte, la disponibilità di alternative concrete. La sezione si chiude con uno studio sulla posizione della CRPD nel sistema delle fonti dell’ordinamento italiano, dato lo statuto approssimativo e incerto spesso associato alla CRPD.
La quarta parte affronta i principali «dispositivi di incapacitazione» che incidono sui fenomeni di istituzionalizzazione de jure e de facto delle persone con disabilità. La tematica viene affrontata anche in chiave comparatistica tramite l’esperienza internazionale in materia di involuntary placement sviluppata dall’European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment del Consiglio d’Europa [30]
. Trovano trattazione in questa sezione i temi della capacità legale universale, le tensioni e le critiche che investono da tempo – in Italia e su scala internazionale – i poteri sostitutivi della volontà della persona, la disponibilità di strumenti di supporto alla decisione, le garanzie dell’autodeterminazione, nonché la questione delle inflessioni del paternalismo giuridico e delle competenze e dei limiti che perimetrano – o che dovrebbero perimetrare – l’operare delle figure di sostegno e del giudice tutelare. Una specifica attenzione viene posta su quelle tipologie di regolamentazioni, procedure e prassi organizzative di cui si sottovaluta con persistenza il potenziale di limitazione, concreto e quotidiano, al libero dispiegarsi della persona in alcuni contesti residenziali, e il cui tasso di meticolosità spesso è pari solo al grado di ridicolo che le avvolge. In chiusura si affronta la questione del riconoscimento dei cosiddetti «maltrattamenti invisibili», con particolare attenzione ai luoghi di concentrazione della popolazione anziana.
La quinta e ultima parte del volume è dedicata alle «strategie di emancipazione» e, dunque, alle misure di prevenzione e contrasto dell’istituzionalizzazione, nonché a quelle che possono qualificarsi come «misure alternative». Viene proposto uno strumentario immediatamente operativo che ricomprende un ventaglio di azioni che, anche nelle componenti che possono apparire più minute – come il punto unico di accesso alle informazioni –, sono tutte in grado di introdurre modifiche sostanziali nel vissuto quotidiano delle persone con disabilità e delle loro reti di relazione. Quanto ai principali strumenti volti a un vivere indipendentemente dalla disabilità e a un abitare inclusivo – progettazione personalizzata, budget di progetto, azioni di contesto... – questi sono da tempo disponibili a livello internazionale e spesso da molti anni sperimentati, per quanto in modo disomogeneo e a singulti, in diverse aree del territorio nazionale. Eppure, per quanto ormai presenza pressoché costante nelle fonti normative e nelle documentazioni amministrative, rappresentano spesso mere petizioni di principio, declina{p. 23}bili in maniera alquanto elastica e, in molti casi, persino contraddittoria e paradossale [Tarantino 2021]. Per questa ragione, il volume li tratta – in prospettiva evolutiva – esclusivamente in un’ottica costituzionalmente orientata e nei loro impieghi pienamente conformi alle prescrizioni della CRPD.
Molti di questi istituti elaborati dalla pratica sono oggi princìpi e criteri direttivi della delega in materia di disabilità conferita al Governo dalla legge 27 dicembre 2021, n. 227. Ai decreti legislativi attuativi della legge di delegazione è rimesso l’insidioso compito di non creare uno iato fra le norme costituzionali, le disposizioni convenzionali e i provvedimenti applicativi.
Dato che questo testo è stato redatto mentre l’iter legislativo era ancora in corso, e alcuni degli estensori hanno fatto parte degli organismi istituzionali incaricati della stesura degli schemi di decretazione, in questo volume, come pure nel Rapporto che ne è la matrice, si è ritenuto opportuno non allegare proposte di testi normativi sulle materie trattate. All’esito del processo legislativo si potranno, poi, valutare le distanze e le prossimità fra gli studi raccolti in questo volume e le soluzioni normative che saranno adottate dal legislatore, come pure le nuove problematizzazioni che necessariamente ne seguiranno e le pieghe che dovrà assumere il prossimo lavoro critico.
Certo è che, a meno che il futuro non ci riservi un rigurgito della logica segregazionista – tentazione sempre disponibile –, il problema a venire non potrà che essere quello del «come vivere insieme», a cui Roland Barthes ha consacrato il suo primo corso al Collège de France tra il gennaio e il maggio 1977. Nella lezione inaugurale aveva detto, a titolo programmatico, che all’origine di un insegnamento «bisogna accettare di porre sempre un fantasma [...]» [Barthes 1978, 43], grumo di desiderio confuso e persistente che affiora, a volte, nel cristallo di una parola: «idiorritmìa» è allora il suo fantasma. E forse le note di quel corso dedicate alle forme monastiche di idiorritmìa contengono già lo spunto di una soluzione che, oggi come allora, risiede nella capacità di concepire agglomerati idiorritmici, comunità in cui ognuno conserva indisturbato il proprio ritmo.
Barthes condensa la questione in un’immagine. «Dalla mia finestra (1o dicembre 1976) – appunta –, vedo una madre che tiene il figlio per mano e spinge il passeggino vuoto davanti a sé. Lei procede imperturbabilmente col proprio passo, mentre il bambino viene tirato, strattonato, costretto a correre per tutto il tempo [...]. Lei va al suo ritmo, senza sapere che il ritmo del bambino è un altro. Eppure, è sua madre! → Il potere – la sottigliezza del potere – passa per la disritmia, l’eteroritmia» [Barthes 2002, 40].
Forse è tempo che il suo fantasma sia anche il nostro.
Ciro Tarantino
Reali case de’ matti di Aversa, febbraio 2024.
{p. 24}
Note
[24] Presentato alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947.
[25] Sul modus operandi del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, cfr. Della Fina [2023].
[26] UN-CRPD [2017].
[27] UN-CRPD [2015].
[28] Un uso di poco antecedente della categoria, in relazione all’emigrazione in America, si trova in Handlin [1951].
[29] La nozione, in questo contesto, è solo parzialmente coincidente con l’uso che ne fa Papadopoulos [2021].
[30] Per un’analisi in chiave comparatistica della social care detention in era post-carcerale, a partire dalla situazione di Inghilterra e Galles, cfr. Series [2022].