Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
A tale riflessione sul rapporto fra azione contrattuale in fabbrica e sua strumentazione organizzativa si avvicina, nel medesimo periodo, un ripensamento critico sulla stessa {p. 90}concezione del sindacato e della sua presenza in fabbrica, che arricchisce le conclusioni avanzate di significati più radicalmente innovatori rispetto alle proposte organizzative fino allora seguite dalla CISL. Si avverte che la prospettiva rigorosamente interna al sindacato e l’interpretazione tendenzialmente separatista del momento associativo tipiche di queste ultime, unite al carattere spesso solo negativo della critica rivolta alle commissioni interne, hanno di fatto portato a una «situazione di stallo» nella elaborazione di efficaci politiche organizzative sindacali in azienda. Mentre l’opposizione alle CI ha continuato a rivelarsi poco efficace e scarsamente compresa dalla generalità dei lavoratori, la sezione sindacale si è valorizzata tutt’al più nei rapporti interni all’associazione e con la sua burocrazia, rimanendo un «gruppo clandestino» pressoché sconosciuto ai non iscritti e sovente alla stessa maggioranza dei soci [119]
. Di qui la proposta, che recepisce gli aspetti più dinamici delle tesi della CGIL in materia, di avviare una effettiva apertura della sezione aziendale e delle sue attività nei riguardi sia delle altre organizzazioni sindacali sia di tutti i lavoratori [120]
. L’esperienza di azioni sindacali unitarie in azienda, sempre più solidamente collaudate specie con la FIOM, ha fatto cadere del resto molte delle originarie riserve nei confronti di una simile collaborazione intersindacale, in alcuni casi realizzandone, come vedremo, già un superamento di fatto. Per le medesime ragioni anche il confronto delle strutture sindacali con i lavoratori non
{p. 91}iscritti va dimostrandosi nella prassi delle lotte aziendali sempre più fecondo e meno esposto a sviluppi settoriali o sindacalmente agnostici.
In un simile contesto si sottolinea ormai chiaramente come il significato della sezione sindacale quale fattore di democrazia interna al sindacato non sia separabile dalla sua possibilità di «provocare partecipazione e capacità autonome di governo tra i lavoratori» [121]
. E l’attribuzione di poteri contrattuali autonomi all’istituto diventa appunto lo strumento necessario per rendere concreta la sua azione di stimolo e di guida a una effettiva partecipazione operaia alle decisioni sindacali. Significative di questa più ampia concezione della presenza sindacale in azienda sono anche le opinioni espresse sull’annoso problema dei rapporti fra sezione aziendale e commissione interna. Pur continuando a riaffermare, secondo le tesi consuete, la opportunità di superare tale duplicità di istituti, si rileva come il perseguimento di un simile obiettivo a breve scadenza sia irrealistico e al limite pericoloso, in quanto possa tradursi in un indebolimento delle posizioni di potere già acquisite dai lavoratori sui luoghi di lavoro, anche tramite la CI. Quanto alla possibilità di ridimensionare le competenze di questo istituto entro ambiti più confacenti alla sua finalità originaria, essa si ritiene realizzabile più che con un atteggiamento difensivo e polemico nei suoi riguardi, attraverso una positiva azione sindacale improntata ai caratteri — sopra accennati — di stretta unitarietà e di collaborazione fra i sindacati, diretta a stimolare la più vasta partecipazione della generalità dei lavoratori, così da far venir meno i presupposti di vuoto sindacale su cui la presente situazione si è consolidata. Lo stesso obiettivo ultimo di un superamento della divisione fra rappresentanza dei lavoratori (CI) e rappresentanza dei sindacalizzati (SAS) appare possibile solo attraverso una simile azione e nella prospettiva di una sempre più completa coincidenza fra lavoratori e sindacalizzati [122]
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Per concludere questa parte dell’indagine va infine rilevato come a tale evoluzione delle tesi sindacali della FIM in materia non sia estraneo il più generale rinnovamento strutturale e politico avviatosi all’interno dell’organizzazione fin dall’inizio degli anni ’60 e progressivamente definitosi nella seconda metà del decennio. Tale rinnovamento si caratterizza anzitutto per una eccezionale espansione organizzativa, particolarmente accentuata questa volta proprio nelle più avanzate provincie industriali del nord, e per un parallelo radicale ricambio, oltre che dei massimi dirigenti, dell’apparato di quadri intermedi dell’organizzazione [123]
. Se si considera che tale fenomeno coincide con l’entrata nel mercato del lavoro, e soprattutto nelle grandi fabbriche del nord, di una nuova generazione di forze lavorative, è facile intuire il radicale mutamento e ringiovanimento che ciò ha comportato all’interno della federazione: un mutamento di entità difficilmente paragonabile a quello di altri sindacati industriali, in primis della stessa FIOM. A ciò si aggiunga che, secondo un’ipotesi da molti avanzata, la crescita organizzativa della FIM avrebbe beneficiato in modo particolare di un tipo di manodopera nuovo non solo per età, ma perché caratterizzato da connotati professionali diversi da quelli fino allora consolidati nell’industria manifatturiera e tradizionalmente prevalenti nel sindacalismo italiano (in special modo «operai “non professionali” dell’industria della produzione di massa», tecnici e impiegati) [124]
. In ogni caso, è sicuro che a questi {p. 93}strati della classe operaia la FIM e i suoi dirigenti dedicano, nel periodo in esame, un’attenzione crescente, rendendosi interpreti delle loro esigenze peculiari e anzi trovando in ciò un terreno di utile distinzione e di competitività con le politiche della FIOM, la cui egemonia in tale area è «ostacolata o almeno rallentata proprio dalla sua forza e dalla sua tradizione» [125]
. Questi fattori di novità nella base organizzativa della FIM e la sua parallela vocazione ad esprimere nuovi strati di manodopera sindacalizzati contribuiscono palesemente a conferire alla politica elaborata dal sindacato un accentuato dinamismo culturale, la capacità di staccarsi con relativa disinvoltura da schemi precostituiti e una sensibilità particolare a cogliere alcuni motivi innovatori di diverso tipo allora emergenti dall’ambiente giovanile-studentesco e più in genere dalla società civile italiana ed europea.
Basti ricordare, limitando il cenno ai motivi qui più direttamente rilevanti, i temi della partecipazione e della democrazia diretta a tutti i livelli, con la conseguente critica delle forme tradizionali di espressione del consenso politico a cominciare dai partiti politici; il rilancio di motivi egualitari e di solidarietà di classe, intesa nel suo senso più ampio fino ad estendersi oltre i confini usuali del mondo» operaio; la rinnovata sensibilità per la dimensione politica: sa dei fenomeni sociali e insieme l’attenzione a calarla nella concretezza dell’esperienza, cogliendo i nessi fra le lotte nella fabbrica e agli altri livelli della società. Sono tutti {p. 94}temi che si pongono subito al centro del dibattito interno all’organizzazione, fra i suoi quadri e la parte più vivace della sua base. E le loro implicazioni sono colte con particolare immediatezza proprio nei confronti dell’organizzazione sindacale di fabbrica, ove il loro significato è più evidente e si congiunge in modo efficace con le prime dirette esperienze di lotta unitaria, indicando nei fatti la necessità di una reimpostazione delle strutture sindacali in termini più radicalmente democratici e classisti. Ma, avviato un simile processo e diventato di lì a poco sempre più avvertibile all’attenzione generale, non si sarebbe tardato a cogliere la capacità di questi eventi di mettere in discussione più a fondo l’intera concezione e il ruolo del sindacato dall’azienda alla società.
Note
[119] Per questi giudizi vedi già Antoniazzi, Evoluzione delle strutture sindacali d’azienda, cit., p. 18.
[120] Cfr., ad esempio, Manghi, La democrazia è nella natura del sindacato, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 5, p. 34 e Ramella, Il futuro è soprattutto aziendale, ibidem, n. 3-4, p. 65, entrambi sottolineando come la presenza in azienda di sezioni dotate di poteri contrattuali autonomi debba rendere possibile al sindacato un confronto con tutti i lavoratori attraverso il nuovo strumento dell’assemblea, «a cui il sindacato si rivolge non per comunicare direttive, ma per mettere in discussione idee e consigli» (Ramella, op. cit., p. 65); nonché, più tardi, la mozione finale al congresso nazionale FIM del 1969, parte I, (pp. 8 sg.). Per. generali accenni critici sul significato del fondamento associativo del sindacato e sulla necessità di superarne una interpretazione chiusa vedi Cella, Manghi, Per una nuova formazione sindacale, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 6, pp. 59 sgg.
[121] Così Manghi, La democrazia è nella natura del sindacato, cit., 386.
[122] Una organica enunciazione di queste tesi, destinate ad essere ulteriormente sviluppate nelle più recenti prese di posizione della FIM (vedi n. 1 del cap. III e in fine) si trova, ad esempio, in Antoniazzi, Evoluzione delle strutture sindacali d’azienda, cit., pp. 19 e 41.
[123] Tale espansione si traduce in un aumento degli iscritti da circa 84.000 del 1959 a 170.479 nel 1968 e 208.184 nel 1969; di contro all’aumento della FIOM da 185.183 a 271.408 e 327.020 (vedi la ricerca citata della Beccalli, Scioperi e organizzazione sindacale, Milano, 1950-1970). In certe zone industriali del nord come, ad esempio, a Milano e a Torino gli iscritti si triplicano dal 1959 al ’68, e a Treviso arrivano addirittura a decuplicarsi (vedi ulteriori dati nella II parte). Il ricambio dei quadri di fabbrica, pur in mancanza di stime esatte, viene attendibilmente nello stesso periodo, in misure superiori al 40%.
[124] Così Sclavi, Le due CISL, cit., p. 24. L’importanza di questi fattori di rinnovo, sia generazionale, sia professionale, della classe operaia per spiegare il nuovo tipo di conflittualità e di azione sindacale scoppiato alla fine del periodo in esame è rilevata anche nella relazione di Pizzorno, Appunti di discussione sugli aspetti politici dell’azione sindacale, presentata (oralmente) al seminario di Ancona, I sindacati nell’economia e nella società italiana, cit. L’autore menziona altresì la particolare posizione e incisività dell’azione della FIM in questo contesto, sottolineando, fra l’altro, il rilievo del suo carattere di organizzazione con la «memoria corta, derivantegli appunto dalle sue caratteristiche strutturali. Vedi ora, dello stesso a., Sull’azione politica dei sindacati, in «Problemi del socialismo», 1970, spec. pp. 884 sgg. Qualche accenno in tal senso si può rinvenire anche in Castellina, La scoperta della politica, in «Il Manifesto», 1970, n. 10-11. pp. 19 sgg. (commento al convegno della FIM del luglio 1970).
[125] Scalvi, Le due CISL, loc. cit., con esemplificazioni specifiche di proposte contrattuali avanzate nel periodo dalla FIM e direttamente legate a questa sua particolare attenzione politica.