Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
Nonostante questi limiti, le tesi della FIM hanno il significato politico essenziale di rompere una concezione radicata da oltre un decennio nella CISL, dando l’avvio a un suo progressivo superamento anche da parte di altre federazioni industriali e più tardi inducendo una parziale
{p. 86}modifica nelle stesse posizioni confederali [113]
. Ancora più importante, esse costituiscono il punto di partenza per una più radicale revisione delle idee in materia di organizzazione sindacale d’azienda, che non tarderà a manifestarsi all’interno della federazione. La svolta decisiva di tale dibattito, che investe di riflesso tutto l’assetto interno del sindacato, e anche per questo è tuttora lungi dall’essere pervenuto a conclusioni definitive, se non in negativo, si può individuare nel periodo successivo ai difficili rinnovi contrattuali del 1966-67, nei quali l’impostazione del 1962 viene in sostanza confermata, in una congiuntura economica notoriamente sfavorevole, ma anche in presenza di posizioni sindacali condizionate da prospettive limitate o prevalentemente difensive come quelle appena accennate.{p. 87}
Ancora una volta l’avvio del processo trae spunto anzitutto da una riflessione sull’esperienza contrattuale e di lotta in azienda, che presenta — in concomitanza con la mutata condizione economica — un nuovo risveglio destinato a toccare un vertice, unico nella nostra storia contrattuale, nel 1968 e nella prima parte del 1969. Al termine di questo periodo il sistema di articolazione contrattuale inaugurato nel 1962 è totalmente superato nei fatti. A livello teorico tale sistema viene attaccato non più solo per la sua eccessiva rigidità, ma per la sua stessa idea base, che il contratto nazionale sia di per sé esaustivo di tutta la materia «contrattabile», e che quindi a livelli inferiori possano riaprirsi le trattative solo sugli oggetti e nei limiti da esso previsti, oltre i quali il contratto funzionerebbe come stabilizzatore sociale ed economico. A una simile idea, riconosciuta fittizia e pericolosa per il principio della tregua sindacale in essa implicito [114]
, si oppone che ciascun livello contrattuale esprime viceversa funzioni diverse fra loro autonome e deve quindi avere competenze e contenuti propri non dipendenti dai livelli superiori [115]
. Semmai {p. 88}è il livello aziendale che deve diventare il centro dinamico del sistema, non solo per la crescente importanza delle materie in esso affrontabili, relative agli aspetti centrali dell’organizzazione del lavoro e della condizione operaia, ma perché a tale livello si avvertono più immediatamente le contraddizioni di tale condizione e si fonda il potere imprenditoriale capitalistico, e ivi occorre anzitutto organizzare una adeguata strategia sindacale contrapposta. Da una simile sperimentazione sui luoghi di lavoro, e non da una predeterminazione astratta operata a priori dal contratto nazionale, diventa possibile risalire, secondo un concreto metodo induttivo, e alla stregua di valutazioni politiche svolte successivamente ai gradi superiori dell’organizzazione, ad azioni contrattuali e anche politiche più ampie [116]
.
L’esigenza così affermata di rovesciare la piramide contrattuale rafforza progressivamente l’idea che sia necessario un analogo rovesciamento della concezione {p. 89}organizzativa interna del sindacato. Sul corretto presupposto che quella non possa, a lungo andare, sostenersi senza questa, si perviene a riconoscere coerentemente nella organizzazione di fabbrica un centro di poteri autonomi corrispondenti alle funzioni contrattuali esercitabili a livello aziendale e, più in generale, la prima istanza sindacale da cui le altre traggono fondamento e da cui deve procedere l’elaborazione di tutte le strategie contrattuali e politiche del sindacato [117]
. Anche sotto questo profilo l’esigenza, imprescindibile in ogni organizzazione, di mantenere al suo interno l’unità di indirizzo su alcune direttive fondamentali e di evitare i rischi di settorialismo va soddisfatta in modi diversi da quello tradizionale di una predeterminazione dall’alto delle stesse linee, ricercando, nei fatti, coordinamenti fra le posizioni elaborate ai livelli periferici e contando più sulla effettività di tale processo, che su garanzie formali [118]
.
A tale riflessione sul rapporto fra azione contrattuale in fabbrica e sua strumentazione organizzativa si avvicina, nel medesimo periodo, un ripensamento critico sulla stessa {p. 90}concezione del sindacato e della sua presenza in fabbrica, che arricchisce le conclusioni avanzate di significati più radicalmente innovatori rispetto alle proposte organizzative fino allora seguite dalla CISL. Si avverte che la prospettiva rigorosamente interna al sindacato e l’interpretazione tendenzialmente separatista del momento associativo tipiche di queste ultime, unite al carattere spesso solo negativo della critica rivolta alle commissioni interne, hanno di fatto portato a una «situazione di stallo» nella elaborazione di efficaci politiche organizzative sindacali in azienda. Mentre l’opposizione alle CI ha continuato a rivelarsi poco efficace e scarsamente compresa dalla generalità dei lavoratori, la sezione sindacale si è valorizzata tutt’al più nei rapporti interni all’associazione e con la sua burocrazia, rimanendo un «gruppo clandestino» pressoché sconosciuto ai non iscritti e sovente alla stessa maggioranza dei soci [119]
. Di qui la proposta, che recepisce gli aspetti più dinamici delle tesi della CGIL in materia, di avviare una effettiva apertura della sezione aziendale e delle sue attività nei riguardi sia delle altre organizzazioni sindacali sia di tutti i lavoratori [120]
. L’esperienza di azioni sindacali unitarie in azienda, sempre più solidamente collaudate specie con la FIOM, ha fatto cadere del resto molte delle originarie riserve nei confronti di una simile collaborazione intersindacale, in alcuni casi realizzandone, come vedremo, già un superamento di fatto. Per le medesime ragioni anche il confronto delle strutture sindacali con i lavoratori non
{p. 91}iscritti va dimostrandosi nella prassi delle lotte aziendali sempre più fecondo e meno esposto a sviluppi settoriali o sindacalmente agnostici.
Note
[113] I primi accenni a una simile modifica, nel senso di ammettere «una maggiore attribuzione di poteri contrattuali», oltre che organizzativi, alle sezioni aziendali, si avvertono a livello confederale nella assemblea dei quadri dirigenti tenutasi a Montecatini nel giugno 1967, ove lo stesso Storti rileva, a giustificazione di tale conclusione, come non si debba consentire che «per timore di un male eventuale (aziendalismo) le sezioni sindacali d’azienda soffrano di un male certo (la scarsa presenza in azienda)»; vedine il resoconto in «Conquiste del lavoro», 1967, n. 25-26, pp. 31 sg., e, da parte della CGIL, il commento di Soffientini, La CISL recupera e rilancia le SSA, in «Rassegna sindacale», 1967, n. 118-119, p. 8, che valuta positivamente tale nuovo atteggiamento sottolineando il ruolo rilevante esercitato al riguardo dalle posizioni anticipatrici della FIM. Le incertezze e i limiti delle indicazioni così abbozzate risultano peraltro palesi dal seguente ampio dibattito apertosi in argomento su «Conquiste del lavoro». Insieme a voci apertamente favorevole a una piena valorizzazione funzionale della sezione in materia contrattuale, si registrano interventi ancora del tutto legati alla concezione originaria, meramente strumentale-organizzativa dell’istituto (vedi ad esempio, quelli di Falcone, di Sironi, in «Conquiste del lavoro», 1967, n. 49, pp. 8-9; di Ravizza, ibidem, n. 46). Molti degli interventi più autorevoli, fra cui lo stesso Storti (ibidem, 1968, n. 17-18, pp. 12 sg.), ritengono che i poteri contrattuali di cui a Montecatini si è auspicato il riconoscimento alla SAS vadano intesi soprattutto come poteri di amministrazione del contratto e di adeguamento delle sue norme alle diverse realtà aziendali, piuttosto che di creazione di nuove norme; o, tutt’al più, come poteri di partecipare, in stretto collegamento col sindacato provinciale, alla contrattazione su punti ben definiti (dai rinvii del contratto nazionale di categoria o dell’accordo quadro). Cfr., analogamente, Scalia, ibidem, pp. 11 sg., nonché, Fantoni, ibidem, 1967, n. 44, pp. 4 sg., il quale precisa che ogni estensione di poteri della SAS deve intendersi «entro» rapporto di identificazione dell’istituto alle direttive del sindacato e deve essere il risultato di «una delega espressa» da parte di questo.
[114] La giustificazione più radicale del superamento di tale «legalitarismo contrattuale» viene vista nel fatto che «ogni convenzione è discutibile se non risponde, o non risponde più alle esigenze reali che l’avevano provocata; i problemi originati dal rapporto di lavoro non sono un’invenzione; essi vanno risolti dove e quando sorgono»: così, fra i molti, Caviglioli, Meno burocrazia e paternalismo, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 3-4, p. 51. Il ruolo frenante del principio di tregua per la generale azione del sindacato è stato di recente ampiamente discusso nella relazione di Romagnoli al citato convegno dell’AISRI (Roma 28-29 novembre 1970), (Romagnoli, Il contratto collettivo «difficile», in «Politica del diritto», II (1971), pp. 71 sgg. Secondo l’autore, tale clausola, nata come «corrispettivo del consenso prestato dagli imprenditori ad accettare un modello dinamico di relazioni industriali», nel lungo periodo sarebbe stata da questi sfruttata per «risolvere a proprio vantaggio... l’ambiguità intrinseca a tale tendenza di politica contrattuale, per costruirsi un interlocutore cosiddetto valido, cioè «responsabile ed efficiente», omogeneo al sistema capitalistico e quindi capace di compensare largamente gli aumenti del costo di lavoro connessi all’apertura di un fronte di lotta a livello dell’unità produttiva» (pp. 12 sg.).
[115] Il contratto nazionale può costituire uno strumento idoneo a definire un plafond uniforme di tutela per l’intera categoria — in particolare per le piccole aziende — su alcuni istituti economici e sociali fondamentali, a «stabilire le linee generali di politica contrattuale» e di collegamento della contrattazione aziendale» nonché, per altro verso, a premere «per un processo più generale di trasformazione della nostra società, che deve partire dalla trasformazione della fabbrica». Di contro il contratto aziendale costituisce la sede naturale e più valida per la trattazione di tutti «gli aspetti del rapporto di lavoro che si presentino comunque con caratteristiche particolari nelle varie aziende». Per queste citazioni vedi rispettivamente, Per una strategia di attacco, relazione della segreteria al congresso nazionale della FIM del 1969, pp. 31 e 33; e le tesi precongressuali della FIM milanese, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 5, p. 56. Simili tesi emergono da una ampia discussione avviata ai vari livelli dell’organizzazione, i cui documenti più significativi sono raccolti nel Dossier su La struttura contrattuale, ibidem, 1968, n. 3-4, pp. 35 sgg., e, negli atti del convegno nazionale di Torino (marzo, 1968) su La contrattazione articolata, cit. Cfr. altresì, sullo stesso argomento, l’articolo di Merli Brandini, Per una nuova strategia contrattuale, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 2, pp. 5 sgg.
[116] Questo rovesciamento di prospettiva circa i rapporti fra i diversi gradi contrattuali risulta sempre più netto nelle prese di posizione della FIM: vedi, oltre alla relazione al congresso nazionale e a diversi interventi dei dibattiti citati nella nota precedente, la relazione di Carniti al VI congresso provinciale della FIM milanese, ove sono sottolineati con particolare vigore i temi caratterizzanti della nuova strategia contrattuale inseriti in una prospettiva di trasformazione della azienda e più in generale delle stesse strutture sociali. Vedi, pure, l’articolo di Bentivogli, La contrattazione aziendale nel Veneto, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 6, pp. 15 sgg., vari interventi al Dibattito sul contratto, ibidem, pp. 19 sgg., e sulla centralità dell’azienda anche per il ruolo politico del sindacato, Antoniazzi, Lotta politica e lotta sindacale nella fabbrica, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 5, pp. 27 sgg.
[117] Cfr. diversi interventi nel convegno di Torino su La contrattazione aziendale, cit.; le tesi precongressuali della FIM milanese, cit., e la mozione n. 4 approvata allo stesso congresso, in «Dibattito sindacale», 1969, n. 1, p. 42; quasi tutti gli interventi nel Dossier, Democrazia nel sindacato, ibidem, 1968, n. 5, pp. 33 sgg.; e, da ultimo, la mozione al congresso nazionale del 1969, parte I, in fine (pp. 8 sg.), ove si sottolinea specificamente che «la SAS è il sindacato in fabbrica che elabora e realizza le proprie politiche organizzative e contrattuali in armonia con le linee di politica generale della federazione, non in via delegata, ma traendo dal proprio congresso tale potere». A livello confederale un cenno in questo senso è nella mozione della lista n. 1 (minoritaria), al congresso del luglio 1969, in Il contributo degli «amici di Firenze» alle politiche della CISL e del movimento sindacale italiano, Roma, 1969, p. 228, n. 14. Per ulteriori indicazioni, relative ad altre federazioni della CISL, vedi il mio L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 190 sgg.
[118] Nella stessa prospettiva di ampliare le possibilità di partecipazione delle strutture aziendali alla direzione della politica sindacale e di facilitare il loro coordinamento rientrano i tentativi di rendere più vitali le leghe zonali, di recente rilanciate (vedi nota 79), di avviare effettivamente una iniziale autonomia finanziaria delle sezioni da tempo proposta (nota 80) e di inserire negli organi direttivi del sindacato provinciale rappresentanti eletti direttamente dalle sezioni sindacali più grosse: così, ad esempio, lo statuto della FIM-CISL di Brescia; e quello di Milano (luglio 1968), art. A (quest’ultimo per le sezioni superiori a 500 iscritti).
[119] Per questi giudizi vedi già Antoniazzi, Evoluzione delle strutture sindacali d’azienda, cit., p. 18.
[120] Cfr., ad esempio, Manghi, La democrazia è nella natura del sindacato, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 5, p. 34 e Ramella, Il futuro è soprattutto aziendale, ibidem, n. 3-4, p. 65, entrambi sottolineando come la presenza in azienda di sezioni dotate di poteri contrattuali autonomi debba rendere possibile al sindacato un confronto con tutti i lavoratori attraverso il nuovo strumento dell’assemblea, «a cui il sindacato si rivolge non per comunicare direttive, ma per mettere in discussione idee e consigli» (Ramella, op. cit., p. 65); nonché, più tardi, la mozione finale al congresso nazionale FIM del 1969, parte I, (pp. 8 sg.). Per. generali accenni critici sul significato del fondamento associativo del sindacato e sulla necessità di superarne una interpretazione chiusa vedi Cella, Manghi, Per una nuova formazione sindacale, in «Dibattito sindacale», 1968, n. 6, pp. 59 sgg.