Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
Si comincia a rilevare sempre più chiaramente che l’espansione della contrattazione articolata, e persino la sua attuazione nei limiti già contrattualmente previsti, trovano ostacolo non solo nella situazione congiunturale e nell’opposizione padronale, ma nello stesso sistema di rinvii relativi agli oggetti, ai tempi e alle procedure di contrattazione, il quale si traduce in una serie «di schemi rigidi e binari obbligati» pesantemente limitativi dell’iniziativa contrattuale decentrata [101]
, come si era temuto dagli osservatori più avvertiti, specie della CGIL. Si avverte che il sistema — costretto in tali schemi — rischia di ripro
{p. 81}durre i difetti già denunciati di rigidità dell’ordinamento precedente o addirittura di peggiorarli, dato che preclude giuridicamente ogni possibilità di esperienze contrattuali aziendali spontanee, come quelle pur episodicamente avviate negli anni precedenti in alcune situazioni pilota. In ogni caso la contrattazione aziendale così programmata finisce per risultare «differenziata solo nella forma» ma «generalizzata nella sostanza», perdendo le stesse ragioni essenziali del suo esistere e della sua efficacia [102]
. D’altra parte tali effetti negativi della rigidità del sistema, di cui l’esperienza comincia a offrire testimonianze evidenti nella perdurante standardizzazione dei contratti aziendali e nella attuazione minimale degli istituti [103]
, non appaiono compensati neppure lontanamente dai previsti effetti positivi, in quanto la speranza che il riconoscimento in sede nazionale della contrattazione decentrata servisse a incentivarne e a normalizzarne il processo si concreta in misura insoddisfacente o trascurabile nella esperienza applicativa [104]
.{p. 82}
A queste diagnosi iniziali sul primo sistema contrattuale articolato fanno riscontro proposte parallele in ordine sia al suo superamento sia alla posizione degli agenti sindacali in esso operanti.
Di fronte alla avvertita necessità di rendere più dinamica la contrattazione decentrata, si stabilisce di eliminare dal contratto nazionale la previsione di «regole dettagliate» e «procedure fisse» per i livelli inferiori, conferendo a questi maggiore discrezionalità nei tempi e nei modi della contrattazione e nella ripartizione degli obiettivi. Si rifiuta però l’idea di una contrattazione aziendale «assolutamente libera», ritenendola inattuabile, «per la precisa opposizione delle imprese (che desiderano conoscere in anticipo quali impegni devono assolvere)», e pericolosa «per il rischio che essa esploda indiscriminatamente senza poter essere guidata e controllata dalle stesse organizzazioni sindacali» a svantaggio delle imprese più deboli e senza toccare quelle con maggiori possibilità di resistenza (com’è avvenuto in passato) [105]
. Al contratto nazionale rimane dunque riservata la definizione, sia pur solo in generale, dei contenuti propri dei vari livelli contrattuali, in specie di quello aziendale, nonché dei limiti massimi e dei criteri generali «di spesa (come ad esempio il collegamento alla produttività aziendale)» da rispettare nelle trattative articolate [106]
. Si tratta in sostanza di una soluzione di compromesso fra le posizioni ufficiali della CISL, tuttora difese dalla confederazione, che anzi ripropone proprio in quei tempi la tematica ancora più accentratrice degli accordi quadro generali, e le critiche ad essa provenienti, oltre che dalla CGIL, dalle riflessioni sull’esperienza contrattuale operate al proprio interno. In essa permane {p. 83}la preoccupazione tradizionale di realizzare attraverso il contratto nazionale una «programmazione dell’attività contrattuale a livello di ogni azienda», cui fa riscontro una accettazione del principio del rinvio e della tregua contrattuale [107]
, ma è presente il tentativo di ridurne gli aspetti troppo macroscopicamente restrittivi e in definitiva pregiudizievoli per la sua stessa efficacia.
Con riguardo alla concezione e ai poteri delle strutture periferiche del sindacato l’esigenza di rendere più libera la contrattazione decentrata acquista anzitutto, per la FIM come per gli altri sindacati metalmeccanici e delle categorie industriali più consistenti, il significato di ampliare l’autonomia del sindacato provinciale, rompendo quei vincoli stabiliti a livello nazionale che, al di là delle apparenze, lo hanno ridotto ad «assomigliare sempre di più ad una grossa commissione interna provinciale col compito di applicare il contratto nazionale» [108]
piuttosto che di elaborare proprie iniziative. La stessa preoccupazione appare realisticamente in primo piano fino alla evoluzione più recente delle politiche organizzative di questi sindacati, traducendosi nella affermazione della loro piena autonomia contrattuale, al di là di ogni delega dai livelli nazionali federali o confederali. Ma non si tarda a percepire che analoghi motivi di efficienza impongono di rafforzare progressivamente l’autonomia funzionale delle rappresentanze aziendali. Questo appare oltretutto, secondo l’esperienza, l’unico modo di rivitalizzare l’istituto, facendolo uscire finalmente dalla tradizionale posizione di debolezza, o di mera esistenza {p. 84}formale, che lo ha reso incapace di svolgere anche i compiti di conoscenza della realtà aziendale, minimali ma necessari a ogni efficace azione contrattuale. È così che, traendo questa volta le conclusioni coerenti dalla diagnosi, si conviene di riconoscere alla sezione non solo effettivi poteri di gestione degli accordi aziendali, ma una responsabilità diretta nella contrattazione (e nella lotta sindacale in azienda), sia pure in modo graduale e in base a una delega del sindacato provinciale, totale o limitata ad aspetti particolari [109]
. Si propone altresì, di richiedere alla controparte imprenditoriale il riconoscimento formale dell’istituto e dei suoi compiti in sede di contrattazione [110]
. La contemporaneità di tale richiesta con le precedenti non è casuale, dato che deriva come naturale conseguenza dall’attribuzione alle sezioni aziendali di compiti rilevanti verso l’esterno, e inversamente non ha motivo di essere fino a quando le funzioni dell’istituto si riducono in un mero ambito organizzativo interno. Anche in questo {p. 85}caso è chiaro il carattere di compromesso delle proposte avanzate. Esse stanno a mezzo fra l’esigenza, fortemente sentita, di valorizzare l’azione autonoma aziendale, le cui potenzialità non accennano a diminuire nonostante la pesante situazione economica, e il bisogno di non sottrarre tale azione al controllo anche preventivo del sindacato territoriale, nonché la necessità tattica di non rompere troppo decisamente con il passato. È per questo che si sottolinea soprattutto la opportunità di ampliare l’ambito quantitativo dei poteri dell’istituto, avviando un decentramento effettivo ma graduale e controllato, senza preoccuparsi di ridiscutere il fondamento degli stessi poteri, ricondotto pur sempre in esclusiva al sindacato territoriale [111]
. In tal modo l’attribuzione di compiti decisori contrattuali si giustifica in principio allo stesso titolo del riconoscimento di meri poteri gestionali di un contratto stipulato da altri, in quanto dipende parimenti dalla iniziativa di un soggetto sovraordinato. E anzi lo stesso decentramento viene presentato come fenomeno interno all’associazione (territoriale) che ritiene di disporre così per il meglio del proprio potere contrattuale [112]
.

7.Rinnovamento politico e ricambio generazionale della FIM nella seconda metà degli anni ’60: il ripensamento della presenza sindacale in azienda.

Nonostante questi limiti, le tesi della FIM hanno il significato politico essenziale di rompere una concezione radicata da oltre un decennio nella CISL, dando l’avvio a un suo progressivo superamento anche da parte di altre federazioni industriali e più tardi inducendo una parziale
{p. 86}modifica nelle stesse posizioni confederali [113]
. Ancora più importante, esse costituiscono il punto di partenza per una più radicale revisione delle idee in materia di organizzazione sindacale d’azienda, che non tarderà a manifestarsi all’interno della federazione. La svolta decisiva di tale dibattito, che investe di riflesso tutto l’assetto interno del sindacato, e anche per questo è tuttora lungi dall’essere pervenuto a conclusioni definitive, se non in negativo, si può individuare nel periodo successivo ai difficili rinnovi contrattuali del 1966-67, nei quali l’impostazione del 1962 viene in sostanza confermata, in una congiuntura economica notoriamente sfavorevole, ma anche in presenza di posizioni sindacali condizionate da prospettive limitate o prevalentemente difensive come quelle appena accennate.{p. 87}
Note
[101] Così Morelli, Ricercare nuove idee per l’azione sindacale, in «Dibattito sindacale», 1965, n. 1, p. 25.
[102] Morelli, loc. cit., ma l’osservazione è comune.
[103] La tendenza alla standardizzazione è già chiaramente rilevabile nelle prime esperienze applicative, per tutti gli istituti previsti nel rinvio, ed è tale da snaturarne la stessa natura. Così è, ad esempio, nel caso del premio di produzione, che tende sempre più a trasformarsi in una forma di «incremento salariale» generale, riproposto a metà del periodo di vigore del contratto, perdendo anche per questo progressivamente i propri caratteri dinamici connessi alla produttività aziendale: vedi, per tutti, Giugni, L’evoluzione della contrattazione collettiva, cit., pp. 33 e 108 sg., che sottolinea giustamente come su questa standardizzazione influisca in modo decisivo, oltre alla quasi contemporaneità delle trattative nelle varie aziende, «la coincidenza dei negoziatori dalla parte dei lavoratori (sindacati provinciali)». La tendenza alla uniformità della contrattazione nazionale dura fino a tempi recentissimi: vedi, ad esempio nel 1968, le denunce al convegno nazionale FIM di Torino (marzo 1968) su La contrattazione articolata, Milano 1969, pp. 22 sgg.
[104] I primi bilanci sulla applicazione degli impegni di contrattazione articolata stabiliti nel 1962-63 per l’industria metalmeccanica, mostrano infatti altissime percentuali di violazioni persino negli obblighi più elementari assunti dagli imprenditori (ad esempio, obblighi di comunicazione dei sistemi di cottimo, delle «mansioni nuove»). Vedi al riguardo i dati esposti da Morelli, La contrattazione articolata, in «Dibattito sindacale», 1965, n. 2, pp. 7 sgg., da cui risulta già come l’unico istituto contrattato in modo rilevante sia il premio di produzione, e anche in questo caso in poco più del 50% delle aziende. Si può dunque convenire che il sistema dei rinvii avviato nel 1962 ha avuto fin dall’inizio scarso effetto nell’incentivare e indicare i contenuti della nuova contrattazione. Sotto questo profilo la sua crisi è endemica, e l’equilibrio contrattuale e di tregua da esso instaurato appare essersi rotto prima ancora di instaurarsi concretamente: così, da ultimo, P. Santi, in un intervento al II Convegno di studio dell’AISRI, cit.
[105] Le citazioni sono dalla relazione della segreteria nazionale al V Congresso della FIM (1965), III parte, p. 119.
[106] Così, ancora, la relazione, cit., al V Congresso FIM, con esemplificazioni abbastanza restrittive.
[107] «Oggi, più che mai, dobbiamo impegnare ogni attenzione ed ogni energia per una piena applicazione del contratto di lavoro... Nello stesso tempo tuttavia occorre sottolineare l’importanza del «rispetto dei patti» da parte del sindacato; una efficace gestione del contratto pretende da parte nostra una piena responsabilità, se vogliamo combattere — con piena giustizia — gli imprenditori inadempienti. Tanto più che il nuovo contratto ha aperto un esteso campo d’intervento sindacale nelle fabbriche». Così si esprime la relazione generale approvata al comitato direttivo nazionale di Varazze nel novembre 1963 (ribadita dal congresso del 1965: vedi relazione, p. 91-93), allineandosi qui pienamente con le tesi tradizionali della CISL (ma anche della stessa cultura giuridica e politica del tempo) in materia di clausole di tregua.
[108] Così l’intervento di De Nardini al convegno nazionale FIM sulla contrattazione articolata (Torino, 1968), cit., p. 29.
[109] Queste proposte sono elaborate dalla FIM in diversi documenti a partire dalla metà degli anni ’60: vedi, già qualche cenno in Morelli, Ricercare nuove idee per l’azione sindacale, cit., p. 26 e in Di Nardo, I rapporti con le altre organizzazioni sindacali, in «Dibattito sindacale», 1965, n. 1, p. 40 (peraltro con molta cautela e insieme a tesi più tradizionali); ormai chiaramente la relazione della segreteria al V Congresso nazionale (1965), cit., pp. 120 sgg.; e, ancora, il dibattito e le conclusioni della II Assemblea organizzativa nazionale di Genova (Milano, 1968), pp. 13 sgg., 66 sgg.; e anche, ma con maggiori aperture, la relazione di Antoniazzi, al direttivo della FIM milanese del novembre 1966, in «Dibattito sindacale», 1967, n. 1, p. 19.
[110] A un simile riconoscimento avrebbe dovuto far riscontro l’attribuzione alla sezione e ai suoi rappresentanti delle garanzie già spettanti ai membri di CI (aspettative, permessi, tutela dai licenziamenti) e inoltre di una più ampia gamma di «diritti sindacali» atti a rendere concretamente operante la presenza sindacale in azienda (diritto di riunione, di raccolta di contributi, ecc.). Si tratta di diritti di cui si comincia già a proporre un riconoscimento legislativo attraverso lo «Statuto dei lavoratori», ma che la CISL e la FIM ritengono ancora, secondo le ben note posizioni tradizionali, doversi affermare in via esclusivamente contrattuale. Anche al loro interno peraltro cominciano a manifestarsi le prime opinioni favorevoli a nuove forme di intervento legislativo nei rapporti di lavoro: (vedi, per apprezzamenti positivi sull’intervento in materia di licenziamenti individuali, la relazione di Antoniazzi, citata nella nota precedente, e, più in generale, Merli, Brandini, Un rapporto costruttivo tra legge e contratto, in «Dibattito sindacale», 1967, n. 1, pp. 15 sgg.).
[111] Un simile punto viene ribadito ripetutamente dalla relazione al congresso nazionale del 1965, cit., e ancora alla II Assemblea organizzativa, cit., appunto per sottolineare la continuità delle tesi in esame rispetto alle impostazioni tradizionali.
[112] In tal senso vedi la relazione al Congresso nazionale del 1965, cit., p. 122.
[113] I primi accenni a una simile modifica, nel senso di ammettere «una maggiore attribuzione di poteri contrattuali», oltre che organizzativi, alle sezioni aziendali, si avvertono a livello confederale nella assemblea dei quadri dirigenti tenutasi a Montecatini nel giugno 1967, ove lo stesso Storti rileva, a giustificazione di tale conclusione, come non si debba consentire che «per timore di un male eventuale (aziendalismo) le sezioni sindacali d’azienda soffrano di un male certo (la scarsa presenza in azienda)»; vedine il resoconto in «Conquiste del lavoro», 1967, n. 25-26, pp. 31 sg., e, da parte della CGIL, il commento di Soffientini, La CISL recupera e rilancia le SSA, in «Rassegna sindacale», 1967, n. 118-119, p. 8, che valuta positivamente tale nuovo atteggiamento sottolineando il ruolo rilevante esercitato al riguardo dalle posizioni anticipatrici della FIM. Le incertezze e i limiti delle indicazioni così abbozzate risultano peraltro palesi dal seguente ampio dibattito apertosi in argomento su «Conquiste del lavoro». Insieme a voci apertamente favorevole a una piena valorizzazione funzionale della sezione in materia contrattuale, si registrano interventi ancora del tutto legati alla concezione originaria, meramente strumentale-organizzativa dell’istituto (vedi ad esempio, quelli di Falcone, di Sironi, in «Conquiste del lavoro», 1967, n. 49, pp. 8-9; di Ravizza, ibidem, n. 46). Molti degli interventi più autorevoli, fra cui lo stesso Storti (ibidem, 1968, n. 17-18, pp. 12 sg.), ritengono che i poteri contrattuali di cui a Montecatini si è auspicato il riconoscimento alla SAS vadano intesi soprattutto come poteri di amministrazione del contratto e di adeguamento delle sue norme alle diverse realtà aziendali, piuttosto che di creazione di nuove norme; o, tutt’al più, come poteri di partecipare, in stretto collegamento col sindacato provinciale, alla contrattazione su punti ben definiti (dai rinvii del contratto nazionale di categoria o dell’accordo quadro). Cfr., analogamente, Scalia, ibidem, pp. 11 sg., nonché, Fantoni, ibidem, 1967, n. 44, pp. 4 sg., il quale precisa che ogni estensione di poteri della SAS deve intendersi «entro» rapporto di identificazione dell’istituto alle direttive del sindacato e deve essere il risultato di «una delega espressa» da parte di questo.