Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c2
Il rapporto fra SAS e CI sotto il
profilo funzionale risulta immediatamente dalle premesse generali già accennate sulla
priorità del momento associativo sindacale rispetto a ogni altra forma di rappresentanza
dei lavoratori. Da ciò deriva che «tutto ciò che è sindacale deve
¶{p. 46}incominciare e finire nella SAS»
[27]
e che ad essa spetta il compito essenziale, affermato sempre con carattere
prioritario nelle prime dichiarazioni ufficiali, di svolgere un’azione di sorveglianza e
di controllo sulla CI
[28]
. La finalità di questo controllo è di garantire sul piano istituzionale che
le attività dei singoli membri di CI, e quindi l’iniziativa sindacale dell’istituto,
«restino legati all’indirizzo concreto del sindacato» deliberato nelle varie sedi competenti
[29]
. Tale direttiva è del resto la sola conforme al contenuto dei compiti della
CI, che secondo la CISL devono considerarsi, per le ragioni accennate, come strumentali
e secondari rispetto a quelli sindacali, alla stregua di un’interpretazione rigorosa o
addirittura restrittiva dell’accordo inter-confederale 5 maggio 1953.
Gli strumenti per tradurre sul piano
istituzionale la supremazia dell’organizzazione sindacale sulla CI — prevista per i
metalmeccanici in parte già dallo statuto approvato a Torino (1 novembre 1954), ove la
SAS è formalmente riconosciuta
[30]
—, realizzano un’ingerenza diretta di questa sia sulla costituzione sia sul
funzionamento di quella. La formazione delle liste elettorali della CI è affidata alla
delibera del comitato direttivo della SAS, con l’ulteriore specificazione che la
delibera deve essere sottoposta alla ratifica del sindacato provinciale
[31]
. «Per armonizzare la ¶{p. 47}azione della CI con quella
della SAS» si prevede che i membri della prima eletti nelle liste del sindacato facciano
parte del direttivo della seconda con voto deliberativo (art. 36, ult. co. statuto FIM, 1954)
[32]
. A questo legame diretto si aggiunge la regola più generale, peraltro già
implicita nella stessa concezione del vincolo sindacale, che ciascun commissario interno
iscritto al sindacato «è tenuto alla disciplina sindacale e ne risponde dinanzi agli
organi direttivi del sindacato»
[33]
.
È difficile negare che simili regole
realizzino sul piano strutturale la prima parte della politica organizzativa della CISL,
quella di predisporre un organismo sindacale concorrente e sovraordinato alla CI. Né a
tale livello si sono trovate soluzioni più adeguate, tanto è vero che le norme indicate
rimangono immutate a definire i rapporti fra i due organismi nella disciplina statutaria
dei sindacati fino ai tempi più recenti
[34]
. Questo non significa però che la portata effettiva delle stesse norme si
sia rivelata ¶{p. 48}pari al loro significato di principio, che anzi
esse sono state ben lungi dal corrispondere al reale svolgersi dell’esperienza o anche
solo dall’aver rilievo significante per correggerla nel senso voluto. E ciò non solo per
ostacoli contingenti, quali in particolare la posizione minoritaria, nella maggior parte
delle aziende, dei commissari eletti nelle liste della CISL, ma per la intrinseca
inadeguatezza di una simile soluzione esterna all’istituto, a inficiare la solida
posizione di potere e di prestigio acquisita dalla CI fin dal primo dopoguerra, con
l’esercizio delle principali funzioni di tutela degli interessi operai sui luoghi di
lavoro. Tanto più che la concezione della CISL sottesa a queste direttive, nonostante
la sua intrinseca chiarezza, rivela alla prova dei fatti persistenti incertezze sullo
stesso piano teorico e soprattutto scarsa coerenza nella attuazione a livello di prassi
aziendale. Sull’argomento si dovrà tornare ampiamente, perché ha rilievo cruciale per
tutta la materia trattata. Basti rilevare per ora che i segni di tali incertezze sono
evidenti già nelle prime sistemazioni istituzionali conseguenti alla introduzione del
nuovo organismo. Nonostante la radicale definizione di competenze implicita nelle
affermazioni sopra ricordate, le discussioni sui rapporti fra le due istituzioni
aziendali si ripetono insistenti ai vari livelli, costituendo l’argomento su cui più
ambivalente è la ricerca di convincenti motivazioni teoriche e di specificazioni
pratiche. Alle ripetizioni della linea indicata si accostano fin dai primi tempi
precisazioni dirette a minimizzare la possibilità di conflitto fra le due forme di
rappresentanza aziendale, a sottolinearne la rispettiva autonomia di compiti e quindi la
necessaria coesistenza, a respingere le accuse di possibili strumentalizzazioni della CI
e di svalutazione della azione di tutela da esse svolta
[35]
. Trova qui riflesso una oscillazione
¶{p. 49}teorico-concettuale sulle funzioni e sui rapporti fra i due
istituti, che, sotto la spinta della persistente vitalità della CI, durerà a lungo nelle
posizioni della CISL, appena mascherata al di sotto di un’apparente compattezza di giudizio
[36]
, e che giungerà a risolversi talora in tempi recenti anche in revisioni
dell’impostazione tradizionale.
Alla base della supremazia
istituzionale della SAS nei confronti della CI sta dunque l’idea di riportare
all’interno del sindacato la totalità dell’iniziativa sindacale in azienda. In
corrispondenza con una simile premessa non mancano le affermazioni esplicite che
riconoscono alla sezione, in quanto organizzazione di base degli iscritti nell’azienda,
il diritto di assumere al suo interno «organicamente ogni funzione e compito del
sindacato di categoria». Ad essa, si dice ancora, spetta di occuparsi «della analisi e
della soluzione di ogni problema aziendale di salario, di lavoro, di produzione, pena il
perdere la fiducia dei lavoratori e l’immediato isterilimento di ogni sforzo organizzativo»
[37]
. Questo vale in particolare per tutti i problemi che in prospettiva sono
destinati a porsi come oggetto concreto della contrattazione articolata.
Addirittura si rileva che la SAS
deve «interessarsi anche ai problemi sindacali di prevalente trattazione ed impegno
extra aziendale», sui quali potrà fornire puntualmente il proprio parere ed orientamento
¶{p. 50}al sindacato provinciale, all’unione e alla stessa confederazione»
[38]
. Ciò per la necessità che ogni valutazione aziendale sia connessa con una
visione generale degli interessi dei lavoratori, così come la stessa organizzazione di
fabbrica è legata all’organizzazione extra-aziendale del sindacato.
Ma all’ampiezza di queste
affermazioni generali non fa riscontro una analoga effettività dei compiti e dei
specifici che dovrebbero costituirne il contenuto. Il primo compito delle SAS,
ripetutamente sottolineato dalle dichiarazioni programmatiche, è di costituire i «centri
naturali della sindacalizzazione dell’ambiente di lavoro», impegnandosi all’avvio della
presenza sindacale in azienda. A tal fine esse devono promuovere tutte le iniziative
atte a garantire «la possibilità della presenza e soprattutto dell’ulteriore espansione
dell’organizzazione» nonché a determinare ed assicurare il clima del sindacato nell’azienda
[39]
. Sul piano organizzativo ciò comporta che le sezioni devono adoperarsi per
il proselitismo sindacale, curando la propaganda, la formazione dei quadri, la
promozione delle comunicazioni all’interno della fabbrica, fino alla raccolta delle
quote contribuite e delle tessere. Analogamente ad esse compete di agire per la
mobilitazione capillare di tutti i lavoratori e per il collegamento con questi in tutte
le occasioni in cui ciò è richiesto dal sindacato, in particolare durante le elezioni
per il rinnovo delle commissioni interne, che costituiscono tradizionalmente una delle
prove organizzative e propagandistiche più importanti per le associazioni di categoria.
Quanto ai problemi della contrattazione collettiva e in specie alla nuova politica
articolata gli organismi aziendali devono agire per diffondere e volgarizzare i «criteri
ispiratori dell’azione a livello aziendale espressi dagli organi deliberativi ed esecutivi»
[40]
confederali, studiando il modo
¶{p. 51}più efficace per
estendersi alla generalità dei lavoratori e programmando più in genere una loro pratica
applicazione. Occorre altresì che analizzino le situazioni sindacali esistenti sui
luoghi di lavoro, raccogliendo tutti gli elementi di fatto e le indicazioni tecniche
necessarie per impostare un’attività contrattuale aderente alla realtà aziendale. Nella
stessa prospettiva devono infine adoperarsi nella fase di attuazione della politica
contrattuale aziendale, attraverso l’organizzazione, ove necessario, delle opportune
iniziative di lotta: assumendo così e realizzando «la garanzia formale e sostanziale
della solidarietà dei lavoratori dell’azienda nel corso dell’azione sindacale ed in
particolare per la riuscita dello sciopero»
[41]
.
Note
[27] Così la relazione alla III Assemblea organizzativa del 1958, cit., pp. 44 e 119, aggiungendo peraltro significativamente che l’esclusività delle competenze della SAS deve confluire «attraverso questo, nel sindacato di categoria».
[28] Cfr., fra i tanti, già la delibera costitutiva dell’istituto del luglio 1954, più volte citata; e in generale i testi indicati nelle note 20 e 24.
[29] Relazione alla III Assemblea organizzativa, cit., p. 120.
[30] L’art. 36 dispone: «Sul piano aziendale possono costituirsi in accordo con i sindacati provinciali, sezioni aziendali. La sezione aziendale è composta dai lavoratori iscritti alla FIM nell’azienda ed eleggerà un proprio consiglio, composto da 5 a 15 membri, e prenderà le sue deliberazioni a maggioranza di voti. L’elezione del consiglio avverrà per votazione diretta e segreta da parte dell’assemblea dei soci. Il consiglio aziendale rimarrà in carica un anno e nominerà, d’intesa con il direttivo provinciale, un responsabile aziendale. I membri di commissione interna eletti nelle liste FIM fanno parte di diritto del Consiglio di azienda con voto deliberativo».
[31] Così lo schema di regolamento delle SAS approvato dalla III assemblea organizzativa, cit., p. 119 (e sostanzialmente confermato dalla delibera del Consiglio generale del 20-22 luglio 1958, in Documenti ufficiali, cit., p 186). Tale schema fu proposto come modello per tutte le organizzazioni di categoria.
[32] Analogamente lo schema di regolamento citato nella nota precedente.
[33] Così lo schema di regolamento citato, riferendosi apparentemente agli organi del sindacato provinciale di categoria. Si tratta naturalmente di un vincolo e di una responsabilità endo-associativa, cioè che riguarda il soggetto nella sua qualità di iscritto al sindacato e non di membro di CI. Quest’ultima posizione si fonda esclusivamente sull’elezione da parte dei lavoratori dell’azienda (anche non iscritti), conformemente alla natura dell’istituto, irriducibile alla posizione di organo o emanazione del sindacato. Su questa tematica della natura giuridica della CI in rapporto al sindacato, che, com’è noto, ha impegnato tradizionalmente la dottrina giuridica, vedi, per tutti, De Cristofaro, Funzione e poteri delle Commissioni interne, in «Rivista di diritto del lavoro», 1965, I, pp. 135 sgg.
[34] La loro validità, ad esempio, è riconfermata dalla FIM-CISL, ancora all’Assemblea organizzativa di Novara (1964), ove si prevede anche un generale obbligo dei commissari di CI di «relazionare costantemente gli organi direttivi della SAS e (di) seguirne le indicazioni» (così la mozione conclusiva); nello statuto e nel regolamento approvati al congresso di Brescia (1965), rispettivamente agli artt. 54 e 47, 50. il primo dei quali confermato al congresso del 1969. Norme simili non risultano presenti all’interno della CGIL, dove del resto il problema non risulta esplicitamente considerato in questa prospettiva.
[35] Cfr., ad esempio, oltre alle indicazioni della nota 20, le precisazioni di Storti al congresso confederale del 1959 (Atti, p. 55), e le tesi svolte alla III Assemblea organizzativa, cit., pp. 55 sgg., che, pur nella precisa riconferma delle posizioni teoriche tradizionali della CISL sul carattere subordinato della CI rispetto al sindacato, ribadiscono palesemente l’importanza cruciale dell’istituto per la stessa affermazione della politica della CISL e l’impegno organizzativo ed elettorale della confederazione per il suo controllo. Le posizioni confederali ridiventano peraltro univoche di fronte all’eventualità, più volte presentatasi a partire dagli anni ’50, di un riconoscimento legislativo delle CI. Esso avrebbe rischiato di frustrare definitivamente ogni speranza di ridimensionare i compiti dell’istituto, e di renderne più difficile l’inserimento in una prospettiva sindacale, quale ipotizzata dalla CISL. Per questi argomenti, inseriti nella più generale ostilità della CISL a interventi legislativi in materia sindacale, vedi, lo stesso dibattito al congresso del 1959 e, in sintesi, l’editoriale di «Politica sindacale», 1960, n. 4, p. 1 sgg.
[36] La necessità di maggiore chiarezza al riguardo, sia a livello programmatico sia soprattutto nella concreta politica sindacale, che di fatto subisce largamente la situazione esistente, è ribadita ritualmente nei documenti ufficiali e nei congressi: vedi ad esempio, al III congresso confederale del 1959, il documento della III Commissione sulla politica organizzativa (Atti, Roma, 1960, p. 312); al IV Congresso confederale del 1962), la relazione Storti (Atti, Roma, 1963, pp. 73, 91); e ancora al Congresso della FIM del 1965 (Atti, pp. 121, 154 sgg.).
[37] Così, con particolare chiarezza, la III Assemblea organizzativa, cit., p. 46.
[38] Ibidem.
[39] Anche le citazioni sopra riportate sono della III Assemblea organizzativa, rispettivamente pp. 46 sgg., 25, che peraltro non fa che ribadire, sul punto, le tesi già espresse dalla delibera istitutiva della SAS del luglio 1954, e quindi ampiamente riprese da tutti i documenti e dalla stampa ufficiale.
[40] Così Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica, cit., p. 72. Analogamente la mozione finale del primo convegno nazionale delle SAS e CI delle grandi industrie metalmeccaniche, in «Ragguaglio metallurgico», 1955, cit.; la relazione al II Congresso federale (1955), secondo cui il nuovo organismo dovrà servire a «trasferire gli indirizzi propri della nostra azione sindacale e salariale dai livelli dove... si formano sino alla base», in «Bollettino di studi e statistiche», 1955, cit., p. 12 nonché, più in generale, l’editoriale La politica salariale della CISL. La CGIL di fronte ai suoi errori, in «Bollettino di studi e statistiche», 1955, n. 11, pp. 406 sgg.
[41] Relazione alla III Assemblea organizzativa, cit., p. 49.