Tiziano Treu
Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c3
A volere approfondire il significato e gli aspetti più rilevanti del fallimento dell’istituto, (peraltro senza pretesa, dati i limiti della ricerca, di scoprirne a fondo le cause), il primo dato su cui occorre riflettere attiene alle deficienze rilevate nei vari momenti della sua attività interna, e in particolare al radicale depotenziamento dell’assemblea. È palese come questi tratti siano già sufficienti a inficiare il funzionamento dinamico del metodo associativo, su cui si basa tutta la concezione, non solo cislina, della struttura in esame, e la sua natura di organismo democratico autogovernantesi, che di tale concezione poteva costituire l’aspetto meno caduco. Essi segnano l’incapacità della sezione di provocare autonomamente quel confronto immediato fra la generalità degli iscritti sui problemi della loro condizione in azienda, che pure essa sola poteva condurre fra tutte le strutture sindacali, e a fortiori di esprimere la partecipazione organizzata degli stessi soci alla politica sindacale a tutti i livelli. Assumono rilievo, come si accennava, solo gli aspetti più ambigui dell’impostazione associativa dell’istituto, la quale serve così a sottolineare piuttosto i legami di dipendenza del gruppo aziendale dal sindacato esterno, che non l’autodeterminazione o l’omogeneità delle politiche attuate in azienda e contribuisce a ostacolare invece che a favorire
{p. 145}la dialettica fra iscritti e non iscritti [64]
. Le conseguenze, già rilevate, della inerzia associativa sul direttivo della sezione (scarso ricambio dei componenti, mancanza di controllo non meramente episodico dei soci sul loro operato, e della relativa responsabilità) lo avvicinano di fatto al tradizionale gruppo informale di attivisti slegato da ogni vincolo associativo con gli iscritti, o, ancora più chiaramente, al modello della Commissione interna, con cui ha spesso in comune il fondamento elettivo del mandato, anche su base diversa. Simili accostamenti sono sovente messi in risalto dagli stessi intervistati, sia pure con diversi gradi di consapevolezza; talora negando ogni significato sostanziale alla distinzione fra le diverse formule organizzative (quasi a voler eludere il problema per troppo lunga frustrazione); altre volte, e ad avviso di chi scrive con maggior lucidità, indicando nella prassi instauratasi il punto più debole delle nuove strutture direttive sindacali e il segno della loro scarsa capacità innovativa.
Lungi dal fornire uno strumento organizzativo-esecutivo alla base degli iscritti, da contrapporre alle forme tradizionali, esse ne riproducono infatti in sé i tratti più direttamente responsabili dell’illusorietà del sistema rappresentativo sindacale in azienda. Di questo riconfermano la sostanziale incapacità di esprimere un rapporto corretto fra vertice e base dell’organizzazione, nella misura in cui non favoriscono fra di esse un flusso normale di informazioni, e, al di là della «formale» parità fra la volontà del rappresentato e del rappresentante, mantengono una reale subordinazione del primo al secondo, o comunque una {p. 146}effettiva impossibilità di influenza di quello su questo [65]
. Di qui deriva la tendenza obiettiva di tali organi direttivi a porsi come gruppi oligarchici autolegittimantesi, appunto per consolidare la propria posizione nei riguardi delle altre strutture sindacali (anche se, come si vedrà, tale tendenza non ha di solito successo).
Le stesse ragioni finora menzionate rendono inadatte le sezioni sindacali anche a modificare per forza propria i modi tradizionali di conduzione della attività contrattuale in azienda. La loro inesistenza come centro di elaborazione associativa dei problemi sindacali pregiudica già in linea di principio la portata innovativa della politica contrattuale «vicina all’azienda» perseguita dalle organizzazioni metalmeccaniche, rendendola possibile, salvo l’intervento di fattori esterni quali verificatisi nel ’68-’69, solo nei termini caratteristici del passato: o come politica formalmente condotta dalla collettività aziendale, ma in realtà attuata in base a delega e in dipendenza di decisioni del sindacato territoriale, ovvero come contrattazione svolta da un gruppo direttivo aziendale, quale che sia, in modo incontrollato sia dalla base sia dalle organizzazioni esterne, secondo le peggiori esperienze di iniziativa contrattuale delle Commissioni interne. Ed è pure inevitabile che la persistenza dei vecchi modi di elaborazione contrattuale ostacoli la capacità delle strutture sindacali di rinnovare i contenuti della contrattazione, raccogliendo come proprie le indicazioni provenienti dalla generalità dei lavoratori e dagli iscritti. Con la conseguenza che vengono a mancare gli stimoli interni a un effettivo superamento della {p. 147}tradizionale impostazione deduttiva e standardizzata del sistema contrattuale, nonostante l’abbandono delle clausole di rinvio [66]
. Non a caso la scoperta e la prima attuazione di contenuti contrattuali diversi da quelli acquisiti da decenni, più direttamente incidenti sulla organizzazione del lavoro e sulla condizione operaia, si verificano appunto in coincidenza con le nuove forme organizzative di recente sviluppatesi, che portano, forse per la prima volta, i lavoratori a riflettere direttamente sulla loro posizione in fabbrica [67]
.
In realtà le caratteristiche così rilevate nel funzionamento delle sezioni non ne segnano solo l’inconsistenza come fattore di rinnovamento democratico dell’azione sindacale, ma forniscono altresì una prima, sia pur parziale, ragione del loro sostanziale insuccesso operativo. L’evanescenza degli elementi innovativi che dovevano essere propri dell’istituto rispetto alle strutture tradizionali, CI e sindacati provinciali, lo priva insieme del suo principale (o unico) punto di forza nei confronti di queste.
La mancanza di attività interna, specie assembleare, se per un verso svincola il gruppo direttivo da controlli e da responsabilità verso i soci, gli toglie però nel contempo una base autonoma di potere nei riguardi di {p. 148}ambedue gli istituti sindacali tradizionali e una effettiva legittimazione verso gli iscritti. Ciò vale a maggior ragione nei riguardi della generalità dei lavoratori, che non percepiscono alcuna sua incidenza nei loro confronti e spesso ne ignorano persino l’esistenza. Questo difetto di radicamento dell’organismo nei riguardi della sua base naturale non è d’altra parte compensato, ma anzi risulta accresciuto, dalla sua situazione funzionale, in quanto la tradizionale carenza di poteri sindacali effettivi gli impedisce di recuperare sul piano dei servizi resi quella fiducia e quel rapporto con i lavoratori, mancati sul piano della partecipazione. Per il coincidere di tale duplice ordine di elementi, l’organismo in questione e il suo direttivo vengono a trovarsi privi di ogni possibilità istituzionale, cioè non affidata alla mera iniziativa personale dei loro componenti, di porsi come centri catalizzatori o anche solo di riferimento per i dipendenti dell’azienda. Per le medesime ragioni essi sono collocati a priori in una situazione di inferiorità nei confronti degli istituti sindacali più consolidati, di cui riproducono tutti i fattori frenanti del dinamismo democratico, senza averne gli elementi di consistenza strutturale e funzionale: il mandato elettorale generale e unitario della CI, fonte di indubbio prestigio di fronte alla generalità dei lavoratori; la consolidata struttura istituzionale del sindacato territoriale e la forza derivantegli dai legami con la generale organizzazione dei lavoratori; nonché, infine, l’esercizio tradizionale, proprio di ambedue gli istituti, dei principali poteri di iniziativa sindacale e la gestione dei relativi risultati.
Non c’è da meravigliarsi che, con tali premesse, la tendenza del gruppo aziendale a riferirsi o all’uno o all’altro degli istituti preesistenti, per trovare un punto di appoggio alle proprie iniziative, risulti pressoché insormontabile, radicata com’è nella stessa configurazione dell’organismo. Il che peraltro contrasta palesemente con la capacità dell’istituto di superare il ruolo strumentale caratteristico della sua storia, per porsi come interlocutore primo dell’azienda e con la stessa possibilità dei gruppi direttivi di assestarsi su proprie posizioni di potere {p. 149}consolidato. D’altra parte un simile peso della tradizione non può essere rovesciato per il mero fatto della revisione teorica, pur radicale, promossa negli ultimi anni dai sindacati metalmeccanici. A ciò è di ostacolo, oltre al carattere relativamente recente di tale inversione di tendenza, che ne limita di per sé l’efficacia, l’inevitabile inerzia di tutte le istituzioni, anche delle meno consolidate.
Nei casi in esame le difficoltà di attuare praticamente il progettato cambiamento di politica organizzativa sono tanto maggiori, in quanto simile cambiamento comporta modifiche radicali (e quindi incontra l’inerzia) di strutture diverse, non solo per il pluralismo sindacale, ma all’interno della stessa organizzazione, e incide in molteplici situazioni acquisite, non tutte direttamente controllabili (così, ad esempio, quelle delle CI). La difficoltà di superare questi numerosi fattori frenanti si traduce in palesi esitazioni e ritardi della stessa azione organizzativa dei sindacati in questione, che pure sono fra i più convinti sostenitori delle nuove tendenze. Basti ricordare come la scelta di concentrare nella CI gli attivisti migliori, magari a rotazione, e l’impegno propagandistico di gran lunga maggiore per la loro elezione, non sia mai stata seriamente contrastata neppure dalla FIM, nonostante costituisse un presupposto indispensabile per ridimensionare l’istituto [68]
, e dare avvio effettivo al gruppo sindacale. Analogamente, al proposito di attribuire alle sezioni competenze contrattuali dirette non ha fatto riscontro un adeguato sforzo organizzativo per preparare tecnicamente i membri al
{p. 150}loro esercizio [69]
. Tale preparazione è stata generalmente sporadica e limitata a un rapido addestramento per lo svolgimento delle ristrette funzioni attribuite ai CTP, che per la paralisi di questi, non hanno avuto modo di esprimersi. La posizione di membro di CI è divenuta in tal modo anche l’unico tramite per acquisire l’esperienza e le conoscenze necessarie per la conduzione dell’azione contrattuale in azienda.
Note
[64] Non a caso queste insufficienze sono le prime ad essere rilevate dai più recenti dibattiti avviati all’interno dei metalmeccanici in ordine a tali forme tradizionali di presenza organizzata in azienda: «Le strutture precedenti o non erano sentite dai lavoratori come strutture loro (le SAS), oppure erano troppo «delegate» (le CI): in entrambi i casi nella loro formazione e nell’assunzione delle loro decisioni aveva un parere prevalente il sindacato in quanto organizzazione esterna» (così il documento su «L’azione rivendicativa della fabbrica e le strutture di base», n. 2, approvato alla III Assemblea organizzativa nazionale della FIM nel luglio 1970, riportato in appendice; ma con ammissioni analoghe vedi altri documenti dei metalmeccanici indicati oltre al n. 9).
[65] Così Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, cit., p. 625, riferendosi in genere all’impostazione tradizionale delle varie forme di presenza sindacale in azienda (compresa la CI). In questo rovesciamento sostanziale del rapporto rappresentante-rappresentato rispetto al modello teorico sta la manifestazione evidente di una crisi ben più generale dei sistemi di rappresentanza, e degli stessi strumenti associativi nella nostra società. Nel caso della organizzazione sindacale in fabbrica la denuncia di tale crisi si è espressa nella ricerca di forme organizzative nuove, che a differenza di altri casi, ove pure la caduta di vecchie strutture è stata parimenti o più drastica (si pensi alle organizzazioni studentesche tradizionali), sembrano in via di progressivo consolidamento (non sempre mantenendo peraltro le caratteristiche originarie: vedi oltre nn. 2 e 3 del cap. IV).
[66] Il superamento di tali clausole, pur rappresentando una decisiva affermazione di principio nei rapporti con la controparte (e di qui l’aspra contesa durante le contrattazioni nazionali dell’autunno ’69) può svuotarsi largamente di significato nell’effettiva prassi contrattuale, se ad esso non fa riscontro un analogo capovolgimento di logica politica all’interno delle strutture organizzative sindacali, che controllano e attuano la strategia contrattuale.
[67] Si tratta di una evoluzione ben nota nei suoi termini generali, di cui si comincia ad avere anche qualche iniziale verifica empirica. Si ricordino, in particolare, l’indagine condotta sulla contrattazione aziendale sviluppatasi nel corso del 1968 da Bianchi, Sindacati e impresa, cit., specialmente capp. II e III, e soprattutto, per la loro attinenza all’ambito della presente ricerca, le indicazioni contenute nella nota La contrattazione aziendale nella metalmeccanica milanese: 1967-1969, cit., pp. 21 sgg., da dove risultano emergere, sia pure ancora con cautela, le tendenze, poi rapidamente diffusesi nel 1969 e nel 1970, agli aumenti retributivi uguali per tutti, ai passaggi massicci di qualifica, con accentuazione della crisi da tempo avviata nelle tradizionali forme di classificazione del lavoro, ad affrontare nel merito i problemi dei ritmi e dell’ambiente di lavoro.
[68] Questa valorizzazione preminente della CI in termini umani e organizzativi, caratteristica in generale della nostra esperienza sindacale postbellica, risulta totalmente confermata nelle aziende considerate. Qualche raro tentativo (2-3 casi) di impiegare in prevalenza nella sezione sindacale gli attivisti di maggior prestigio sembra aver dato risultati scarsamente apprezzabili (anche per il suo recente avvio). L’esigenza di superare una simile situazione è quasi sempre sottolineata dagli intervistati, ma si ritiene difficilmente perseguibile, e per ragioni ben fondate, finché esistano strutture sindacali divise in azienda e fuori, e la commissione interna continui a permanere come fondamentale strumento di rappresentanza unitaria dei lavoratori e punto visibile di efficacia della stessa forza organizzativa sindacale. Non dissimile problema si ripresenta ora nei rapporti fra commissione interna e delegati (vedi oltre al n. 3 del cap. IV).
[69] Una preparazione specifica ad affrontare i temi della contrattazione aziendale risulta avviata fra gli attivisti delle sezioni in esame in maniera pressoché trascurabile, nonostante la esistenza di progetti in tal senso. Anche in questo caso le direttive generali circa il potenziamento delle responsabilità contrattuali in azienda manifestano ritardi nella loro strumentazione concreta.