Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c12
Considerando quello che abbiamo
detto finora, la prospettiva per le scuole è quella di cambiare la visione stessa di
curricolo, vale a dire dell’offerta di servizio che, nel caso
di queste organizzazioni, ha carattere formativo. Tuttavia il curricolo attualmente è
circoscritto solo alla definizione
¶{p. 222}degli oggetti del sapere (le
discipline di studio), dei modi per presentarli (la didattica), degli obiettivi e dei
traguardi da raggiungere e dalla loro valutazione. Ma in realtà
l’etimo di curricolo rimanda al latino
currere, che ha lo stesso
etimo di carro e carrettiera, per cui il significato originario
è quello di strada, sentiero, via. Il curricolo è un percorso, un
percorso di vita che implica una sua globalità. Per questo molti autori che si sono
interessati di teoria del curricolo ne danno una definizione assai ampia. Per Nisbet e
Entwistle occorre considerare «tutti indistintamente gli elementi o aspetti
dell’ambiente scolastico che possono influire sulla validità dell’apprendimento degli
alunni», per cui si può ritenere curricolo «ogni elemento dell’ambiente scolastico che
possa influire sull’istruzione»
[6]
. Scurati, ancor più chiaramente, scrive:
Il curricolo non si identifica con i contenuti in senso culturale dell’insegnamento (le tradizionali materie) ma comprende l’intera gamma delle risorse e contingenze educative; il curricolo, in ultima analisi, è la scuola in quanto esperienza vissuta dall’alunno in tutte le sue dimensioni e occasioni, per cui elaborare una visione curricolare equivale a costruire un’intera e compiuta teoria e pedagogia della scuola e dell’educazione [7] .
Questa visione è stata rivista e
ampliata dalle scuole Senza Zaino con la proposta di «approccio globale al curricolo»
[8]
, con il quale si intende che il curricolo è una modalità di dispiegarsi
dell’azione in cui sono coinvolti – per dirla con Bruno Latour
[9]
– elementi umani e non umani, in un cammino verso la realizzazione di
attività. Da un’altra prospettiva, l’approccio globale al curricolo stesso vede il
sistema delle attività
¶{p. 223}come il risultato pianificato più o meno intenzionalmente di
due fattori che vanno a intrecciarsi con due livelli (tab. 1). L’allineamento è opera di
soggetti umani – da considerarsi per l’appunto architetti delle scelte – che agiscono
all’interno di una data organizzazione. L’organizzazione nel nostro caso è la scuola e
gli architetti sono il dirigente scolastico e i docenti. Specificando meglio, i due
fattori sono costituiti da una parte dagli artefatti immateriali
(software) e dall’altra dagli artefatti materiali
(hardware) e così via. Mentre i due livelli vengono indicati
nella dimensione back e front. In una scuola
l’hardware sarà formato da architetture, spazi, arredi,
attrezzature e tecnologie, strumenti didattici, laboratori; mentre il
software comprenderà la vision, la
mission, gli obiettivi, i saperi, il sistema di valutazione, le
regole, i metodi e le strategie formative, le competenze incorporate dai docenti, dagli
allievi e così via. I due fattori inoltre sono collegati ai due livelli organizzativi
che caratterizzano il sistema delle attività: il livello front
riguarda la parte ¶{p. 224}direttamente produttiva dell’organizzazione
(l’aula e gli altri spazi formativi), il back indica tutto quanto
funge da supporto, vale a dire tutte quelle attività come i servizi dei custodi,
l’azione del dirigente e dei docenti per prepararsi e coordinare, l’impegno del
personale amministrativo (le attività non di aula).
Fattore n. 1
artefatti materiali (hardware)
esteriorità |
locali, armadi, tavoli, sedie,
lavagna, smartboard,
computer, tablet,
libri, strumenti didattici, attrezzature di laboratorio ecc., ovvero
tutto quello che riguarda spazi e materiali relativi ad aule e
locali formativi |
Livello n. 1
front
l’aula e altri spazi formativi della scuola |
locali per riunioni, computer,
documenti, archivi, scrivanie ecc., ovvero tutto quello che riguarda
spazi e materiali relativi ai locali di supporto |
Livello n. 2
back
la
scuola (plesso, sede, istituto) |
|
Fattore n. 2
artefatti immateriali (software)
interiorità |
idee che circolano, preparazione
dei docenti, metodi di insegnamento praticati, conoscenze degli
alunni, modi di realizzare la valutazione, obiettivi, contenuti
delle materie, pratiche di lavoro degli alunni |
Livello n. 1
front
l’aula e altri spazi formativi della scuola |
idee, sistemi di
valutazione, regole, formazione dei docenti, metodi di esercizio
della leadership e del
management, modi di funzionare
dell’amministrazione |
Livello n. 2
back
la
scuola (plesso, sede, istituto) |
|
Fonte: M. Orsi,
L’ora di lezione non basta, Rimini, Maggioli,
2015. |
L’allineamento dei fattori ai due
livelli si costituisce, pertanto, come progettazione dell’ambiente formativo, che va al
di là della tradizionale progettazione didattica, la quale – come detto – si ferma alla
definizione di obiettivi, contenuti e, in qualche caso, dei metodi, senza peraltro
considerare il fatto che la progettazione stessa dovrebbe invece considerare tutti gli
ingredienti parte di un contesto, alla stregua di quanto accade in organizzazioni come
il supermercato
[10]
. Si tratta di una visione che appunto pone attenzione al sistema delle
attività. La sfida, in definitiva, è trattare lo spazio non in modo separato, ma in
un’ottica globale. Bruni e Gherardi pongono la questione dell’approccio globale al
curricolo, avendo presente il fenomeno organizzativo tout-court.
Per questi autori è necessario assumere che:
il lavoro sia un’attività situata entro un contesto materiale e culturale (i cui confini sono tracciati dalle attività stesse che stabiliscono connessione in azione) e mediata dal corpo, dagli oggetti e dalle tecnologie, dall’insieme di regole costitutive e costituenti tale contesto, e dalle pratiche discorsive che rappresentano e costituiscono le relazioni [11] .
L’approccio globale al curricolo va
però visto anche in una prospettiva dinamica, diremmo storica, e qui è utile l’impostazione suggerita da K. Weick, il
quale non enfatizza tanto l’organizzazione, quanto l’organizzare
[12]
. Organizzare non è per l’appunto un nome ma un verbo,
pertanto ¶{p. 225}siamo portati a guardare tanto all’agire quanto alla
storia dell’organizzazione, riscoprendo il suo passato attraverso le pratiche narrative
e di storytelling. Ciò è molto importante perché qualsiasi attività
si situa non solo nello spazio, ma anche nel
tempo incrociando 4 dimensioni: le 3 dello spazio con quella
del tempo, vale a dire gli aspetti orizzontali (spaziali) con
quelli verticali (temporali). Di qui la necessità di immaginare –
come del resto la nuova fisica einsteiniana suggerisce – l’organizzazione situata nello
spazio-tempo.
4. Lo spazio dimenticato e le cose
Tuttavia merita una riflessione
particolare la questione dello spazio in quanto elemento che, in particolare negli
ambienti scolastici, è stato dimenticato. Probabilmente il primo a rendersene conto è
stato John Dewey, il quale già alla fine dell’Ottocento si esprimeva in questi termini:
[...] se rievochiamo alla mente un’aula scolastica ordinaria, con le sue file di banchi disposti in ordine geometrico, addossati l’uno all’altro in modo da lasciare meno spazio possibile al movimento degli alunni, banchi quasi tutti delle medesime dimensioni, con poco spazio che basta a contenere i libri, matite e carta, con l’aggiunta di un tavolo, di qualche seggiola e le pareti nude o adornate con il minor numero possibile di quadri murali [...]. Tutto è fatto «per ascoltare» [...] e l’attitudine ad ascoltare significa, comparativamente parlando, passività, assorbimento [...] [13] .
Di oggetti, spazi, cose, invece non
sembra tener conto la visione di sistema che, pur con grande profondità, propone Edgar
Morin. Scrive il filosofo e sociologo francese:
L’organizzazione ricorsiva è quell’organizzazione i cui effetti e i cui prodotti sono necessari per la sua stessa causazione e per la sua stessa produzione. [...] Una società è prodotta dalle intera¶{p. 226}zioni fra individui, ma queste interazioni producono una totalità organizzatrice che retroagisce sugli individui per co-produrli quali individui umani [14] .
A differenza di Latour, che vede un
sistema generato dall’interazione di soggetti umani e soggetti non-umani, Morin invece
sembra rimanere dentro l’interazione tra i soli soggetti umani dimenticando lo spazio
dei corpi, delle cose, della materia. Ciò rischia di essere una visione idealistica che
ancora permane nella società e che è stata fatta propria, sin dal suo sorgere, dalla
scuola. Infatti, non contano gli oggetti, non hanno valore le cose: la materia e i corpi
possono essere tranquillamente dimenticati, si tratta solo di dispensare o co-costruire
il sapere, dove implicati sono solo gli individui visti fuori dai contesti. Non è allora
sufficiente parlare di una testa ben fatta contrapponendola a una
testa ben piena
[15]
, poiché si rimane entro una concezione mentalistica e cerebrale
dell’insegnamento e dell’apprendimento. In questa visione lo spazio perde di
consistenza, mentre solo il tempo sembra predominare. Ma cos’è il tempo senza le cose,
senza i ricordi che si agganciano ai contesti che re-immaginiamo? Sono i contesti dai
contorni materiali definiti ciò di cui possiamo fare memoria, perché ritornano alla
mente come volti di corpi, ambienti particolari, oggetti portatori di affetti, colori e
odori. Il ricordo si nutre di immagini visive e finanche olfattive, che dicono sempre di
un contesto spazio-temporale. Qui le puntualizzazioni caustiche di Byung-Chul Han
risultano significative:
L’ordine terreno, l’ordine planetario, è costituito da cose che assumono una forma durevole e creano un ambiente stabile, abitabile. Sono le «cose del mondo» di cui parla Hannah Arendt e alle quali spetta il compito «di stabilizzare la vita umana» offrendole un appiglio [...] Le cose sono i punti fermi dell’esistenza, ma oggi le informazioni le hanno completamente insabbiate. Le¶{p. 227}informazioni non sono certo punti fermi dell’esistenza. [...] Si fondano sul brivido della sorpresa. Basta questa loro fuggevolezza a destabilizzare la vita [16] .
Note
[6] C. Scurati, Un curricolo nella scuola elementare, Brescia, La Scuola, 1977, p. 20.
[7] Ibidem, p. 21.
[8] Cfr. M. Orsi, A scuola senza zaino, Trento, Erickson, 2006 (1a ed.); M. Orsi, G. Merotoi, C. Natali e M.B. Orsi, A scuola senza zaino, Trento, Erickson, 2016 (2a ed.).
[9] B. Latour, The Powers of Association, in J. Law (a cura di), Power, Action and Belief: A New Sociology of Knowledge?, London, Routledge and Kegan Paul, 1986.
[10] M.B. Ligorio e C. Pontecorvo, La scuola come contesto. Prospettive psicologico-culturali, Roma, Carocci, 2010.
[11] A. Bruni e S. Gherardi, Studiare le pratiche lavorative, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 18.
[12] K. Weick, Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi, Torino, ISEDI, 1993.
[13] J. Dewey, Scuola e società, Firenze, La Nuova Italia, 1949 (ed. or. 1899), p. 22.
[14] E. Morin, Le vie della complessità, in G. Bocchi e M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Milano, Feltrinelli, 1985, pp. 52-53.
[15] E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffaello Cortina, 2000.
[16] B.C. Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Torino, Einaudi, 2022, p. 6.