Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/p3
Introduzione La dispersione scolastica: un problema ineludibile e un'occasione straordinaria
Nel corso del tempo e da oltre un
secolo, tutti i sistemi scolastici dei paesi cosiddetti avanzati hanno cercato di
fronteggiare l’abbandono precoce della scuola e continuano a investire risorse ingenti per
contrastare la dispersione scolastica, oggi intesa come l’abbandono della scuola prima del
conseguimento del titolo di scuola secondaria di secondo grado o di una qualifica
professionale equivalente. Anche l’Italia non fa eccezione: sono state impiegate
considerevoli energie e risorse nel corso degli ultimi decenni. Sebbene esistano ancora
problemi irrisolti, i successi ottenuti sono notevoli, con una riduzione significativa del
fenomeno rispetto al passato. Non si deve infatti dimenticare che, nonostante le difficoltà
derivanti da definizioni di dispersione scolastica che sono mutate nel tempo, la percentuale
di giovani che non raggiungeva il diploma di scuola secondaria di secondo grado era circa il
37% nel 1992, per passare a circa il 25% all’inizio degli anni Duemila e giungere
nell’ultima rilevazione disponibile (2022) all’11,5%. Inoltre, in base ai dati INVALSI e del
Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) si può supporre che il dato del 2023 vedrà un
ulteriore calo della dispersione scolastica, tanto da far ritenere raggiungibile il
traguardo del 2026 posto al 10,2%.
Tuttavia, le trasformazioni culturali,
sociali, economiche e tecnologiche della società hanno aggiunto nuove dimensioni al problema
della dispersione scolastica. Non si tratta più soltanto di prevenire l’abbandono precoce
della scuola, ma di affrontare un fenomeno molto più complesso e sfuggente. È ormai evidente
che il contrasto alla dispersione scolastica oggi coinvolga diversi piani. Innanzitutto, c’è
la dispersione cosiddetta esplicita, ossia la quota di giovani che lasciano la scuola senza
conseguire un titolo di studio secondario di secondo grado. Ma un paese realmente avanzato
non può ¶{p. 14}accontentarsi di un traguardo così parziale, soprattutto in
quei sistemi dove il titolo di studio ha valore legale. In questi casi esiste sempre il
pericolo che il contrasto alla dispersione scolastica si realizzi anche attraverso un
pericoloso processo di abbassamento dei traguardi di apprendimento perseguiti, spostando la
lotta alla dispersione scolastica dalla sua sede propria, ossia l’allargamento delle quote
di popolazione che posseggono un’istruzione adeguata, a quella della focalizzazione
sull’indicatore del fenomeno, anziché sul problema che si vuole cercare di risolvere.
Si rende quindi necessario un
allargamento della prospettiva di azione e il contrasto alla dispersione scolastica si
realizza attraverso tre livelli, gerarchicamente ordinati rispetto alla loro urgenza, ma
fortemente connessi e correlati tra loro da relazioni non solo lineari e unidirezionali:
a) la lotta contro
l’abbandono precoce della scuola (dispersione scolastica esplicita);
b) la riduzione
della quota di giovani che terminano il loro percorso scolastico, ma che non posseggono le
competenze di base attese alla fine della scuola secondaria di secondo grado (dispersione
scolastica implicita);
c) il contenimento
della povertà educativa, intesa come la condizione di fragilità educativo-culturale della
popolazione, indipendentemente dal titolo di studio posseduto
[1]
.
Queste tre dimensioni descrivono un
fenomeno complesso che possiamo chiamare, più in generale, fragilità
educativa. Lo studio di questa fragilità pone problemi metodologici e
analitici che non hanno ancora trovato una sistemazione definitiva e, certamente, serve
ancora molta ricerca per definire un piano rigoroso e multidisciplinare per descrivere in
modo appropriato e realmente informativo la fragilità educativa. Tuttavia, è evidente la
necessità di una riflessione profonda, collettiva e pubblica, in primo luogo pedagogica,
¶{p. 15}per trovare soluzioni adeguate e superare impliciti pericolosi che
talvolta vanificano l’efficacia delle azioni intraprese, anche se con le migliori
intenzioni.
L’individuazione delle cause della
fragilità educativa è molto complessa e non può essere circoscritta a una sorta di
determinismo sociale che, nei fatti, porta a un’accettazione implicita dell’insuccesso
scolastico ed educativo. D’altro canto, è però utopistico pensare di poter sconfiggere
totalmente la fragilità educativa, almeno nel medio periodo, proprio perché le sue
determinanti sociali rappresentano un pesante fardello sulle spalle della scuola.
Anche la transizione digitale può
rappresentare una straordinaria opportunità per affrontare la fragilità educativa,
soprattutto se la digitalizzazione dell’intera società che stiamo vivendo si tradurrà in un
ripensamento adeguato dell’azione pedagogica ed educativa che la società esercita attraverso
il suo sistema scolastico.
Infine, ma non da ultimo, la
trasformazione demografica delle società mature richiede un ripensamento dell’educazione. Se
da un lato, il calo del numero dei giovani è un processo non modificabile nei prossimi
trenta-quarant’anni, dall’altro, le scienze dell’educazione devono trovare soluzioni
sostenibili e realizzabili per evitare che i giovani di domani si disperdano o conseguano
una preparazione inadeguata.
In un quadro così complesso, il ruolo
della ricerca è fondamentale. Essa ha il compito di proporre soluzioni, di illustrare
scenari alternativi e di frequentare gli spazi, a volte scomodi e difficili, delle
innovazioni praticabili, resistendo alla tentazione della critica sterile e impegnandosi
invece a elaborare proposte pedagogiche, didattiche e metodologiche realistiche e fattibili
sul piano operativo, economico e sociale. Questa è una sfida culturale complessa e
impegnativa. È necessario superare gli steccati che talvolta fungono da alibi per evitare di
cimentarsi in campi sconosciuti e dove è più facile collezionare insuccessi anziché esiti
positivi. Serve l’impegno di tutti per immaginare una scuola capace di rispondere alle
esigenze del singolo, senza perdere di vista la dimensione collettiva dell’istruzione che
rende un insieme di individui una società coesa, equilibrata e
responsabile.¶{p. 16}
Oggi, si parla spesso di dispersione
scolastica esplicita per riferirsi a coloro che abbandonano la scuola prima di conseguire un
diploma o una qualifica di scuola secondaria di secondo grado. A livello di Unione europea,
i dispersi espliciti sono definiti come Early Leavers from
Education and Training (ELET), cioè i giovani tra i 18 e i 24 anni che non
sono inseriti in alcun percorso formativo e non hanno ottenuto un diploma (o una qualifica)
di scuola secondaria di secondo grado
[2]
. Nel 2022, la percentuale di ELET in Italia si attesta all’11,5%, pari a circa
465.000 giovani, con un miglioramento rispetto al 2021 (12,7%)
[3]
. Inoltre, la dispersione scolastica esplicita colpisce maggiormente i ragazzi
(13,6%) rispetto alle ragazze (9,1%), e le regioni del Mezzogiorno (15,1%) rispetto a quelle
del Centro (8,2%) e del Nord (9,9%).
Già questi pochi dati dovrebbero
indurre a una prima riflessione. L’eterogeneità del fenomeno richiede azioni molto diverse
tra di loro, in grado di supportare le diverse situazioni in base alla loro specificità. Se
per alcuni aspetti ciò è molto semplice da accettare, per esempio come nel caso dei divari
territoriali, altri tipi di differenze potrebbero incontrare delle resistenze culturali e di
visione di non trascurabile rilevanza, come per esempio le differenze di genere. Per
limitarsi all’ambito scolastico, il dibattito sulle differenze tra le ragazze e i ragazzi
sembra del tutto focalizzato sugli inaccettabili svantaggi di cui ancora oggi soffrono le
ragazze, senza tenere però in debito conto che esiste anche una questione di genere al
maschile nella sfera della fragilità educativa che vede i maschi in condizione di maggiore
svantaggio rispetto alle femmine. Ancora una volta serve un’apertura mentale per evitare il
quasi automatico innalzamento di barriere ideologiche che impediscono di comprendere i
fenomeni, causando talvolta il loro perpetuarsi o il loro
aggravamento.¶{p. 17}
Parallelamente alla dispersione
scolastica esplicita, è fondamentale affrontare anche la cosiddetta dispersione scolastica
implicita. Essa riguarda quei giovani che, pur conseguendo il diploma di scuola secondaria
di secondo grado, non raggiungono i livelli minimi di competenze previsti. Questa forma di
dispersione è meno visibile, ma altrettanto preoccupante, poiché implica che molti studenti
e molte studentesse terminano il percorso scolastico senza aver acquisito le competenze
necessarie per affrontare le sfide del mondo del lavoro e della vita adulta.
Il livello delle competenze di base di
coloro che conseguono una qualifica o un diploma di scuola secondaria di secondo grado è un
tema dibattuto da tempo in ambito scientifico e accademico. Nonostante le numerose ricerche
condotte, non è stato ancora raggiunto un consenso sulla misurazione delle competenze di
base, né tantomeno sulle cause che determinano livelli inadeguati di queste competenze
[4]
. Tuttavia, la misurazione e il monitoraggio di questo fenomeno sono urgenti e
non possono essere ulteriormente rimandati, sia dal punto di vista operativo sia teorico e
metodologico. Una riflessione approfondita è necessaria, coinvolgendo non solo la pedagogia,
ma anche il diritto e le scienze politiche, la sociologia, l’economia e la statistica.
Attraverso i dati PISA e i dati INVALSI
è oggi possibile effettuare una stima, per quanto provvisoria e non definitiva, della
dispersione scolastica implicita
[5]
. I risultati di queste rilevazioni evidenziano che una parte significativa degli
studenti, l’8,7% nel 2023, ottiene il diploma senza
¶{p. 18}aver raggiunto i
livelli minimi di competenze previsti. Si tratta quindi di un fenomeno preoccupante perché
implica che molti giovani non sono adeguatamente preparati per affrontare le sfide del mondo
del lavoro e della vita adulta che li attende. A questo aspetto, si aggiunge la riduzione
rilevante nel tempo di allievi e di allieve che raggiungono risultati di elevato livello.
Note
[1] Eurostat, Early Leavers from Education and Training, 2023, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Early_leavers_from_education_and_training; O. Giancola e L. Salmieri, La povertà educativa in Italia, Roma, Carocci, 2023; R. Ricci, La dispersione scolastica e la povertà educativa, in «Nuova Secondaria», 2, 2023, pp. 124-134.
[2] Eurostat, Early Leavers from Education and Training, cit.
[3] Il valore dell’indicatore ELET 2023 è stimato in calo rispetto a quello del 2022.
[4] D. Checchi, Povertà ed istruzione: alcune riflessioni ed una proposta di indicatori, in «Politica Economica», 14, 2, 1998, pp. 245-282; T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana: dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, Laterza, 2014; Giancola e Salmieri, La povertà educativa in Italia, cit.
[5] European Commission, Directorate-General for Education, Youth, Sport and Culture, The Twin Challenge of Equity and Excellence in Basic Skills in the EU – An EU Comparative Analysis of the PISA 2022 Results, Publications Office of the European Union, 2024, https://data.europa.eu/doi/10.2766/881521; R. Ricci, La dispersione scolastica: un concetto da approfondire, in «Dirigenti Scuola», 41, 2023, pp. 14-33.