Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c7
Capitolo settimo
Uno sguardo pedagogico alla dispersione
scolasticadi Francesco Magni, ricercatore di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi di Bergamo. In questo contributo si riprendono e si ampliano alcune riflessioni già anticipate nell’Editoriale della rivista «Dirigenti Scuola», 42, 2023 (T. Agasisti e F. Magni, La dispersione scolastica come prima emergenza educativa, pp. 7-13)
Abstract
Il capitolo evidenzia come il contrasto alla dispersione scolastica sia per
l’Italia una questione emergenziale: in questa misura si affrontano i possibili
interventi da mettere in atto. Discreto spazio viene dato all’ambito pedagogico,
attraverso l’analisi sia dell’emarginazione di cui soffre chi “si perde per strada”
e sia del cosiddetto fallimento educativo da parte
dell’insegnante/educatore/formatore. Si analizzano poi i costi che la dispersione
scolastica genera sia sul soggetto stesso sia sulla società nel suo complesso:
vengono considerati i profili dei NEET e degli hikikomori, e il
crescente individualismo post-pandemico. Infine, il capitolo sottolinea l’importanza
della ricerca consapevole dei talenti che ciascuna persona ha e il bisogno di
investimento nei servizi educativi dell’infanzia, citando esempi virtuosi, come il
programma City Connects statunitense, che mira ad aumentare le
collaborazioni tra istituzioni scolastiche ed enti socioterritoriali.
1. Una premessa
Il tema della dispersione scolastica
occupa da tempo un posto di primo piano nei documenti delle istituzioni europee, così
come nel dibattito nazionale e internazionale tra gli esperti dei sistemi educativi
[1]
.
In Italia tale fenomeno, pur con
sensibili miglioramenti a livello percentuale nel corso dell’ultimo decennio, rimane
particolarmente grave, rientrando così a pieno titolo tra le grandi questioni
emergenziali del nostro paese
[2]
.
Senza dover qui ripercorrere tutti i
numeri e le statistiche che forniscono un quadro preciso e drammatico della situazione
italiana, con notevoli differenze tra condizioni socioeconomiche, regioni e territori,
basta richiamare il dato complessivo di una dispersione esplicita
(drop out) che si attesta a livello nazionale nel 2022
all’11,5% e di una disper¶{p. 138}sione implicita
pari all’8,7% nel 2023. Dispersione implicita che rappresenta per l’INVALSI quella quota
di studenti che, pur conseguendo il diploma di scuola secondaria di secondo grado, non
raggiungono i livelli di adeguatezza in nessuna delle quattro prove standardizzate
(Italiano, Matematica, Inglese-lettura e Inglese-ascolto). Una situazione che, a ben
vedere, rende i livelli di apprendimento di questi studenti «più simili a quelli attesi
al termine della scuola secondaria di primo grado e, da questo punto di vista, risultano
in una situazione molto simile a coloro che la scuola l’hanno lasciata anzitempo»
[3]
. Non esiste dunque solo una ancor troppo alta percentuale di studenti che
abbandona precocemente la scuola, ma c’è anche una quota di studenti per i quali la
frequenza e la conclusione del secondo ciclo di istruzione è di fatto in gran parte
inutile o scarsamente efficace in termini di risultati di apprendimento. Una situazione
che appare perciò non più tollerabile per un paese che non si rassegna a un lento
declino e che, invece, aspira a poter giocare ancora un qualche ruolo nello scenario
mondiale sotto il profilo dell’innovazione, della cultura, della formazione, della
crescita e della creatività di ogni singolo giovane.
2. Ragioni pedagogiche e costituzionali
Davanti a un’emergenza di simili
proporzioni, verrebbe subito da chiedersi che cosa poter fare. Se la «casa brucia»,
occorre certamente chiamare al più presto soccorsi per domare le fiamme e spegnere
l’incendio. Ma prima di rispondere alla domanda su come contrastare
questo fenomeno, è forse importante provare a riflettere brevemente anche sul
che cosa abbiamo di fronte e sul perché
impegnarsi in una simile sfida che appare a ben vedere «titanica».
La prima ragione è di natura
squisitamente pedagogica: ogni studente che «si perde per strada», che «cade fuori»
(drop out) e si trova in una situazione di fatto da
«emar¶{p. 139}ginato» da quel contesto sociale che per i suoi coetanei
rappresenta invece la quotidianità, rappresenta innanzitutto un fallimento educativo che
chiama in causa la ragione stessa dell’opera di ogni insegnante/educatore/formatore. Un
sistema di istruzione e formazione che fallisse in questo primario compito, e con le
proporzioni sopra richiamate, dovrebbe concentrare prioritariamente le sue energie sul
contrasto a questo fenomeno, come d’altronde richiamava già don Lorenzo Milani con una
formula tanto perentoria quanto efficace nella sua celebre Lettera:
«la scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde».
Uno studente che non riuscisse a
mettere pienamente a frutto i propri talenti sarebbe un grave danno innanzitutto per sé
stesso. Certo la questione dei talenti personali e della loro messa a frutto è complessa
[4]
: essa è frutto, oltre che dei doni che ciascuno riceve in sorte per natura,
storia e contesto socioculturale, della volontà e dell’impegno di ciascuno nel
coltivarli, esercitarli e fortificali in ogni circostanza. È però indubbio che vi sia in
ciascuno un’aspirazione al sentirsi utili, all’eccellenza, in fondo al compimento di sé,
che trascende ogni riconoscimento di carattere meritocratico.
Ma nondimeno la questione del «non
spreco» delle proprie doti e talenti riguarda anche la società nel suo complesso. Emerge
qui in tutta la sua evidenza il valore sociale e «pubblico» di iniziative volte al
contrasto della dispersione scolastica. Se infatti rileggiamo alcuni articoli della
nostra Costituzione, fondata sul principio personalista di cui all’art. 2, troviamo una
chiara enunciazione volta si direbbe oggi all’empowerment dei
talenti e delle potenzialità di ogni singola persona. Particolarmente significativo il
combinato disposto rappresentato dall’art. 3, secondo comma, laddove si afferma
solennemente che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale, che, ¶{p. 140}limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» unito all’art. 34 che
accanto alla previsione di una scuola «aperta a tutti» prevede al terzo comma che «i
capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più
alti degli studi».
È dunque un preciso dovere
costituzionale che impegna tutti gli enti della Repubblica quello di contrastare la
dispersione dei talenti e la mancata «fioritura» delle giovani generazioni sotto il
profilo culturale, sociale e professionale. Un tema che evidentemente assume ancora
maggior urgenza in un periodo storico contrassegnato per il nostro paese da un gelido
inverno demografico.
3. I «costi» della dispersione
Accanto a queste ragioni pedagogiche
e costituzionali, si può affiancare un terzo ordine di considerazioni, legate per lo più
alle conseguenze del fenomeno dispersivo, ma non per questo del tutto trascurabili. Può
forse sembrare «anti-pedagogico» soffermarsi sui costi che ogni singolo drop
out genera per sé e per la società nel suo complesso. L’educazione,
infatti, non può ridursi a un’analisi di costi/benefici avendo a che fare
strutturalmente con il rischio del fallimento nel delicato rapporto educatore/educando.
Cionondimeno, di fronte all’inerzia che tante volte si registra attorno a questi temi –
fatte salve le consuete retoriche parole di circostanza – appare utile provare a mettere
in fila i costi, diretti e indiretti, di tale fenomeno, anche sulla scia, pur con tutte
le differenze tra contesto universitario anglosassone e quello italiano, di alcuni studi
condotti da economisti dell’educazione soprattutto in ambito statunitense come quelli di
Henry M. Levin del Teachers College della Columbia University
[5]
. Ogni adolescente che abbandona la ¶{p. 141}scuola porta con
sé innanzitutto il costo di un investimento nei precedenti anni di istruzione che la
collettività ha in qualche misura sostenuto – quantomeno con il gettito fiscale – e che
non trova completamento.
Quindi vi sono le conseguenti
difficoltà in termini di possibilità occupazionali, rilevate anche dai dati Eurostat già
richiamati, con aumento delle percentuali di NEET (Not in Education,
Employment or Training) e disoccupazione giovanile: una persona che non è
in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, né di una qualifica o un
diploma professionale avrà maggiori difficoltà a entrare stabilmente e con soddisfazione
nel mercato del lavoro. Una situazione che si è ulteriormente aggravata con il progresso
tecnologico che investe tutti gli ambiti professionali e che richiede lavoratori dotati
di adeguate competenze.
La situazione di giovani che non
studiano né lavorano può poi essere con molta facilità terreno fertile per situazioni di
esclusione sociale con fenomeni di autoisolamento come quelli degli
hikikomori, passando per condizioni depressive e patologie di
fragilità psicologiche, in aumento soprattutto dopo la pandemia e che sembrano
coinvolgere in misura rilevante la c.d. «Gen Z» o dei c.d. «nativi digitali», cioè i
nati tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e
¶{p. 142}la
prima decade del nuovo millennio
[6]
. Situazioni che, nei casi più gravi, hanno anche un certo impatto sui
sistemi sociosanitari.
Note
[1] Cfr. L. Van Praag, W. Nouwen, R. Van Caudenberg, N. Clycq e C. Timmerman, Comparative Perspectives on Early School Leaving in the European Union, London, Routledge, 2018. Per una recente rassegna della letteratura scientifica in tema si segnala anche R. Biagioli, M. Baldini e M.G. Proli, La dispersione scolastica come fenomeno endemico: ricerca sullo stato dell’arte della letteratura in Italia e in Europa, in «Formazione & Insegnamento», XX, 3, 2022, pp. 91-102.
[2] Per un quadro sintetico di analisi dei dati sulla dispersione scolastica in Europa si rimanda a Eurostat, Early Leavers from Education and Training. Eurostat Statistics Explained, 2022, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Early_leavers_from_education_and_training#:~:text=While%20in%20the%20EU%20the,in%202011%20to%203.5%20pp.
[3] R. Ricci, La dispersione scolastica: un concetto da approfondire, in «Dirigenti Scuola», 42, 2023, pp. 14-33, qui a p. 23.
[4] Per un approfondimento si rimanda a G. Bertagna, Dal punto di vista della pedagogia: ha ancora senso parlare di «meritocrazia»?, in S. Soresi (a cura di), L’orientamento non è più quello di una volta. Riflessioni e strumenti per prendersi cura del futuro, Roma, Edizioni Studium, 2021, pp. 145-181.
[5] Il primo documento da considerare è lo studio del 1972 redatto da Levin su incarico del Congresso degli Stati Uniti d’America: H.M. Levin, The Costs to the Nation of Inadequate Education: A Report for the Select Committee on Equal Educational Opportunity, Washington, DC, U.S. Government Printing Office, 1972, https://files.eric.ed.gov/fulltext/ED064437.pdf. Si vedano poi dello stesso autore anche i più recenti approfondimenti: H.M. Levin, C. Belfield, F. Hollands, A.B. Bowden, H. Cheng, R. Shand e B. Hanisch-Cerda, Cost-effectiveness Analysis of Interventions That Improve High School Completion, Center for Benefit-Cost Studies of Education, New York, Teachers College, Columbia University, 2012, http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.437.742&rep=rep1&type=pdf; H.M. Levin, C. Beldfield, P. Muennig e C. Rouse, The Costs and Benefits of an Excellent Education for All of America’s Children, New York, Teachers College, Columbia University, 2007, https://academiccommons.columbia.edu/catalog/ac:204241. Per una rassegna degli studi in tema si rinvia a M. Gitschthaler e E. Nairz-Wirth, The Individual and Economic Costs of Early School Leaving, in Van Praag, Nouwen, Van Caudenberg, Clycq e Timmerman, Comparative Perspectives on Early School Leaving in the European Union, cit., pp. 61-74.
[6] Sul tema si veda il recente lavoro dello psicologo sociale J. Haidt, The Anxious Generation. How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness, London, Penguin, 2024.