Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c18
Gli enti gestori di questi nuovi servizi
residenziali potrebbero e dovrebbero essere sfidati (e messi nella condizione di farlo) a
utilizzare risorse e competenze a promuovere l’inclusione, ovvero alla partecipazione alla
¶{p. 445}vita sociale al di fuori della struttura, garantendo la continuità
di relazioni e di legami con familiari e persone significative del proprio contesto di
provenienza e la partecipazione alla vita sociale e la relazione con persone diverse da
quelle che vivono e lavorano nella struttura.
Ma per raggiungere questo obiettivo
prima e oltre che di nuove regole c’è bisogno di coinvolgere una nuova leva di operatori
dotati di preparazione e formazione, sia in ambito sanitario e assistenziale che in quello
relazionale, e quindi della capacità di ascolto e comprensione dei desideri e preferenze
delle persone, in particolare di quelle che richiedono maggior sostegno proprio nell’area
della comunicazione, dell’elaborazione e dell’autorappresentanza.
Un requisito non di poco conto, data
l’attuale difficoltà di reperimento di operatori sia sociali che socio-sanitari, anche nel
settore della disabilità. Una «crisi vocazionale» che ha sicuramente a che fare con
questioni di inquadramento professionale, economiche e di prospettive di carriera ma forse
anche con una difficoltà a dare un senso al proprio agire professionale all’interno di
contesti sempre meno adeguati ai diritti e alle esigenze delle persone con disabilità.
Operatori che potrebbero essere protagonisti di una rinascita del valore del loro essere
chiamati a dare voce, attraverso l’ascolto e la condivisione, all’espressione
dell’individualità delle persone che vivono nei servizi residenziali (portatrici di
aspirazioni, desideri, diritti e potenzialità oltre che di diagnosi e bisogni
assistenziali), favorendo e accompagnando la possibilità per ognuno di loro di sentirsi
appartenenti al contesto sociale, in quanto cittadini, portando la propria partecipazione e
contributo.