Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/a2
Mal combinandosi, a prima vista,
l’inserimento funzionale del lavoratore nell’impresa, con il compito difensivo e
rivendicativo del sindacato, quest’ultimo giungeva a riguardare con sospetto e
diffidenza l’evoluzione sociale dell’impresa e il generale diffondersi di nuove
tecniche per il miglioramento delle «relazioni umane». Sospetto e diffidenza
peraltro giustificati dal modo
¶{p. 214}unilaterale con cui da parte
dell’impresa molte volte si chiamavano i lavoratori ad assumere un nuovo
atteggiamento verso l’impresa stessa. Dalle prime forme di ostilità, il sindacato è
passato ad un atteggiamento di riserbo, poi venuto meno con il progressivo emergere
di un nuovo ruolo del sindacato in seno alle aziende, ruolo che veniva toccando la
stessa attività contrattuale dandole un nuovo contenuto ed un nuovo significato.
Questo processo ha avuto di
certo una maturazione più semplice nei Paesi, dove il porsi del problema della
«democrazia industriale» al di fuori di schemi giuridico-istituzionali ne diminuiva
enormemente la pericolosità, lasciando al sindacato tutte le possibilità di graduare
e condizionare il mutamento della sua tradizionale posizione di estraneità,
all’effettivo verificarsi delle garanzie di tutela dei lavoratori come gruppo
sociale.
Ma anche in quei Paesi, una
maggiore sicurezza il sindacato ha acquisito quando si è convinto che ormai
l’evoluzione della società industriale anziché affievolire la sua funzionalità, lo
rendeva sempre più protagonista di un processo di trasformazione della realtà
aziendale.
Il sindacato come elemento insostituibile nel miglioramento dei rapporti sociali.
Il movimento sindacale sente
dunque ora di essere un elemento indispensabile per ogni tentativo di impostazione e
soluzione del problema dei rapporti sociali di azienda. Accetta nuovi ruoli e nuove
funzioni perché sa che la sua presenza non solo è fattore di tutela per i lavoratori
impegnati in esperimenti di cooperazione produttivistica, ma è anche fattore
riconosciuto fondamentale per il successo degli esperimenti stessi.
Indubbiamente notevoli sono le
implicazioni di questa duplicità di posizioni del lavoratore in seno alla impresa
capitalistica: la posizione del portatore di un fattore della produzione spinto alla
contrapposizione difensiva e la posizione di membro di un gruppo, di una organizzata
«società» avente obiettivi tecnico-produttivi e interessi comuni. Tale duplicità di
posizioni tuttavia, che s’è visto trascinar seco una analoga duplicità di
atteggiamenti del movimento sindacale, non deve essere più sfruttata per estreme
contrapposizioni. Non deve più acutizzarsi il conflitto tra il tradizionale
«lealismo» sindacale del lavoratore e il «lealismo» di questi nei riguardi
dell’impresa, scaturito dall’assunzione di una personalità sociale e di una
responsabilità in seno all’impresa stessa. ¶{p. 215}
Ai due «lealismi» deve essere
possibile una positiva convivenza.
La necessità di negare il
conflitto fra i due «lealismi» risiede nella necessità di garantire il pieno
sviluppo della personalità del lavoratore in seno all’impresa. La negazione di uno
dei due aspetti della posizione morale del lavoratore mutilerebbe la sua
personalità: nel caso che si volesse negare il suo lealismo verso l’impresa, si
verrebbe a negare proprio l’aspetto positivo dell’evoluzione tecnologica
dell’impresa, che ha creato le basi per una rivalutazione del lavoro operaio sotto
forma di integrazione sociale di tale lavoro nel processo produttivo; nel caso che
si volesse negare il suo lealismo verso il sindacato, si accederebbe ad una visione
parziale ed angusta della personalità del lavoratore, che trova la sua
valorizzazione non solo nell’ambito dell’azienda, ma anche nell’ambito delle
relazioni extra-aziendali, soprattutto nell’ambito della partecipazione — mediante
il sindacato — alla vita sociale nel suo complesso.
Si può dunque intendere il
programma per una autentica difesa della personalità professionale e sociale del
lavoratore come avente un unico obiettivo e due aspetti: uno aziendale e l’altro
extra-aziendale.
In ambedue gli aspetti è il
sindacato che interviene ed esercita la sua funzione. Senza il sindacato sia
nell’azienda, sia fuori dell’azienda, non si verifica nessuna difesa e nessuno
sviluppo della personalità del lavoratore.
Ecco perché i tentativi miranti
a risolvere il problema della partecipazione non possono essere svolti senza il
sostegno o la cooperazione del sindacato.
L’esigenza, inoltre di non
mortificare nessuna delle due funzioni, che il sindacato deve svolgere in seno
all’azienda, implicherà per il sindacato la necessità di esservi presente anche con
organismi rappresentativi aventi natura e fini diversi, corrispondenti appunto alla
duplicità delle funzioni.
Comunque, né all’una né
all’altra delle due funzioni il sindacato si può sottrarre, ma ambedue accuratamente
deve svolgere nella coscienza che è proprio questa duplice azione ad assicurare la
vera tutela professionale e sociale dei lavoratori.
È quindi solo sulla linea di
questo totale interessamento del movimento sindacale alla vita aziendale e alle
modalità del suo sviluppo che si deve operare per l’edificazione di una vera
democrazia industriale.¶{p. 216}
Da «Il sindacato e l’organizzazione di fabbrica», a cura dell’Ufficio studi CISL, Roma 1953, cap. X, pp. 68-74.
La rappresentanza «unitaria» dei dipendenti, le Commissioni interne e le nuove esigenze contrattuali.
In seno alle aziende esistono
oggi solo la figura del «collettore» o dell’attivista, e la Commissione interna.
Come tale, la figura del «collettore» (o simili), e, soprattutto, le mansioni ad
esso affidate dall’organizzazione sindacale, non sembra che riescano a soddisfare le
esigenze sopra espresse. La sua trasformazione in segretario sindacale per le
aziende di modeste dimensioni, sarà invece un fattore positivo di trasformazione
dell’organizzazione sulla linea del programma delineato.
Rimane la Commissione interna; e
rimane il quesito, molto importante: può la Commissione interna essere
l’organismo che assicura la presenza sindacale nell’azienda ai fini
programmatici delineati?
L’esame condotto finora sembra
escludere questa possibilità.
Perché l’organizzazione
sindacale possa, nel clima dei rapporti di lavoro caratteristico del nostro Paese,
penetrare nell’azienda e imporre il controllo sindacale su tutte le forme nelle
quali il lavoratore entra in rapporto con il datore di lavoro, deve innanzi tutto
affermare il principio della rappresentatività del sindacato anche al livello
aziendale.
Il sistema delle relazioni
industriali e di lavoro si trova oggi di fronte ad una storica alternativa: bisogna
decidere cioè se deve valere il criterio dell’associazionismo (ovvero di una
rappresentanza sindacale) o il criterio della rappresentatività generale (o amorfa).
Un movimento sindacale cosciente delle proprie finalità non può consentire che si
perduri nell’equivoco: perché ciò sarebbe un aiuto che porterebbe al franamento di
quei principi su cui si basa la ragione stessa di esistenza del movimento sindacale.
Non si può rivendicare il
diritto del sindacato di intervenire nell’azienda a tutela dei propri associati,
utilizzando uno strumento che non è sindacale; sarebbe una contraddizione di termini
estremamente pericolosa.
Nessun organismo a suffragio
generale potrebbe rappresen¶{p. 217}tare il sindacato che come tale
è espressione della volontà dei soli suoi associati, e solo essi obbliga nella sua
attività.
Se questa è la questione posta
nei suoi termini di principio, maggiori controindicazioni all’utilizzazione delle CI
per l’attuazione dell’intervento sindacale nell’azienda provengono dall’esame della
situazione di fatto. Le esigenze programmatiche che costituiscono la ragione
dell’intervento sindacale nell’azienda, sono esigenze sentite e programmate dai
sindacati aderenti alla CISL, che debbono tenere conto della ostilità o, nelle
migliori delle ipotesi, dell’indifferenza di altre organizzazioni sindacali, che pur
nelle CI mantengono posizioni di rilievo mediante propri iscritti.
È infatti impensabile che
l’attuazione di una politica sindacale sentita da una associazione sindacale possa
essere portata a compimento da organismi in cui sono presenti, in minoranza o in
maggioranza, individui che seguono altri interessi o altre associazioni sindacali.
In tal caso infatti non si possono immaginare serie garanzie per una efficace
amministrazione delle linee di politica salariale e contrattuale della CISL. Può la
CISL impegnarsi sull’attività di organismi che essa non controlla?
Non è sul piano delle vie
obbligate che si crea la unità sostanziale degli intenti e degli obiettivi: se altre
associazioni dovessero condividere l’azione della CISL in questo senso, non vi è che
da unire le forze sul piano associazionistico. Ognuno resta comunque responsabile ed
obbligato solo per le forze che lo riguardano e che controlla. La disunità
sostanziale di queste forze è una sciagura che non si può sanare con l’unità «obbligata»
[1]
.
Finché durano nella vita
associata margini di libertà di ¶{p. 218}scelta non v’è alcuna
ragione di sopprimerli, pena l’immobilismo di ognuna delle parti opposte. Sta a
ciascuno la responsabilità delle proprie scelte.
Non sembra esservi alternativa:
la CI non corrisponde allo strumento idoneo per attuare una politica sindacale del
tipo programmato entro le aziende.
Le nuove forme organizzative che si impongono per dare un nuovo sviluppo all’azione sindacale della CISL.
Occorre che il movimento
sindacale rappresentato dalla CISL si dia una propria organizzazione sul piano
aziendale che dia nuovo vigore all’azione contrattuale a quel livello, e nuova vita
a tutto l’organismo sindacale, portando ogni associazione ad agire nell’ambito del
nuovo organismo come membro attivo del sindacato.
Occorre cioè che si istituisca
nelle aziende una Sezione sindacale, aderente alla CISL, nucleo elementare del
sistema organizzativo. A questa sezione, il compito di costituire l’anello di
congiunzione fra movimento sindacale e vita aziendale; a questa sezione il ruolo di
propulsione dell’azione salariale a livello aziendale.
Un movimento sindacale non può
attendersi (a tutti i livelli in cui opera) che dalla sua forza, dalla solidarietà e
dalla chiarezza di obiettivi dei suoi membri, la possibilità di condurre
positivamente una attività contrattuale. Anche a livello aziendale è solo dalla
forza del numero delle adesioni, dalla qualità dei dirigenti, dalla bontà dei
programmi e delle richieste, che si potrà realizzare un mutamento dei rapporti fra
sindacato e azienda, che si potranno controllare a livello aziendale tutte le
questioni che costituiscono il mezzo di miglioramento delle posizioni dei
lavoratori.
Non si debbono ignorare le
difficoltà: soprattutto le abitudini — ostacolo ad ogni cambiamento — sia delle
maestranze, mai chiamate ad autodeterminarsi in quanto appartenenti ad un sindacato,
sui problemi dell’azienda, mai chiamate a darsi propri diretti dirigenti, mai
chiamate a formulare un programma sindacale di azienda — sia soprattutto del
padronato, insensibile alle nuove esigenze (la cui soddisfazione andrebbe anche a
suo sicuro beneficio) di miglioramento su base aziendale dei rapporti contrattuali
con il sindacato.
La Sezione sindacale, aderente
alla CISL, dovrebbe naturalmente istituirsi con stretta aderenza alle possibilità e
condizioni. È impensabile la creazione di Sezioni sindacali laddove non
¶{p. 219}esistono lavoratori sufficientemente preparati ad assorbire
la finalità della azione sindacale; laddove le dimensioni modeste della azienda
renderebbero superflua l’attività di una sezione, essendo sufficiente invece quella
di un segretario sindacale.
Note
[1] In questo quadro si deve prospettare la possibilità che la Sezione sindacale d’intesa con il sindacato provinciale e con l’Unione, accetti di sperimentare un sistema di consultazione mista fra le maestranze e la direzione in seno all’azienda (le cui linee sono state tracciate nel documento cit. sulle relazioni umane e sociali nell’azienda); ed allo scopo si trovi ad accordarsi con il padronato sull’istituzione, la composizione, ecc. di un Comitato misto di produzione. In questo caso la Sezione sindacale verrebbe a sostenere l’attività di un organismo non sindacale, corrispondente tuttavia alle linee di indirizzo di politica sociale di azienda della CISL. Va da sé che la Sezione sindacale manterrebbe nei riguardi del Comitato misto di produzione (o di produttività) un’assoluta indipendenza di giudizio e si farebbe riserva di giudicare l’operato ed i risultati di predetto organismo alla luce degli interessi sindacali. È bene anche qui precisare che la politica sindacale in materia è quella di accettare o promuovere iniziative come l’introduzione di sistema di consultazione, o di particolari sistemi di retribuzione, ecc., solo sulla base dell’accordo con il sindacato, cioè dell’accordo con la Sezione sindacale assistita dal sindacato provinciale e dall’Unione.