Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/a2
Soltanto dopo questa
consultazione potrà essere compilata dagli organi dirigenti della Sezione sindacale
la lista dei candidati FIOM da sottoporre all’approvazione (per assemblea o
referendum) degli iscritti al sindacato.
¶{p. 264}
Dalla mozione conclusiva del VI Congresso nazionale della FIM-CISL, Sirmione, luglio 1969, pp. 6-9.
Democrazia e partecipazione.
Il desiderio crescente dei
lavoratori di partecipare attivamente alla vita sociale e politica pone il sindacato
di fronte alla necessità di ripensare seriamente al suo modo di porsi all’interno
della società, al criterio di formazione delle decisioni e conseguentemente alla
gestione dell’attività politica del sindacato.
La partecipazione è un cardine
sul quale si basano i discorsi di rinnovamento del sindacato; l’uso o forse l’abuso
che si fa di tale termine impone però una chiarificazione. Quando si parla di
partecipazione occorre dire a cosa e in che modo si intende partecipare; affinché il
richiamo alla partecipazione non sia moralistico e mistificatorio, occorre affermare
che partecipa solo chi riesce ad esercitare un potere e chi sa orientare le proprie
scelte e controllarne l’attuazione.
Non è la cogestione aziendale,
né l’azionariato operaio, ecc. che costituiscono elementi di partecipazione; occorre
invece realizzare elementi di contropotere generalizzato. La generalizzazione e la
coscienza collettiva del potere che gli operai possono esercitare costituiscono la
partecipazione che può e deve realizzare il sindacato.
In questo senso i modi
tradizionali di consultazione, partecipazione e organizzazione denunciano alcuni
limiti paternalistici ed autoritari che devono essere superati.
Lo sviluppo del sindacato e la
crescente esigenza della base di stabilire direttamente gli obiettivi della propria
azione richiedono una revisione delle strutture sindacali; così come sono
attualmente concepite, in quanto insufficienti a cogliere le nuove istanze ed il
significato dei nuovi organismi che si realizzano nelle fabbriche.
Le strutture del sindacato.
La critica alle attuali
strutture è oggi obiettivamente motivata dalla loro inadeguatezza di fronte alle
nuove esigenze di partecipazione.¶{p. 265}
A ciò va aggiunta l’influenza
rilevante esercitata dai movimenti spontanei (movimento studentesco, gruppi esterni,
comitati di base), sorti sia come modo nuovo di fare il sindacato, sia come
alternativa critica al sindacato stesso.
Nel campo impiegatizio non
organizzato sindacalmente, i Gruppi di Studio hanno rappresentato un nuovo tipo di
organizzazione aperta ed unitaria, che ha consentito una vasta partecipazione dei
lavoratori.
Una prospettiva convincente di
promozione della democrazia e dell’unità deve porsi seriamente il problema dello
sviluppo e della trasformazione delle strutture di base, in modo da evitare un
distacco tra l’organizzazione sindacale ed il movimento di classe.
Infatti l’unità e le nuove
politiche del sindacato non possono essere portate avanti solo da intese fra
organismi sindacali provinciali e nazionali, ma da un processo generale in cui tutti
i lavoratori siano chiamati ad elaborare e costruire la nuova organizzazione
unitaria.
In altri termini man mano che
si realizza una maggiore unità d’azione occorre porsi seriamente il problema di
strutture unitarie a partire dalle fabbriche.
Nell’immediato la proposta più
costruttiva (rifiutando la strada delle liste unitarie di CI, in quanto organismo
che va superato) è quella di un serio sforzo di confronto e di rapporti a livello di
Sezioni aziendali sindacali le quali, attraverso una più diffusa esperienza
dell’assemblea e la costituzione di comitati unitari, sviluppano una sostanziale
unità dei lavoratori.
Anche a livello provinciale e
di Lega vanno realizzate iniziative per la progressiva costruzione di un sindacato
unitario; il pluralismo sindacale e le sue conseguenti degenerazioni (concorrenza
tra sindacati, correnti politiche, indottrinamento schematico, ecc.) e l’azione per
molto tempo centralizzata hanno favorito una perdita di importanza dei contenuti
democratici dell’azione sindacale.
Oltre alla riscoperta del
valore e del significato politico della democrazia di base, il sindacato deve
considerare le sue strutture in modo aperto e con una costante capacità di verifica
rispetto alla sua base naturale, cioè tutti i lavoratori.
Una chiusa difesa delle
prerogative delle strutture, in nome della logica del sindacato-associazione o
dell’esigenza di privilegiare gli iscritti, non appare oggi positiva. Infatti le
difficoltà di relazioni tra struttura e lavoratori presentano ostacoli non solo per
i non iscritti ma anche per gli stessi iscritti.
Nasce da qui l’esigenza, oltre
che del ripensamento in termini nuovi delle strutture sindacali, di adeguare gli
strumenti della ¶{p. 266}partecipazione (formazione, informazione,
riunione degli organi, assemblea, operatore sindacale, ecc.).
Il funzionamento degli organi e degli operatori.
Il sindacato deve preoccuparsi
della democrazia interna perché fa della partecipazione operaia un primo mezzo
concreto di libertà e di promozione umana e politica dei lavoratori e quindi la
condizione stessa del potere sindacale.
Per troppo tempo le strutture
sono state realizzate come organi che stabilivano le decisioni ed alle quali la base
doveva adeguarsi; ne derivava pertanto che la scelta degli organi rispondono spesso
più alla logica di elaborazioni generali e formali, anziché ai problemi reali dei
lavoratori.
Da qui l’esigenza della massima
articolazione e del massimo decentramento delle strutture, con distinzione delle
responsabilità, che saranno però piene nel loro campo.
La SAS è il sindacato in
fabbrica, che elabora e realizza le proprie politiche organizzative contrattuali in
armonia con le linee di politica generale della Federazione, non in via delegata, ma
traendo dal proprio congresso tale potere.
La realizzazione delle SAS non
deve portare a determinare una divisione e rottura fra iscritti e non iscritti, ma
una articolazione necessaria affinché alla elaborazione delle linee rivendicative e
politiche del sindacato possano contribuire tutti i lavoratori, così come
contribuiscono nelle lotte.
L’operatore sindacale, e lo
stesso attivista di fabbrica, corrono spesso il rischio di inquadrare la propria
funzione in una logica teorica e politica, a volte astratta, fondata su schemi
prefissati e quindi sono portati a trasmettere direttive od imporre decisioni di
vertice.
Occorre invece che l’operatore
sindacale diventi sempre più un animatore ed una guida, rispettoso delle volontà
della base, alla quale in nessun modo deve sostituirsi, mentre deve contribuire alla
massima espressione del pensiero dei lavoratori.
Ciò non vuole dire venir meno
ad una necessaria funzione di guida e responsabilità di dirigente, bensì inserirle
in un processo democratico di formazione delle decisioni e valorizzarla con una
costante verifica del consenso dei lavoratori.¶{p. 267}
L’unità sindacale.
Al momento attuale, militanti
sindacali si pronunciano largamente per l’unità organica; ma non basta più fermarsi
a registrare questa volontà di base. Da molte parti si pongono questioni più
stringenti; la prima è che l’unità in sé può non essere una conquista, ma un
pericoloso gioco di apparati; la seconda è come e quando, in concreto, arriveremo
alla unità.
Occorre quindi qualificare il
processo di unità sindacale: la incompatibilità, l’autonomia ne sono una condizione
preliminare; per questo risulta sempre più urgente la necessità di realizzare
decisamente, senza gradualismi interessati, le scelte politiche dell’incompatibilità
tra cariche direttive sindacali e cariche direttive di partito, estesa fino a
livello di fabbrica, ed il superamento delle correnti di partito.
Al di là di questo bisogna però
elaborare, attraverso le esperienze di lotta ed un dibattito di massa, una linea
politica comune. Occorre quindi impostare una strategia generale non solo in senso
contrattuale (dove l’unità d’azione già ci consente una prima sintesi), ma per
quanto riguarda il più generale atteggiamento del sindacato nei confronti della
condizione della classe operaia e perciò anche delle forze politiche.
L’altra condizione preliminare
diventa la democrazia di base, senza la quale gli interessi interni degli apparati
si impongono su quelli dei lavoratori.
Resta infine da stabilire
proposte concrete per il processo di unità, un processo che deve investire già da
ora, organicamente, alcune strutture sindacali. Si possono unificare i luoghi in cui
si studiano i problemi sindacali, i luoghi in cui si elaborano le rivendicazioni, in
cui, in maniera nuova, crescono i militanti: uffici studi, formazione, gestione
delle lotte di fabbrica, sono perciò i primi appuntamenti del procedere
dell’unità.¶{p. 268}
Dalla risoluzione finale della Conferenza unitaria dei metalmeccanici, Genova, 15-17 marzo 1970.
In «Sindacato moderno», 1970, n. 3, p. 12.
Sviluppo dell’unità sindacale.
La realizzazione, entro tempi
brevi, dell’unità non può non porsi l’obiettivo della costruzione di una nuova
organizzazione di classe, autonoma e democratica che si identifica con i lavoratori,
i quali fanno il sindacato. D’altro canto il rifiuto dell’unità di vertice e
dell’unità intesa come somma dei tre sindacati attuali, vincola l’iniziativa della
categoria alla crescita dal basso del processo unitario attraverso la partecipazione
diretta dei lavoratori e lo spostamento dei poteri alla base.
In primo luogo, quindi, il
sindacato nuovo deve nascere nella fabbrica attraverso un ampio dibattito ed un
vasto confronto con i lavoratori ed il moltiplicarsi delle esperienze unitarie. Oggi
non è più sufficiente una presenza articolata del sindacato ai fini dell’aderenza
massima alle aspettative dei lavoratori sul piano dell’iniziativa rivendicativa né
possono bastare la consapevolezza ed il conseguente impegno di dare una risposta ai
problemi della condizione operaia anche a livello della società e del sistema.
Realizzare l’unità, dunque, significa anche incidere sulle strutture, partendo dai
luoghi di lavoro; significa quindi compiere un salto qualitativo rispetto alle forme
anche più avanzate dell’unità d’azione.
Dalle esperienze, dai risultati
della lotta contrattuale, dalle più recenti iniziative aziendali e provinciali
deriva chiaramente l’esigenza di proporre nelle fabbriche, su iniziativa delle
Sezioni sindacali, la costituzione di nuovi organismi sindacali unitari i quali:
a) rappresentino uno strumento insostituibile
dell’iniziativa rivendicativa; b) siano un momento di
organizzazione della partecipazione in diretto collegamento con l’assemblea;
c) rappresentino l’esperienza più avanzata e concreta
dell’unità in fabbrica attraverso il superamento degli schemi di corrente, dei
confini di organizzazione, del rapporto tra gli iscritti e i non iscritti in uno
sforzo organico di effettiva sindacalizzazione di tutti i lavoratori.
Questa nuova struttura non sarà
imposta autoritariamente dall’alto ma sarà espressione di ogni gruppo omogeneo
¶{p. 269}di lavoratori riferito al tipo di organizzazione del lavoro
in fabbrica. I nuovi organismi sindacali di fabbrica devono rappresentare un reale
contropotere e perciò devono essere in grado di rispondere alla complessità ed alla
articolazione della fabbrica organizzando efficacemente la classe operaia.
Note