Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/a2
È vero che è tuttora notevole,
nella determinazione del fenomeno dell’assenteismo, il cedimento dei lavoratori alla
forza di attrazione del paternalismo padronale, ma dobbiamo domandarci: se, per
caso, non offriamo noi stessi in buona parte, come alternativa, un’altra prospettiva
di tipo paternalistico. Se la scelta
¶{p. 239}è fra il paternalismo
padronale e quello sindacale, non dobbiamo meravigliarci né scandalizzarci se il
lavoratore opta per il primo, vale a dire sceglie il rapporto paternalistico
immediato piuttosto che quello mediato, una volta che la scelta investe
esclusivamente il piano utilitaristico.
Ma la realtà è che la sfera
degli interessi dei lavoratori va bene al di là del fatto utilitaristico, implicando
tutto il complesso dei valori che attengono alla persona e alla sua dignità. Ciò è
stato sempre vero fin da quando essi hanno sentito il bisogno di associarsi in
sindacato, ma lo è con particolare evidenza e drammaticità oggi, in una realtà in
cui lo sviluppo tecnologico e i nuovi modi di organizzazione dell’attività
produttiva e delle relazioni di lavoro all’interno dell’azienda, le modificazioni
sostanziali intervenute nel tipo e nel ritmo della prestazione di lavoro e nella
struttura professionale, le mire corporativo-integrazionistiche dei nuovi gruppi
imprenditoriali, hanno moltiplicato le ragioni di conflitto attinenti alla libertà e
all’autonomia della persona, in una parola alla sua dignità…
È fuori di dubbio che, rispetto
ad una tale situazione, il lavoratore non ha obiettivamente altro modo per
realizzare la tutela integrale dei propri interessi economici, sociali, morali, che
quello di associarsi. Questa è l’unica alternativa alla disintegrazione della sua
persona, l’unica possibilità di restituirsi un ruolo di responsabilità, di diventare
un soggetto anziché un oggetto di decisioni, l’unica roccaforte di difesa dal
risucchio integrazionistico dell’azienda moderna. È tutto qui il senso e il valore
dell’unità storica dei lavoratori italiani, al di là dei particolari interessi
settoriali o aziendali. Ed è anche qui la sostanza reale, il significato più
profonda della risposta che a tutto questo noi abbiamo dato con la nostra
alternativa fondata sulla ripulsa del sindacato-strumento e sulla affermazione del
sindacato-associazione.
La SAS, nella logica della
CISL, è pertanto qualcosa di ben più importante di uno strumento di politica
contrattuale o di una sede «funzionale» di decentramento delle attività. Al di là di
queste esigenze che pure sono indiscutibilmente valide e legittime, la SAS
costituisce per sé un valore assoluto: essa è la fonte dell’autogoverno dei
lavoratori, l’incarnazione più significativa dell’alternativa sindacale. Diremmo
che, al di là della «razionalità» delle politiche contrattuali, rispetto alla quale
anche altri modelli sindacali sono più o meno suscettibili di adeguamento, è qui che
il trasformismo della CGIL troverà il suo limite invalicabile ed è qui che, alla
lunga, si giocherà la carta decisiva della competizione tra le diverse
formule.¶{p. 240}
A questo punto possiamo tentare
di dare una risposta al quesito che ci ponevamo in ordine al perché sono ancora così
numerosi i lavoratori che da questa loro interna vocazione, da questa sofferta
esperienza di crisi della loro dignità, non traggono l’unica scelta valida e
coerente.
Non presumiamo di esaurire i
«perché» che sono molteplici e complessi.
Il rapporto tra la SAS e le strutture sindacali esterne.
Per quello che ci riguarda, e
che quindi investe la nostra diretta responsabilità, riteniamo di poter affermare
che tuttora la nostra vita associativa risente di una scarsa articolazione
democratica e conseguentemente di un diffuso paternalismo nei rapporti fra dirigenti
e soci, fra vertice e base.
Crediamo cioè che i nostri
quotidiani comportamenti, i modi e i criteri di gestire le responsabilità che ci
sono affidate non siano ancora nei fatti, per lo meno sotto alcuni aspetti, ispirati
a quei valori essenziali di cui abbiamo inteso dare testimonianza.
Per restare nell’ambito
specifico dell’esame che stiamo conducendo, riteniamo che il rapporto fra dirigenza
provinciale di categoria e base organizzata delle singole aziende sia ancora
largamente impostato in senso discendente: nel senso cioè che gli indirizzi di
azione, le volontà, le elaborazioni rivendicative maturano al vertice e quindi si
opera per acquisire ad esse il consenso, più o meno consapevole, della base.
Questo per non parlare delle
situazioni in cui si sottovaluta o si trascura persino questa esigenza di
sensibilizzazione o di mobilitazione.
Vogliamo dire che il rapporto è
ancora frequentemente quello da «capo» a «massa» anziché da «organo» a «struttura».
È ben vero che il livello di
capacità di «autogestione» delle nostre strutture di base è ancora, in larga misura,
insufficiente, ma appunto per questo il ruolo essenziale del dirigente è quello di
stimolare e favorirne la crescita in questa direzione, anziché prendere atto delle
attuali carenze e risolversi per colmarle in via di sostituzione.
Il discorso non può che essere
quello della responsabilizzazione nel senso più pieno e integrale della parola, che
significa riconoscimento e rispetto di una volontà che non può essere coartata e
compressa se non nei limiti delle esigenze di coordinamento con le volontà che
l’organizzazione democraticamente esprime ai più ¶{p. 241}estesi
livelli di responsabilità (provinciale e nazionale di categoria, di Unione
provinciale, confederale). Ciò significa che anche l’esercizio della responsabilità
di coordinamento deve trovare in ogni circostanza la sua fonte normativa in una
manifestazione di volontà democraticamente espressa, che si impone per la sua sfera
di efficacia alle più specifiche e ristrette sedi deliberanti, restando in tal caso
ferma l’esigenza di un impegno di chiarificazione e sensibilizzazione che porti la
volontà minore a conformarsi a quella maggiore per convinta accettazione piuttosto
che per subita imposizione.
In altri termini è la regola
del gioco democratico quella che deve guidare e giustificare in ogni momento la
nostra azione. Se l’impegno è quello della responsabilizzazione occorre che ne
individuiamo e concretizziamo tutte le implicazioni.
Responsabilità significa
anzitutto autonomia di scelta dei dirigenti, al di fuori di ogni designazione,
investitura o interferenza.
Il rinnovo degli organi direttivi della SAS.
La SAS deve eleggersi il
proprio direttivo e diremmo che nelle attuali condizioni dovrebbe farlo il più
frequentemente possibile, preferibilmente con una periodicità annuale. Ciò perché
con la elezione il lavoratore è chiamato ad esprimere un giudizio, ad esercitare un
potere che concretizza ed esalta la sua sovranità e valorizza la sua libertà,
contribuendo a stimolarne la dedizione critica e attiva agli impegni e alle
responsabilità dell’associazione.
Nella SAS, la forza e la consapevolezza dello sviluppo organizzativo.
Responsabilità significa
assunzione in proprio da parte della struttura di base dell’impegno di rafforzare se
stessa.
Lo sforzo di espansione delle
adesioni deve trovare a questo livello la sua sede naturale di mobilitazione, la
fonte primaria di quell’insieme di energie e di attivismo, di generosità e di
entusiasmo che sono necessari per sostenerlo. L’incentivazione associativa non è un
fatto che si possa determinare o comunque si possa fondare permanentemente su spinte
e sollecitazioni esterne più o meno stimolatrici. Essa nasce sotto la spinta della
consapevolezza di quella comunanza di interessi che si ricollega in linea diretta e
immediata alla categoria e, nell’ambito della categoria, a quel centro primario e
irripetibile di interessi categoriali che è l’azienda.
¶{p. 242}L’incentivazione associativa si pone quindi, nella sua
proiezione immediata, nella direzione verticale e trova nell’azienda la sua
originaria derivazione.
È solo collocando in questo
modo lo sforzo per l’espansione delle adesioni, che la nuova adesione costituisce
una manifestazione di volontà genuinamente associativa e quindi una acquisizione non
occasionale, ma definitiva per il sindacato. È solo nell’ambito della SAS cioè che
si realizza quella continuità e sicurezza del vincolo associativo, per la quale ogni
impegno aggiuntivo garantisce risultati aggiuntivi, ogni anno sociale non
costituisce un anno zero, ma la certezza di una ulteriore crescita rispetto a quanto
è stato stabilmente costruito nell’anno precedente.
Responsabilità significa
gestione autonoma degli interessi collettivi che nascono dalla dialettica dei
rapporti aziendali e in quella sede chiedono di essere tutelati.
Non si può pensare di
responsabilizzare i lavoratori e la loro struttura primaria per la parte che attiene
al rafforzamento dell’associazione in quanto tale, sottraendo loro la gestione di
quell’insieme di interessi che costituiscono la ragion di essere del fatto
associativo, l’elemento fondamentale d’incentivazione a mettersi insieme.
Molto spesso questo è quello
che avviene, attraverso la mobilitazione dei quadri e degli attivisti d’azienda ad
un impegno prettamente organizzativistico e, talvolta, di attivismo spicciolo,
considerato non molto decoroso per il dirigente a più alto livello.
Si sente molto spesso
in giro la lamentela che gli uomini di base non ci sono, che la loro
disponibilità ad impegnarsi lascia a desiderare. Crediamo di poter affermare che
una delle ragioni di fondo consiste proprio in questa innaturale scissione di
responsabilità tra momento organizzativo e momento contrattuale, di questo
chiedere alla gente di rafforzare uno strumento senza che poi in concreto ne
possa sperimentare autonomamente la indispensabilità e la efficacia…
L’associazione si costruisce e
si rafforza alimentandosi a quella che è la sua ragione di vita: l’autogestione
degli interessi collettivi che essa persegue.
Il diuturno esercizio delle
strutture di base attorno all’individuazione e all’analisi dei problemi, la
sperimentazione continua della discussione collegiale nella ricerca delle soluzioni
più adeguate, la trasformazione, nella dialettica democratica, della volontà dei
singoli in una volontà collettiva in cui ciascuno riflette la propria sovranità, la
sperimentazione, al momento della lotta, del potere che quella volontà esprime e
della sua efficacia liberatrice, tutto ¶{p. 243}questo non
appartiene né al momento organizzativo, né a quello contrattuale: appartiene
all’associazione che, vivendo e operando come associazione, autonoma e responsabile,
consolida se stessa nello stesso momento in cui mobilita ogni sua energia nel
perseguimento dei propri fini.
Il finanziamento della SAS.
Ma responsabilità significa
anche un’altra cosa, di importanza fondamentale: significa autonoma disponibilità
dei mezzi e delle risorse che all’associazione occorrono per vivere e funzionare; e
questo a cominciare dalla SAS. È questo il terreno sul quale in maniera specifica
alligna e imperversa il fenomeno del paternalismo sindacale.
La SAS, nella generalità dei
casi, non dispone di proprie risorse finanziarie: ogni sua iniziativa, ogni sua
autonoma assunzione di responsabilità si arresta in partenza di fronte a questo
limite invalicabile.
Non mancano i casi in cui la
SAS riesce in qualche modo ad autoalimentarsi: ma questo avviene al di fuori di una
organica e unitaria politica contributiva, per impulso spontaneo di taluni gruppi di
lavoratori più attivi e consapevoli, e talvolta sulla base di iniziative congiunte
con altre organizzazioni che, per il modo come sono impostate, contraddicono alla
radice proprio a quella esigenza di autonomia della struttura che si voleva
concretamente affermare attraverso l’autonoma disponibilità dei mezzi.
Non abbiamo mancato in passato
di cogliere l’importanza del problema e di indicare talune soluzioni, quale quella
della quota aggiuntiva sul contributo ordinario da affidare all’autonoma gestione
della SAS.
Ma riteniamo che oggi, sia il
momento di superare ogni discorso più o meno legato ai criteri della
«straordinarietà» o della «aggiuntività» e di ricondurre il problema nell’ambito
della ordinaria politica contributiva.
In altri termini le strutture
di base devono partecipare in via ordinaria al riparto delle entrate sindacali e su
di esso fondare una loro autonoma gestione amministrativo-finanziaria a copertura
delle ordinarie esigenze connesse al loro funzionamento.
Se talvolta ci siamo domandati
perché i lavoratori abbiano tanta ritrosia a sostenere finanziariamente il
sindacato, abbiamo dovuto onestamente individuare una delle ragioni di fondo nel
fatto che essi, una volta consegnati i loro quattrini, ne perdono
¶{p. 244}qualsiasi possibilità di controllo diretto o indiretto. I
lavoratori in tanto pagano in quanto sappiano a che cosa servono in concreto i loro
quattrini; in tanto pagano di più in quanto possono rendersi conto di quelle che
sono le ulteriori esigenze di spesa; soprattutto pagano e pagano di più se abbiano
una voce in capitolo nella gestione dei mezzi del sindacato. Questo sia
indirettamente attraverso gli organi che essi esprimono (Consiglio direttivo
provinciale), sia direttamente nell’ambito della loro primaria unità associativa.
Note