Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c4
Capitolo quarto
Quale orientamento? Promesse e rischi nelle nuove linee guida
di Massimo Margottini
Abstract
Da decenni a questa parte viene attribuito all’orientamento un rilievo strategico nelle politiche scolastiche per contrastare ritardi, abbandoni e promuovere il successo formativo. Fenomeni quali il mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, conoscono oggi nuove rappresentazioni che vanno ben oltre il tema delle competenze professionali e investono aspetti esistenziali, di senso e prospettiva nella vita delle persone. Il fenomeno delle great resignation, dimissioni volontarie da posizioni di lavoro a tempo indeterminato, ben noto negli Stati Uniti e che negli ultimi anni riguarda in forma rilevante anche il nostro paese, pone nuovi interrogativi sul modo in cui le persone pensano al lavoro nella loro vita. Una questione di fondo è quella della collocazione delle attività di orientamento all’interno del curricolo. Se nelle precedenti indicazioni risultava ben chiaro, con la formula della didattica orientativa, che le azioni di orientamento nella scuola si connotano come processo che investe trasversalmente, sia pure con diversi gradi di specificità, l’azione educativa e che riguarda tutti i docenti e la comunità educante nel suo complesso, nelle ultime linee guida non si percepisce allo stesso modo tale evidenza. Quindi, se è la prospettiva formativa quella che ci interessa, allora è necessario partire dalla persona e non solo in relazione a cosa sa fare meglio ma porre al centro e quindi sostenere e sviluppare la sua capacità di autodeterminazione. Ciò che progressivamente emerge e viene confermato ai diversi gradi scolastici è il legame, evidenziato da correlazioni statisticamente significative, tra competenze strategiche di carattere cognitivo riferibili alle capacità di studio, alla capacità di pianificazione, organizzazione e controllo dei propri impegni di studio con dimensioni di carattere affettivo-motivazionale quali il controllo delle proprie emozioni, la capacità d’impegno e perseveranza e convinzioni d’autoefficacia e come queste risultino correlate con migliori esiti scolastici e accademici.
1. La dimensione formativa dell’orientamento
Da decenni a questa parte viene attribuito all’orientamento un rilievo strategico nelle politiche scolastiche per contrastare ritardi, abbandoni e promuovere il successo formativo. Analogo rilievo gli è riconosciuto nel sostenere le politiche attive del lavoro. All’interno di tale convinzione possono essere lette importanti raccomandazioni del Consiglio europeo [2004; 2008], decreti, direttive e linee guida del Ministero dell’Istruzione [1997; 2009; 2014; 2022], rapporti, studi e ricerche di organismi nazionali e internazionali.
La letteratura di settore è concorde nel sintetizzare, nell’arco dell’ultimo secolo, il passaggio da modelli centrati sulla ricerca del matching tra caratteristiche personali, rilevabili come attitudini, interessi, tratti di personalità e profili professionali, espressi in forma relativamente stabile dal mondo del lavoro, a modelli centrati sulla progressiva responsabilizzazione e consapevolezza del soggetto nello sviluppare capacità di apprendere, orientarsi, costruire e ricostruire una propria identità personale e professionale.
È intorno agli anni Settanta del secolo scorso che in Italia si realizza un netto cambiamento di prospettiva. «Si comincia a delineare – afferma Maria Luisa Pombeni – la possibilità di una autodeterminazione umana nei confronti dell’inserimento sociale e professionale, […] e la logica verso cui si sviluppa la pratica orientativa prende sempre più le caratteristiche di un processo di autorientamento» [Pombeni 1996, 21]. La direzione è quella di un approccio dinamico, che vede il soggetto al centro dell’azione orientativa, in posizione attiva, ¶{p. 100}come agente principale del processo di scelta in un’ottica di maturazione e di responsabilizzazione individuale.
Al centro della riflessione – scrive Maria Luisa Pombeni – viene posto l’individuo con i differenti bisogni orientativi che caratterizzano il suo sempre più complesso rapporto con l’attività lavorativa. L’intervento orientativo non viene più finalizzato ad orientare la persona a prendere delle sagge decisioni, ma piuttosto ad aiutarla a prendere le sue decisioni saggiamente, mettendola nelle condizioni di orientarsi, cioè sapersi muovere in modo consapevole e adeguato nelle occasioni significative che delineano il processo di costruzione della propria carriera professionale [Pombeni e D’Angelo 1998, 21].
«L’orientamento – scrivono Cristina Castelli e Lucia Venini – viene inteso come autorientamento del soggetto, considerato come agente primario del processo di scelta alla luce di concetti quali maturazione e autonomizzazione personale». Un tale approccio, dunque, «vede il soggetto in posizione attiva, in quanto è il soggetto stesso a individuare in sé il cammino da percorrere, a costruire la sua esperienza lavorativa interagendo dinamicamente con la realtà esterna e ponendo sé stesso al centro del processo decisionale» [Castelli e Venini 2002, 18].
L’orientamento, dunque, si concretizza in un insieme di azioni volte a sostenere ciascuno nel pieno sviluppo di sé in relazione ai propri bisogni, interessi, aspettative, valori, promuovendo l’autodeterminazione del soggetto per la piena inclusione sociale e professionale, educandolo a monitorare il proprio percorso e compiere scelte adeguate.
Nella scuola italiana tali principi sono stati recepiti e tradotti con una serie di interventi normativi. Dapprima la direttiva ministeriale n. 487 del 1997, della quale varrebbe sempre la pena ricordare l’incipit: «L’orientamento – quale attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado – costituisce parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia», e quindi una serie di circolari, direttive e linee guida, tra le quali è opportuno ricordare un primo documento del dicembre 2013, con funzione d’indirizzo, ¶{p. 101}della Conferenza unificata Stato e Regioni, contenente Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente, cui segue, a breve distanza di tempo (febbraio 2014), un documento del MIUR, sempre in forma di linee guida, che ne contestualizza le azioni all’interno del sistema scolastico e universitario. E in ultimo, nel dicembre 2022, le più recenti Linee guida per l’orientamento che si pongono lo scopo di sostanziare un complessivo processo di riforma del nostro sistema di orientamento, posto tra gli obiettivi del PNRR.
Vale però la pena riprendere, sia pure per sommi capi, quanto delineato dai due importanti documenti del 2013 e del 2014 che le ultime linee guida (2022) richiamano esplicitamente.
Gli impegni per l’orientamento, in ambito nazionale, si concentrano su tre obiettivi fondamentali: contrastare il disagio formativo, favorire e sostenere l’occupabilità, promuovere l’inclusione sociale. Per realizzare il «diritto all’orientamento» sono state delineate cinque funzioni che le istituzioni interessate devono attuare per sostenere lo sviluppo del processo orientativo. La prima è la funzione educativa necessaria a favorire e sostenere un processo di autorientamento, favorendo nella persona «la maturazione di un atteggiamento e di un comportamento proattivo per lo sviluppo delle capacità di gestione autonoma e consapevole del proprio processo di orientamento». A tale fine promuove l’acquisizione di competenze orientative generali e trasversali.
Viene ribadito che l’orientamento
si esplica in un insieme di attività che mirano a formare e a potenziare le capacità delle studentesse e degli studenti di conoscere sé stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché possano essere protagonisti di un personale progetto di vita, e partecipare allo studio e alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e responsabile
e quindi che
l’orientamento formativo o didattica orientativa/orientante si realizza nell’insegnamento/apprendimento disciplinare, finalizzato ¶{p. 102}all’acquisizione dei saperi di base, delle abilità cognitive, logiche e metodologiche, ma anche delle abilità trasversali comunicative metacognitive, metaemozionali, ovvero delle competenze orientative di base e propedeutiche – life skills – e competenze chiave di cittadinanza.
Seguono la funzione informativa cui è affidato il ruolo di sviluppare capacità di attivazione e sostenere la delineazione delle diverse alternative nei processi di decisione; quella di accompagnamento a specifiche esperienze di transizione e che si realizza come attività di sostegno allo sviluppo di «competenze e capacità di decisione e controllo attivo sull’esperienza formativa e lavorativa»; quella della consulenza orientativa che «concerne le attività di sostegno alla progettualità personale nei momenti concreti di snodo della storia formativa e lavorativa e di promozione all’elaborazione di obiettivi all’interno di una prospettiva temporale allargata e in coerenza con aspetti salienti dell’identità personale e sociale»; e infine alcune funzioni di sistema, relative all’assistenza tecnica, alla formazione degli operatori, alla promozione della qualità e alla ricerca e sviluppo con l’obiettivo di garantire l’efficacia degli interventi.
Ma l’aspetto forse più rilevante è dato dalla sottolineatura di un impegno integrato e condiviso dei diversi attori per la realizzazione di un modello sistemico. E questo, anche al fine di evitare sovrapposizioni, se non vere e proprie contraddizioni, all’interno del sistema stesso. Ciò implica, naturalmente, una governance multilivello (territoriale e nazionale) in cui «ciascun soggetto si riconosce partner corresponsabile di una strategia che, coinvolgendo sia il livello politico istituzionale sia quello tecnico operativo, valorizzi la programmazione e la realizzazione d’interventi di orientamento integrati, continui e rispondenti ai bisogni della persona».
Si ribadisce così nella scuola una concezione dell’orientamento come processo diacronico-formativo [Domenici 2009] integrato nell’azione didattica quotidiana, che si contrappone a quelle pratiche di natura sincronica finale quasi esclusivamente centrate su azioni di natura informativa e di ¶{p. 103}supporto alla scelta messe in atto nei soli momenti di transizione. Orientamento formativo che significa favorire, sin dalle prime esperienze all’interno del sistema scolastico, lo sviluppo di competenze orientative [Pombeni e Guglielmi 2000], poste alla base della costruzione di un proprio progetto di vita personale e professionale, compresa la capacità di tenere sotto controllo il processo stesso e governare in maniera attiva i momenti di transizione.
Il richiamo alle competenze orientative nei documenti ministeriali ci rimanda alle riflessioni di Maria Luisa Pombeni che distingue tra competenze orientative generali o di base e competenze orientative specifiche. Per Pombeni, le prime sono finalizzate principalmente ad acquisire conoscenze, comportamenti, atteggiamenti, convinzioni che predispongono alla raffigurazione di un futuro sia pure senza un’azione di carattere intenzionale. Si apprendono in età evolutiva, nella scuola, in famiglia, nei diversi contesti informali, con esperienze spontanee o attraverso azioni intenzionali finalizzate a sviluppare una mentalità e un metodo orientativi. Le competenze orientative specifiche si contraddistinguono invece per essere finalizzate alla risoluzione di compiti definiti e circoscritti che caratterizzano una sfera di vita specifica, hanno a che fare con il superamento di compiti contingenti e progettuali riconducibili sia ad esperienze di orientamento scolastico che di orientamento professionale, si sviluppano esclusivamente attraverso interventi intenzionali gestiti da professionalità competenti, attraverso cioè le cosiddette «azioni orientative». Vengono ulteriormente distinte in competenze di monitoraggio e in competenze di sviluppo. Le competenze di monitoraggio attengono alla capacità di tenere sotto controllo la propria esperienza, averne una piena consapevolezza ed essere in grado di fare un bilancio delle proprie esperienze formative, lavorative, esistenziali, pregresse o in corso anche al fine di prevenire insuccessi e forme di disagio. Le competenze di sviluppo, finalizzate a maturare progetti di evoluzione della propria storia formativa e lavorativa, in situazioni di scelta intervengono nelle fasi di transizione, nei momenti di svolta quando è necessario assumere decisioni di particolare rilievo.
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Note