Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c4
Il richiamo alle competenze orientative nei documenti ministeriali ci rimanda alle riflessioni di Maria Luisa Pombeni che distingue tra competenze orientative generali o di base e competenze orientative specifiche. Per Pombeni, le prime sono finalizzate principalmente ad acquisire conoscenze, comportamenti, atteggiamenti, convinzioni che predispongono alla raffigurazione di un futuro sia pure senza un’azione di carattere intenzionale. Si apprendono in età evolutiva, nella scuola, in famiglia, nei diversi contesti informali, con esperienze spontanee o attraverso azioni intenzionali finalizzate a sviluppare una mentalità e un metodo orientativi. Le competenze orientative specifiche si contraddistinguono invece per essere finalizzate alla risoluzione di compiti definiti e circoscritti che caratterizzano una sfera di vita specifica, hanno a che fare con il superamento di compiti contingenti e progettuali riconducibili sia ad esperienze di orientamento scolastico che di orientamento professionale, si sviluppano esclusivamente attraverso interventi intenzionali gestiti da professionalità competenti, attraverso cioè le cosiddette «azioni orientative». Vengono ulteriormente distinte in competenze di monitoraggio e in competenze di sviluppo. Le competenze di monitoraggio attengono alla capacità di tenere sotto controllo la propria esperienza, averne una piena consapevolezza ed essere in grado di fare un bilancio delle proprie esperienze formative, lavorative, esistenziali, pregresse o in corso anche al fine di prevenire insuccessi e forme di disagio. Le competenze di sviluppo, finalizzate a maturare progetti di evoluzione della propria storia formativa e lavorativa, in situazioni di scelta intervengono nelle fasi di transizione, nei momenti di svolta quando è necessario assumere decisioni di particolare rilievo.
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Anche le ultime Linee guida per l’orientamento, del dicembre 2022, ribadiscono il rilievo strategico per contrastare ritardi e abbandoni, promuovere il successo formativo, migliorare il raccordo con il mondo del lavoro. Pur orientate a principi di concretezza ed operatività, ai fini dell’attuazione della riforma dell’orientamento, presentano alcuni aspetti che possono apparire contraddittori se letti alla luce della più recente riflessione teorica sull’orientamento. Si tratta di capire sino in fondo se queste linee guida si collocano realmente nel solco di una concezione formativa dell’orientamento che ispirava le precedenti [MIUR 2014] e che pure vengono richiamate nel testo.

2. Quale orientamento per il futuro?

Come ironicamente osservano Soresi e Nota [2020]: «il futuro non è più quello di una volta». La globalizzazione dei mercati, politiche economiche neoliberiste spesso fuori controllo, il crescente impatto dell’automazione nei sistemi produttivi e le conseguenze sul mercato del lavoro hanno favorito negli ultimi decenni fenomeni di concentrazione della ricchezza, un aumento delle disuguaglianze e nuove dinamiche nel mercato del lavoro.
Fenomeni quali il mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, conoscono oggi nuove rappresentazioni che vanno ben oltre il tema delle competenze professionali e investono aspetti esistenziali, di senso e prospettiva nella vita delle persone.
Il fenomeno delle great resignation, dimissioni volontarie da posizioni di lavoro a tempo indeterminato, ben noto negli Stati Uniti e che negli ultimi anni riguarda in forma rilevante anche il nostro paese, pone nuovi interrogativi sul modo in cui le persone pensano al lavoro nella loro vita.
Secondo i dati dell’INPS, in Italia nel primo trimestre del 2022 oltre 306 mila persone hanno rassegnato le dimissioni dal lavoro. Il dato non è mai stato così alto e sembra in crescita con un aumento del 35% rispetto al 2021.{p. 105}
Anche il fenomeno dei Neet, che in Italia riguarda una percentuale di giovani molto superiore rispetto a tutti gli altri paesi europei, non può essere ridotto ad un fenomeno di disallineamento tra competenze possedute e quelle richieste dal mercato del lavoro. Anche in questo caso è necessario interrogarsi più a fondo sulle ragioni che limitano i giovani nella possibilità di rappresentarsi nel proprio futuro.
Ma andando oltre tutti quei fenomeni che possono essere letti come aspetti di criticità tra esiti formativi e raccordo con il mondo del lavoro varrebbe la pena riflettere su tutte le altre forme di disorientamento che portano i giovani a sviluppare convinzioni e comportamenti disfunzionali rispetto al proprio futuro quando non addirittura manifestarsi in vere e proprie forme di devianza.
Si tratta quindi di ribadire il rilievo educativo e di senso dell’orientamento e varrebbe forse la pena ricordare che nel 1954, primo anno di pubblicazione della rivista «Orientamenti pedagogici», che nel corso di questi ultimi settant’anni ha dedicato molto spazio ai temi dell’orientamento e della formazione professionale, Piero Braido intitolava il primo editoriale Educare è orientare [Braido 1954].
È quindi opportuno non lasciare alcuna ambiguità sulla domanda: cosa intendiamo con orientamento? Trovare la migliore collocazione scolastica e quindi professionale in relazione alle richieste mutevoli del mercato del lavoro o piuttosto progettare e costruire il proprio futuro, che non è solo professionale, per il benessere e la piena realizzazione personale e sociale?
Come abbiamo già detto sopra, la letteratura sull’orientamento [Di Fabio 2010; Domenici 2009; Guichard e Huteau 2003; Soresi e Nota 2020] è concorde nel riconoscere un momento di svolta nella Raccomandazione conclusiva del comitato di esperti nel Congresso Unesco sull’orientamento a Bratislava nel 1970:
Orientare significa porre l’individuo nella condizione di prendere coscienza di sé, di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione rispetto alle mutevoli esigenze della vita con il duplice obiettivo di contribuire al progresso della società e raggiungere il pieno sviluppo della persona.{p. 106}
È un passaggio decisivo che segna un confine netto tra teorie e pratiche che attribuiscono all’orientamento una funzione di matching tra tratti personali e percorsi formativi e professionali, sia che si tratti di attitudini e inclinazioni o di interessi e preferenze, e una concezione formativa dell’orientamento centrata sull’empowerment personale [Di Fabio 2010; Domenici 2009; Soresi e Nota 2020], sullo sviluppo di quelle che nella scuola italiana, come si diceva, sono state chiamate «competenze orientative» [Pombeni 2003].
Da oltre un decennio, pur all’interno di un dibattito scientifico molto articolato, è stata condivisa una definizione di orientamento, formalmente concordata tra governo, regioni ed enti locali (2013) che recita:
l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale e culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi ed interagire in tali realtà al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire e ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare e rielaborare un progetto di vita e sostenere le relative scelte.
È un processo che mette al centro la persona; le azioni di chi sostiene questo processo, sia che si tratti di docenti all’interno del sistema formativo sia di altre figure professionali specifiche, sono finalizzate a sviluppare una crescente consapevolezza sul sé, nel senso più ampio, sulla conoscenza ed esplorazione della realtà ambientale e non solo in senso professionale, sulle dinamiche di scelta in una prospettiva life-long. Quindi il problema non è solo quello di scegliere un percorso formativo o un lavoro ma imparare a leggere sé stessi e la realtà interpretando sempre a pieno i propri ruoli esistenziali.
In questa direzione, contributi più recenti hanno ulteriormente sottolineato il ruolo dell’orientamento come «dispositivo a favore della dignità umana, della giustizia sociale e dello sviluppo sostenibile per tutti» [Soresi e Nota 2020, 9] mettendo in evidenza come alcune dinamiche del mercato {p. 107}del lavoro, caratterizzate da estrema fluidità, incertezza, precarizzazione dei ruoli professionali, si presentino come «minacce» per la progettazione di un futuro di qualità per tutti, anche in relazione alla predominanza di visioni neoliberiste che tendono a trascurare il benessere delle persone e il loro diritto all’autodeterminazione.
Le Linee guida per l’orientamento del dicembre 2022, che si collocano all’interno della Missione 4C1 del PNRR Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università e che impegnano significative risorse finanziarie richiamano esplicitamente la definizione di orientamento condivisa tra governo, regioni ed enti locali, sopra richiamata. Tuttavia, andando oltre la definizione, introducono elementi di novità che sollecitano alcune domande. Una questione di fondo riguarda il modello di orientamento al quale si riferiscono. È in continuità con le precedenti linee guida del 2014, esito di un lungo processo che ha impegnato anche la comunità scientifica, che pure vengono esplicitamente richiamate? Se sì, qual è il senso di far partire gli interventi di orientamento, come sistema strutturato e coordinato «dal riconoscimento dei talenti, delle attitudini, delle inclinazioni e del merito degli studenti»? Anche superando il limite del richiamo alle attitudini e alle inclinazioni, che come abbiamo da tempo imparato con John Bissell Carroll e dal mastery learning non necessariamente costituiscono un limite alla propria progettualità, resta sempre il sospetto che vi sia sottesa un’idea di orientamento che sposti la centralità delle azioni al miglior matching tra tratti personali e scelte formative e professionali privilegiando un’ottica funzionalista piuttosto che centrata sulla ricerca e maturazione di una propria identità che richiama dimensioni esistenziali, interessi, valori, sostenibilità.
Come opportunamente ha osservato Antonia Cunti [2023, 212] la questione
è se effettivamente talenti, attitudini, inclinazioni e merito possano essere considerati un prima e, di conseguenza, l’insegnamento come un’operazione di accompagnamento ad una sorta di disvelamento. Se si assume che l’insegnamento dovrebbe contribuire {p. 108}al definirsi degli studenti come soggetti, si può ipotizzare che tutto quanto viene indicato come una premessa potrebbe invece costituire un esito.
Se a questo si aggiunge una certa enfasi sulla personalizzazione dei piani di studio e un richiamo alla certificazione delle competenze quale strumento di riorientamento per favorire i passaggi fra i percorsi di studio del sistema nazionale di istruzione e i percorsi dell’istruzione e formazione professionale regionali o l’apprendistato formativo, si avvalora il rischio che talenti, attitudini inclinazioni e merito possano tradursi in strumenti di discriminazione, sia pure all’interno di una convinzione di aderenza a un principio di realtà, piuttosto che in funzione di promozione e valorizzazione.
Una questione di fondo è quella della collocazione delle attività di orientamento all’interno del curricolo. Se nelle precedenti indicazioni risultava ben chiaro, con la formula della didattica orientativa, che le azioni di orientamento nella scuola si connotano come processo che investe trasversalmente, sia pure con diversi gradi di specificità, l’azione educativa e che riguarda tutti i docenti e la comunità educante nel suo complesso, nelle ultime linee guida non si percepisce allo stesso modo tale evidenza. Il richiamo all’orientamento come processo che parte sin dalla scuola dell’infanzia è appena accennato, peraltro con un riferimento al riconoscimento dei talenti e delle attitudini che rimandano, come si diceva, a una concezione «datata» di orientamento, prevalentemente finalizzato a ricercare la migliore corrispondenza tra tratti personali e sviluppo professionale. Vale invece la pena ricordare la fecondità di molte ricerche che hanno esplorato lo sviluppo e il potenziamento delle funzioni esecutive, sin dai primissimi anni, in relazione all’orientamento [Branstetter 2016; Daffi et al. 2022; Frassoni e Marzocchi 2020; Pellerey 2020].
Le linee guida sembrano invece quasi prevalentemente orientate a fornire indicazioni per la scuola secondaria. E tra queste indicazioni spicca in particolare quella che impone nelle secondarie di primo e secondo grado la realizzazione di moduli curriculari di orientamento di 30 ore, che peraltro nella secondaria di primo grado e nelle prime due classi
{p. 109}del secondo grado, possono essere anche extracurricolari. Si deve pur osservare che nello stesso testo si richiama l’esigenza di non intendere i moduli come «contenitore di una nuova disciplina» evidentemente avvertendo il rischio di distinguere, di fatto, le attività di orientamento, proposte attraverso specifici moduli, dal curricolo scolastico. Infine gli stessi moduli diventano oggetto di specifica documentazione nell’e-portfolio, ulteriore dettaglio che rimanda ad una distinzione se non separazione.
Note