Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c2
Esaminando i modi d’uso della
comunicazione – la componente illocutiva degli atti linguistici – si osserva una
crescente rilevanza delle dimensioni espressive, in cui predomina un atteggiamento
emotivo nei confronti dei vissuti soggettivi, rispetto a quelle referenziali e
conversazionali. I
¶{p. 49}modi d’uso «espressivi» sono stati
considerati nel contesto del crescente rilievo delle emozioni nella comunicazione
(emotionalization). Le sentiment analysis
attestano l’importanza delle emozioni nel coinvolgimento di un «pubblico affettivo»
[Papacharissi 2014], attento a riconoscere le pretese di autenticità quali componenti di
una ricostruzione della fiducia politica tra il ceto politico e i cittadini. Si è
formata una sfera pubblica «emotivizzata» che condivide stati d’animo e in cui le
emozioni negative (indignazione, rabbia, ecc.) prevalgono su quelle positive (gioia,
speranza, ecc.). Ciò è emerso in modo esasperato durante il confinamento in cui l’uso
pervasivo dei social media è stato correlato alla crescita di disturbi di ansia e
aggressività [Boursier et al. 2020].
Un altro aspetto caratteristico
della dissoluzione della sfera pubblica politica, per effetto delle forze centrifughe
del web, è la creazione di «casse di risonanza frammentate e chiuse in se stesse […] che
si sigillano dogmaticamente» [Habermas 2021a, 4901]. Numerose ricerche empiriche sulla
comunicazione politica nei social network confermano il problema dell’«omofilia» di reti
composte da gruppi di individui con orientamenti simili e favorevoli a
priori nei confronti di un candidato o partito [Jungherr et
al. 2017]. L’effetto è una clusterizzazione sistematica della discussione
sui social media. Questa balcanizzazione trova espressione nella costituzione di
echo chambers in cui si «ascoltano principalmente echi più
forti della propria voce» [Sunstein 2007, 13] e le opinioni sono riaffermate
(confirmation bias) in un circuito informativo autoreferenziale
[Vargo et al. 2014]. Si tratta di vere e proprie filter
bubbles [Pariser 2011] in cui gli utenti interagiscono con gli altri
like-minded, esponendosi a messaggi con valenza simile.
Le comunicazioni online più che
riflessioni e discussioni veicolano delle espressioni di sostegno da parte dei
sostenitori verso i loro beniamini e delle espressioni di attacco contro i nemici. Tra i
modi d’uso «conversazionali» della comunicazione politica, cioè tra quelli che si
riferiscono alle interazioni degli attori politici con il pubblico e tra i follower, le
argomentazioni sono sempre meno diffuse rispetto alle mere dichiarazioni, agli annunci e
alle promesse, agli inviti ¶{p. 50}alla mobilitazione e soprattutto alle
polemiche. Si assiste a una sorta di circolo vizioso per cui la polarizzazione della
comunicazione politica intorno a posizioni ideologiche radicali, a sua volta, favorisce
azioni di Negative Campaigning [Barberá e Rivero 2014].
I social network sono un ambiente
comunicativo caratterizzato da inasprimenti sistematici del linguaggio, ben al di là di
normali critiche, polemiche, sarcasmi e ironie della contrapposizione politica. Da
alcuni anni, infatti, i discorsi di incitamento al disprezzo e all’odio (hate
speech) sono una presenza costante e minacciosa nella sfera pubblica
digitale. Talvolta l’intolleranza verbale può preludere a concreti atti di aggressione
ma «lo hate speech produce danni anche solo restando in forma di parola, danni
individuali psicologici nelle vittime dell’odio e danni sociali, poiché la forza
discriminatoria e intollerante dell’incitamento all’odio introduce nella sfera pubblica
fratture e conflitti non argomentabili» [Petrilli 2022, 120]. Per la loro pervasività è
importante saperli definire, considerando sia la loro struttura enunciativa
non-descrittiva che i loro elementi costitutivi:
a) l’espressione che nomina una modalità di esclusione; b) il riferimento esplicito al parlante-hater, assicurato dai pronomi di prima persona (io/noi); c) il riferimento esplicito al target da escludere, assicurato da nomi o da pronomi di terza persona (lei/lui, loro); d) il riferimento esplicito all’interlocutore incitato a condividere l’esclusione del target, assicurato dai pronomi di seconda persona (tu, voi, noi) [ivi, 125].
Altri due elementi ricorrenti nel
discorso d’odio sono la «viralità», ovvero la facilità con cui è condiviso e il legame
con le fake news [Scamuzzi et al. 2021].
Le camere d’eco possono condurre a
forme di radicalizzazione della partigianeria, di estremismo violento e difficoltà a
distinguere le notizie vere dalle false. Si tratta di network in cui circolano
informazioni alternative rispetto a quelle mainstream della sfera
pubblica politica. La proliferazione di questi «anti-pubblici» polarizzati è il terreno
fertile per l’affermarsi di arene «post-discorsive» in cui si diffondono ipotesi, tesi e
giudizi «non validabili». Un ¶{p. 51}concetto semanticamente ambiguo
come quello di «post-verità» [McIntyre 2018; Rosenfeld 2019] trova in tal senso
un’accezione pertinente per descrivere il lato attitudinale della crisi epistemica in
corso, cioè l’atteggiamento di discredito nei confronti delle pretese di verità su fatti
ed eventi della comunicazione istituzionale [Habermas 2021a, 493]. Questi anti-pubblici
manifestano un livello di ostilità nei confronti della cultura ufficiale che li rende
differenti dalle sfere pubbliche oppositive di Fraser, Negt e Kluge, e Warner da quelle
«agonistiche» di Mouffe. Ne sono degli esempi i siti del suprematismo bianco
dell’estrema destra americana, i blog che contestano le conoscenze scientifiche sui
mutamenti climatici e le comunicazioni online dei negazionisti del Coronavirus e dei
No-vax [Habermas 2021b, 143].
Un problema sempre più pervasivo è
la crescente infiltrazione di fake news prodotte da questi network
anti-pubblici nella sfera pubblica. I social media sono un ambiente comunicativo in cui
vi è un aumento di notizie fuorvianti e/o false e un orientamento più diffuso a produrle
e utilizzarle intenzionalmente a fini manipolatori, cioè per influenzare le opinioni, i
giudizi e i comportamenti dei cittadini [Lazer et al. 2018]. Quello
della manipolazione è un tema classico degli studi sulla propaganda politica e
sull’industria culturale che oggi è tornato in auge. È ampiamente riconosciuto che
fake news è un termine ombrello piuttosto che una nozione
coerente [Levi 2018]. Ma non mancano tentativi di fornire una panoramica abbastanza
esaustiva delle definizioni più frequenti [Habgood-Coote 2019; Pepp, Michaelson e
Sterken 2019]. Il punto in comune tra queste definizioni è che le fake
news assomigliano a notizie reali senza esserlo. Il concetto non si
riferisce solo alle menzogne su dati e persone ma anche alle verità parziali
decontestualizzate o combinate con elementi falsi al fine di indurre in errore
l’opinione pubblica. Le disinformazioni si mescolano alle informazioni dei media
tradizionali e si riversano nelle conversazioni quotidiane dei pubblici che ne
alimentano la circolazione. È ciò che è accaduto nella sindemia da Coronavirus per cui
l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione ha utilizzato il termine
¶{p. 52}disinfodemic [Unesco 2020]. A seconda
che la condivisione di informazioni false o fuorvianti sia volontaria o meno si
distingue tra pure disinformation e misinformation
[Jaster e Lanius 2020]. Tandoc et al. [2018]
sottolineano che talvolta le informazioni false sono percepite come vere sia dal
creatore che dai propagatori. Per la società, la misinformation è
almeno altrettanto dannosa quanto la disinformazione, poiché ha un impatto su un gruppo
più ampio di persone. Molto spesso le persone sono bullshitter, nel
senso che non sono interessate a sapere se una particolare affermazione sia vera o falsa
e riluttanti ad affrontare opinioni contrastanti [Frankfurt 2005, 33-34]. L’aspetto che
allarma è la distorsione generalizzata della percezione della sfera pubblica politica,
per cui dal punto di vista delle persone interessate le fake news
non possono più essere identificate come tali. Ciò genera anche una sfiducia
generalizzata verso il sistema informativo dei mass media [Hohlfeld 2020; Habermas
2021a, 493]. È l’allarme lanciato dalla The Royal Society [2020] sul circolo vizioso tra
infodemia e disinformazione-misinformazione che ha alimentato sfiducia nella scienza
«ufficiale», negli esperti, nelle aziende farmaceutiche e nella comunicazione
istituzionale.
Non mancano certo giornalisti e
comunicatori che professionalmente si occupano di mettere in circolazione informazioni
verificate e fare attività sempre più approfondite di de-bunking,
dimostrando l’infondatezza di notizie o affermazioni false [Sorrentino 2022, 54]. E
tuttavia, numerosi studi sul fact-checking delle fake
news attestano la difficoltà di questa impresa sia per le resistenze
degli anti-pubblici sia per gli effetti collaterali delle pratiche di
de-bunking. Le notizie non verificate che pure si sono rivelate
false si diffondono più viralmente e sono più coinvolgenti e persistenti di quelle
verificate [Giglietto et al. 2016; Petrilli 2022, 132].
Le piattaforme dei social media
forniscono, infine, un ecosistema comunicativo prolifico per il populismo – un concetto
molto usato ma ambiguo. Nonostante l’indeterminazione concettuale che lo circonda,
specifici fattori strutturali favoriscono la sua affermazione e due classi di componenti
fondamentali lo definiscono. ¶{p. 53}
Sul piano dei contenuti ideologici
si riscontra una convergenza delle dottrine storico-politiche sugli elementi del
populismo rilevati dalle ricerche empiriche [Engesser et al. 2016;
Bracciale e Martella 2017; Santaniello, Palladino e Vitale 2017]. Il populismo è un
insieme di idee politiche, ma non è denso e articolato come le altre ideologie e perciò
viene definito una «ideologia sottile» (thin ideology, cfr. Mudde
[2004]) adattabile a contesti differenti. Il primo elemento è l’enfasi sulla volontà del
popolo, rappresentato come comunità omogenea, autentica e virtuosa e verso cui si
manifesta persino una «produzione estetica di prossimità» [Müller 2017, 61]. Il secondo
è l’attacco alle élite corrotte – economiche, istituzionali, mediatiche e intellettuali,
con la retorica del «basso» contro l’«alto» – il «blocco dominante» [Laclau 1977,
172-173]. I populisti alimentano la polarizzazione permanente della società contro i
poteri forti ricorrendo a narrative della cospirazione e del complotto – due aspetti
centrali nella narrazione dei negazionisti del Coronavirus e nel fronte No-vax. Il terzo
è l’ostracismo degli «altri», considerati una minaccia all’integrità nazionale, secondo
la logica del «noi contro di loro» e/o ricorrendo alle strategie del capro espiatorio
con i «nemici esterni» che limitano la sovranità popolare (i poteri finanziari, le
burocrazie europee). L’ultimo è un autoritarismo che prende corpo in un leaderismo
carismatico che interpella direttamente il popolo attraverso espressioni plebiscitarie
[Habermas 2011, 82] formulate su social media o piattaforme online: «leader, movimenti e
partiti populisti si inseriscono in un vuoto di rappresentanza che viene colmato dalla
identificazione con il leader carismatico e da organizzazioni leggere, reticolari, che
trovano nelle tecnologie digitali una risorsa cruciale per rivendicare tutto il potere
al popolo» [Affuso e Raniolo 2022, 109].
Sul piano degli stili comunicativi
vi sono aspetti retorici ritenuti più in sintonia con la cultura popolare della «gente
comune», connotati da informalità del linguaggio, semplificazione tematica, narrazione
(storytelling), strumentalizzazione dei fatti,
drammatizzazione, provocazioni, lessico triviale ed emozionalità negative, e condensati
nell’espressione «politica pop» [Mazzoleni e Sfardini 2009]. Questi elementi dello stile
¶{p. 54}comunicativo possono essere più o meno populisti a seconda di
quanto i concetti opposizionali di «popolo» ed «élite» siano preminenti. Il
framing populista è riuscito a mobilitare, in una situazione
non contingente di disincanto verso i partiti tradizionali, recessione economica e
precarizzazione delle condizioni di vita, il potenziale antagonista e ostruzionista
degli oppositori di sistema grazie a campagne che si pongono in antitesi ai principi di
argomentazione, evidenza, veridicità, reciprocità, buona fede e inclusione [Habermas
2021a, 497].