Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c2
La fine dell’esclusività del modello piramidale di sfera pubblica, dominato dalla comunicazione di massa, provoca
{p. 44}una tendenza «centrifuga». Se i circuiti comunicativi dei vecchi media sono centripeti e unificano i cittadini in una stessa comunità politica, i siti Internet e i social media non possono svolgere le funzioni di «filtro», «cassa di risonanza» e «sistema di allerta» delle opinioni pubbliche generali. La struttura della rete distrae e disperde in una miriade di gruppi frammentati sul piano funzionale, tematico e personale. La crescita del nuovo sistema mediale si accompagna, quindi, alla differenziazione della sfera pubblica, con molteplici media, fonti, forme e contenuti – e alla frammentazione di una miriade di «semi-pubblici».
Un terzo aspetto riguarda il carattere di «piattaforma» dei social media, come Facebook, YouTube, Instagram, Twitter, TikTok, ecc., che solo apparentemente favoriscono delle relazioni orizzontali, egualitarie e non regolate da parti terze. Si assiste, per contro, a una concentrazione di potere nelle grandi corporazioni digitali. Sebbene questi «custodi di Internet» si presentino come fornitori di servizi neutrali, l’idea di piattaforme prive di controllo è un’illusione [Gillespie 2018].
L’attenzione si concentra su acquisizione, elaborazione e uso in modo quasi automatico di dati massivi (big data) sulle azioni e sulle interazioni degli utenti. Le piattaforme online operano una traduzione in dati di comportamenti come, ad esempio, i like, i commenti, le pagine che guardiamo e gli account che seguiamo, i contenuti condivisi, il genere e il tempo di visione di filmati, le ricerche di notizie, servizi, prodotti, ecc., e molte altre attività tracciate, compresi i device che stiamo utilizzando, il tempo passato sulla piattaforma, le posizioni gps: «La datificazione è la capacità delle piattaforme online di tradurre sotto forma di dati degli aspetti della realtà che precedentemente non erano quantificabili. Non solo quindi variabili sociografiche o preferenze degli utenti ma anche i meta-dati che ci accompagnano nella vita quotidiana» [Boccia Artieri 2022, 63]. Ai modelli di datificazione sempre più complessi si accompagna l’uso massiccio degli algoritmi senza che vi sia una consapevolezza di quanto la vita quotidiana digitale sia piena di contenuti selezionati algoritmicamente [tra i tanti cfr. {p. 45}Ceron, Curini e Iacus 2017]. Datificazione e algoritmi sono le due modalità costitutive dello spazio digitale e connettivo della Petabyte Age [Manovich 2012; Boyd e Crawford 2012; Boccia Artieri 2014].
Riflettendo sulle logiche di governo delle piattaforme, che sono strutture proprietarie, Van Dijck, de Waal e Poell parlano di platform society, enfatizzando «l’inestricabile relazione tra le piattaforme online e le strutture sociali» [2018, 24]. Tra i molti aspetti della platformisation ci limitiamo qui a segnalare le incombenti violazioni della libertà personale cagionate da quel controllo, la mercificazione dei dati sui comportamenti sociali, la disintermediazione della sfera pubblica e i possibili effetti sulla comunicazione politica.
Vi è una coincidenza tra l’affermazione delle reti digitali e la diffusione globale del programma economico neoliberale. Come scrive Colin Crouch quella che «sembrava essere una tecnologia di liberazione e democrazia finisce così per favorire un manipolo di individui e gruppi estremamente ricchi» [2020, 6-7]. L’empowerment degli utenti attraverso i social media ha il suo rovescio nella produzione di una nuova dipendenza, che è stata ben analizzata da Shoshana Zuboff attraverso l’espressione «capitalismo della sorveglianza» [2019]. Le piattaforme digitali si nutrono primariamente di informazioni a uso commerciale e in tal senso «promuovono un’ulteriore spinta verso la mercificazione dei contesti del mondo della vita» [Habermas 2021a, 483]. I social network dipendono da multinazionali quotate in borsa, che traggono i profitti dall’ottenimento e dallo sfruttamento dei dati personali attraverso la profilazione degli utenti di Internet e dei social network mediante algoritmi e tecniche di clustering e classificazione.
Le piattaforme sono, inoltre, al centro dell’interesse per la crescita della manipolazione attraverso la disinformazione – un fenomeno potenziato e accelerato che preoccupa per la formazione dell’opinione pubblica e il funzionamento della democrazia. I casi Cambridge Analytica e dell’Internet Research Agency russa hanno messo in luce i rischi dell’uso delle piattaforme e delle logiche algoritmiche [Boccia Artieri {p. 46}2022, 58]. Tuttavia, è abituale il ricorso alla social network analysis per campagne elettorali condotte con strategie data-driven per la rilevazione e previsione delle disposizioni-azioni di segmenti di elettorato mobilitabili e convertibili.
Ancora libere da una vera e propria regolamentazione, le piattaforme veicolano informazioni ma differiscono profondamente dai media tradizionali. Le multinazionali del digitale offrono illimitate possibilità di networking come se i social network fossero «lavagne bianche». Non sono responsabili dei «programmi», cioè di contenuti informativi prodotti professionalmente e filtrati editorialmente: le piattaforme non creano, non editano e non selezionano, come i classici editori o le agenzie di notizie nella stampa, radio o televisione. Si limitano a creare nuove connessioni come intermediari e a sfruttare il reporting a fini commerciali [Habermas 2021a, 496]. La platformisation della sfera pubblica sta diventando un fattore di crisi per i media mainstream, a causa della diminuzione dell’influenza giornalistica. In particolare, sembra ridimensionata la rilevanza del giornalismo «di qualità» come gatekeeper con funzioni di agenda setting e di framing delle notizie e approfondimenti di interesse generale a favore di opinioni pubbliche riflessive. Viene meno la costruzione dei «taciti presupposti» della comunicazione pubblica e del senso comune da parte del giornalismo «quando mette in comune modi di vedere e di pensare, rappresentazioni della realtà e sue interpretazioni» [Sorrentino 2022, 46].
Pur nel quadro di un processo di decentralizzazione e perdita di controllo del newsmaking, esaminando il rapporto tra il flusso di comunicazioni dei social network e gli attori istituzionali del sistema mediale va notato che i ricercatori hanno rilevato molteplici forme di re-intermediazione dell’«ecosistema mediale ibrido». Con questa espressione, Andrew Chadwick ha inteso descrivere l’ambiente della comunicazione odierna come caratterizzato da un insieme di «logiche mediatiche che competono e si sovrappongono» [2013, 21]. La tesi è che siano compresenti molteplici tecnologie, generi, norme, condotte e forme organizzative in parte collegate e in parte no all’interno di sfaccettati «cicli di comunicazione» [ivi, 64]. {p. 47}
I professionisti della comunicazione continuano ad essere tra i principali protagonisti, ma in stretta connessione con il potenziale interattivo del web [Boccia Artieri 2022, 61]. Gli studi sull’informazione mostrano come il sistema giornalistico si stia adattando ai nuovi ambienti mediali: cura la presenza online, considera gli utenti come fonti e pubblici, utilizza le metriche web nella selezione delle notizie e le tratta come una forma misurabile e attendibile di feedback dei lettori. Inoltre, accanto ai giornalisti tradizionali vi è una generazione ibrida di giornalisti e comunicatori – citizen journalists, bloggers, youtubers, storytellers, social reporters –, si formano gli ambiti di storytelling, visual journalism, data journalism e infografica ed è in atto una fusione di agende [agenda melding, cfr. Shaw e Weaver 2014] tra i contenuti virali della rete e quelli dei media broadcast.

3. Tendenze della comunicazione politica

È alla luce di questi mutamenti di struttura della sfera pubblica che meglio si comprendono le tendenze in corso nella comunicazione politica, in una situazione da tempo caratterizzata da campagne elettorali permanenti [Blumenthal 1980]. Per semplicità, possiamo focalizzare quattro aspetti relativi alle modalità d’uso del linguaggio, alle forme comunicative e ai contenuti semantici dei messaggi politici: a) la spettacolarizzazione, personalizzazione ed emozionalizzazione della comunicazione politica; b) la polarizzazione tra fazioni opposte costituite in echo chambers; c) le posizioni «post-verità» degli «anti-pubblici» e la propagazione delle fake news; d) la diffusione di uno stile comunicativo e di una ideologia di tipo populista.
Nella dottrina deliberativa, le discussioni delle élite dovrebbero collegarsi con le conversazioni di una società civile pronta ad accoglierle e rispondervi in un processo di apprendimento collettivo che costituisca opinioni pubbliche riflessive. Le ricerche, tuttavia, sono concordi nel valutare che i politici non utilizzano i social network per favorire le condizioni di una democrazia deliberativa e i cittadini, per {p. 48}parte loro, contribuiscono in scarsa misura a migliorare il confronto pubblico. Negli stessi media prevale la tendenza alla semplificazione e alla spettacolarizzazione, la ricerca di ciò che «fa notizia». La diffusione dell’infotainment – il miscuglio di informazione e intrattenimento è il fenomeno più evidente della «popolarizzazione» di una politica ricondotta ai codici della cultura popolare (dumbing down, cfr. Temple [2006]). La comunicazione politica assomiglia molto a uno spettacolo in cui gli attori principali discutono in termini autoreferenziali davanti al pubblico e la ricerca del consenso si adatta alle logiche della celebrità e della viralità.
Un aspetto complementare che ridefinisce la tradizionale separazione tra «pubblico» e «privato» è la «personalizzazione» dei dibattiti politici. E va osservato che durante la sindemia la mediatizzazione delle personalità non ha risparmiato gli scienziati e gli esperti la cui sovraesposizione ha finito per generare l’effetto opposto di screditarne i saperi per troppa aderenza alla politica governativa. Questo cortocircuito si colloca in una tendenza di lungo periodo a favore della spettacolarizzazione della politica e della «leaderizzazione» delle posizioni in campo, favorite da un giornalismo votato alle soft news rispetto all’interesse pubblico per le hard news [McManus 1994]. Gli studi comunicativi hanno considerato queste tendenze sotto due dimensioni: l’«individualizzazione», ossia i riferimenti alle qualità professionali e all’impegno con cui gli attori politici si autodefiniscono; e la «privatizzazione», cioè i riferimenti alla vita privata, familiare, sentimentale, amicale, al tempo libero, ecc. [Hermans e Vergeer 2012; Enli e Skogerbø 2013]. L’importanza dell’immagine dei leader è una delle espressioni della «società delle singolarità» analizzata da Andreas Reckwitz [2017], in cui i social network offrono a tutti gli attori coinvolti delle vaste opportunità per una «autopresentazione narcisistica».
Esaminando i modi d’uso della comunicazione – la componente illocutiva degli atti linguistici – si osserva una crescente rilevanza delle dimensioni espressive, in cui predomina un atteggiamento emotivo nei confronti dei vissuti soggettivi, rispetto a quelle referenziali e conversazionali. I
{p. 49}modi d’uso «espressivi» sono stati considerati nel contesto del crescente rilievo delle emozioni nella comunicazione (emotionalization). Le sentiment analysis attestano l’importanza delle emozioni nel coinvolgimento di un «pubblico affettivo» [Papacharissi 2014], attento a riconoscere le pretese di autenticità quali componenti di una ricostruzione della fiducia politica tra il ceto politico e i cittadini. Si è formata una sfera pubblica «emotivizzata» che condivide stati d’animo e in cui le emozioni negative (indignazione, rabbia, ecc.) prevalgono su quelle positive (gioia, speranza, ecc.). Ciò è emerso in modo esasperato durante il confinamento in cui l’uso pervasivo dei social media è stato correlato alla crescita di disturbi di ansia e aggressività [Boursier et al. 2020].