Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c6
Il terzo elemento che le figure apicali da noi intervistate hanno sottolineato come fortemente innovativo si riferisce all’espletamento di una molteplicità di attività di supporto e sostegno alla cittadinanza che avrebbero addirittura riconfigurato la relazione tra cittadini e polizia. Si tratta di un insieme di pratiche che, in buona sostanza, possono essere ricondotte entro un modello ampio di polizia di prossimità. Com’è noto, i servizi di prossimità (community policing) non comportano solo una ridefinizione del modello organizzativo nell’erogazione dei servizi
{p. 142}di polizia, ma implicano una nuova filosofia di lavoro e una ridefinizione complessiva delle funzioni pubbliche che le forze di polizia sono chiamate a svolgere [Weisburd e Braga 2006; Willis, Mastrofski e Rinehart Kochel 2010]. Fare polizia di prossimità, infatti, significa fondare la propria legittimazione sul rapporto che si riesce a instaurare con i beneficiari dei servizi di sicurezza e sulla capacità da parte della polizia di fornire una risposta ai problemi quotidiani di questi ultimi. La predisposizione di servizi di prossimità inoltre comporta l’adesione a un modello operativo in cui la prevenzione «sociale» sostituisce, almeno in parte, quella «situazionale» [10]
. Nei casi da noi considerati, tuttavia, questi interventi di prossimità non vanno interpretati tanto come un’estensione di linee d’indirizzo programmatiche, quanto nei termini di un diverso modo, dettato dalla contingenza, di interpretare il proprio ruolo di street-level bureaucrats.
Tecnicamente e operativamente si è lavorato moltissimo sull’aspetto psicologico, approcciando il cittadino in una maniera consona anche a tutto quello che egli ha passato durante il periodo della pandemia. È stato abbastanza facile perché quello che ha passato il cittadino è quello che abbiamo passato anche noi come cittadini [Questura di Varese].
Dal punto di vista operativo, questa rinnovata sensibilità si è concretizzata in interventi che hanno offerto un sostegno a beneficio delle fasce più bisognose della cittadinanza.
In primo luogo, in termini spiccatamente «pedagogici» grazie a un lavoro di applicazione/traduzione di provvedimenti normativi che venivano varati e aggiornati di settimana in settimana, quando non di giorno in giorno, e che spesso erano scritti con il linguaggio opaco della pubblica amministrazione che, in non pochi casi, ha generato anche tra i vertici stessi delle istituzioni serie difficoltà nel decodificare {p. 143}e interpretare la c.d. ratio normativa dei d.p.c.m., oltre che nel definire il loro perimetro operativo e sanzionatorio.
Fare questi controlli con rigore e con determinazione vuol dire però poter anche consigliare il cittadino che magari non ha capito bene la norma. Fargli capire qual è la ratio in quel momento del non andare a spasso senza motivo. Ecco questo è stato l’impegno di tutti noi ed anche la sfida diciamo più difficile [Arma dei Carabinieri di Napoli].
In secondo luogo, tramite un’attività di rassicurazione sociale e di supporto alle fasce più deboli: dalla consegna di pacchi alimentari alle famiglie in difficoltà, a una molteplicità di interventi nelle case e negli appartamenti in caso di allagamenti, interruzioni nell’erogazione di elettricità, blocchi degli impianti di riscaldamento, ecc., oltre che al ritiro e al recapito delle pensioni per gli anziani.

7. Conclusioni

Il quadro che emerge dai racconti dei vertici delle istituzioni impegnate nella gestione della sicurezza durante il primo anno di pandemia evidenzia una situazione «sul campo» ben diversa da quella paventata da chi, fin dai primi mesi, ha sottolineato i rischi per la tenuta delle istituzioni democratiche derivanti da uno stato di eccezione o di emergenza divenuti «permanenti». Pur in una situazione di grande difficoltà (anche in relazione a forti criticità organizzative a cui non abbiamo accennato per ragioni di spazio) e senza poter contare su piani di intervento preesistenti, le forze di polizia avrebbero dedicato non poche risorse a compiti di rassicurazione sociale e, allo stesso tempo, sarebbero state poco inclini a sanzionare – sul piano amministrativo e/o penale – le infrazioni alle regole contenute nei provvedimenti normativi che si sono succeduti a ritmo serrato per molti mesi.
I dati quantitativi relativi ai controlli effettuati e alle sanzioni erogate dalle forze dell’ordine ci mostrano tuttavia un quadro in parte differente (tab. 6.1).{p. 144}
Tab. 6.1. Controlli, denunce e sanzioni in relazione alla violazione delle misure di contenimento o dell’obbligo di quarantena: Italia, marzo 2021-febbraio 2022
Periodo
Controlli su persone
Sanzioni violazione
misure contenimento
(ex art. 4, c. 1, d.l. 19/2020)
Denunce violazione
obbligo di quarantena
(ex art. 260 r.d.n. l. 263/1934)
Marzo 2020
3.882.430
144.557
311
Aprile 2020
7.771.348
255.876
550
Maggio 2020
4.765.587
51.359
182
Giugno 2020
2.154.412
3.141
134
Luglio 2020
1.821.525
1.236
102
Agosto 2020
1.825.048
1.725
158
Settembre 2020
1.696.043
2.051
112
Ottobre 2020
2.001.910
9.603
489
Novembre 2020
2.315.347
30.716
628
Dicembre 2020
2.404.970
26.629
386
Gennaio 2021
2.781.284
34.827
395
Febbraio 2021
2.768.857
30.257
395
 
 
 
 
Nei due mesi di lockdown (dal 9 marzo 2020 al 4 maggio 2020) le sanzioni erogate si contano a centinaia di migliaia e anche durante il secondo lockdown (dal 3 novembre 2020 al 30 aprile 2021) l’attività sanzionatoria riprende vigore [11]
.
Indicazioni coerenti con i dati statistici provengono dalle interviste fatte ai magistrati dei «Gruppi Covid» che raccontano di tantissimi fascicoli, aperti a seguito dell’attività di controllo delle polizie, che hanno affollato gli uffici delle procure della Repubblica, fino all’approvazione del d.p.c.m. che ha depenalizzato il reato.
Noi abbiamo trasmesso penso un migliaio di procedimenti alla prefettura. Le denunce ci sono arrivate, sono state iscritte, e poi sono state trasmesse alla prefettura per competenza perché nel frattempo avevano cessato di essere [Procura, Bergamo].{p. 145}
I dati e le interviste, dunque, ci raccontano di una divergenza tra la rappresentazione che i vertici delle istituzioni danno dell’operato delle forze di polizia, e dei principi a cui il loro operato si sarebbe ispirato, e le modalità con cui i dispositivi normativi fortemente restrittivi della mobilità personale si sono tradotte in pratiche di controllo e in sanzioni. Intenzionale o meno, tale discrepanza costituisce uno dei lasciti meno interrogati criticamente e, forse, più gravidi di conseguenze e implicazioni future della sovrapproduzione normativa con cui i governi centrali e le autorità locali hanno tentato di governare l’emergenza.
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Note
[10] Con prevenzione sociale intendiamo il complesso delle azioni preventive volte a intervenire sulle cause sociali degli atteggiamenti delittuosi attraverso programmi centrati su rassicurazione sociale e su servizi integrativi di prossimità a sostegno della persona.
[11] I dati relativi ai controlli effettuati sulle attività commerciali mostrano un quadro simile. Dalle interviste è emerso come questi ultimi siano stati effettuati prevalentemente dalle forze di Polizia locale, mentre le forze di polizia nazionali (PS, CC e GdF) si sono occupate prevalentemente dei controlli nei confronti delle persone.