Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c5
Con la pandemia, anche l’idea di protezione dei confini ha assunto un diverso significato: da difesa dalla presunta invasione dei migranti si è trasformata in una necessaria protezione sanitaria interna. Ma gli sbarramenti hanno reso evidente che siamo tutti interdipendenti: il morbo non è arginabile a fronte di barriere fisiche. I lockdown nelle città e negli Stati hanno altresì messo in luce tensioni emergenti tra principi e priorità, come nel caso del dibattito su libertà individuale e su sicurezza/salute collettiva, scontrandosi con le continue contraddizioni sul «tutto chiuso» e sul «tutto aperto». Umoralità retorica e ricerca di un instabile consenso hanno segnato l’effetto ondivago che la pandemia ha avuto sui partiti, svuotati di orientamento e in cerca di una rilegittimazione politica, difficile da trovare a causa delle precarie soluzioni, allora a disposizione. Il malcontento e il decremento di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni politiche e delle élite al potere, che hanno caratterizzato i dibattiti populisti in anni recenti, si sono così trasformati in età pandemica in una protesta sfaccettata contro i governanti, da una parte come lotta contro il potere costituito, mentre dall’altra come richiesta per una maggiore protezione socioeconomico-sanitaria da parte dello Stato.
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6. Policrisi e cambi di paradigma epistemici

La comunicazione pubblica si è rivelata spesso contraddittoria, frantumata e incoerente per via della necessità di affrontare policrisi e pluriemergenze. Tale insicurezza ha rafforzato nei cittadini una maggiore dipendenza da un mondo parallelo, dove trovare potenziali risposte alle proprie domande, socialità e rifugio, come sopra accennato. Si è venuta così a formare una «realtà mista» (mix-reality), nell’interconnessione fra vita ordinaria (connessa a restrizioni materiali) e dimensione virtuale (costruibile e modificabile a piacimento, senza incorrere in contraddizioni, poiché l’autore diventa costruttore di fatti). Se è il linguaggio che crea «dati di fatto» nel mondo [secondo Wittgenstein 1999], come è allora possibile distinguere tali dati da «fatti creati» in un altro mondo, cioè nello spazio virtuale? Tale riflessione rimanda al dibattito sulla post-verità [McIntyre 2019], secondo cui una notizia non è vera in quanto tale, ma solo sulla base della ricezione emotiva operata dal pubblico interessato, in forma di psicodemocrazia [Giacomini 2021]. Ma può la pandemia nella sua cruda realtà patogena essere ridotta a «opinione»? La discussione su verità e post-verità rimanda a una cesura epistemica rispetto al passato, tanto da indurre un cambio di paradigma nell’orientamento comunitario e nella conoscenza scientifica, come ho cercato di sostenere nel caso delle immagini/visioni del mondo e immaginari sociali.
Nello studio su La struttura delle rivoluzioni scientifiche Thomas Kuhn [2009] definiva il paradigma come un modello in grado di risolvere enigmi (puzzle-solving) e di fornire spiegazioni scientifiche a fenomeni dati. A suo parere, una rivoluzione scientifica avviene quando un modello consolidato non è più in grado di rispondere in modo convincente a nuove domande o problemi, per cui viene superato da teorie antagoniste (come nel passaggio dell’immagine dell’universo da Copernico a Keplero), sostituendo il precedente assunto conoscitivo. Internet – definita come La quarta rivoluzione [Floridi 2017] – viene certamente a {p. 116}capovolgere e a rivoluzionare precedenti saperi, ma nello stesso tempo a duplicare il mondo conosciuto, producendo visioni che spesso diventano concorrenti nel cambio prospettico delle dimensioni di spazio e tempo (come prospettato dal metaverso).
A causa dello sdoppiamento dei parametri epistemici, grazie all’ampliamento dello spazio di comunicazione a disposizione, la credenza non trova più necessariamente conferma nel dato empirico, tale da falsificare o corroborare la teoria proposta. L’opinione trova piuttosto rifugio in posizioni fideistiche che consolidano supposte certezze nell’instabilità radicalizzata dalle policrisi conseguite all’emergenza pandemica. Una volta captate le preferenze, gli algoritmi impiegati dai motori di ricerca selezionano informazioni strettamente attinenti alle propensioni espresse dall’utente che si sente confortato ancor più (in senso commerciale e conoscitivo) circa la bontà della sua convinzione iniziale. La costruzione di «certezze» in età pandemica è così riassumibile: «il virus non esiste, perché credo in ciò che la mia comunità (online) sostiene e perché mi hanno convinto le prove che mi ha fornito». La conoscenza diventa unidimensionale, senza visioni alternative. Questa posizione dimostra tuttavia una paradossale ricerca della verità e della sicurezza che si capovolge nel suo contrario, favorendo la dissociazione tra sfera cognitiva e dominio emotivo, ovvero tra visioni/convinzioni suffragate via Internet da una parte e la sconveniente accettazione della realtà letale del virus dall’altra.
Tali convinzioni mentalmente inoculate e consolidate da processi identitari nella costruzione di gruppi affini fungono da ripetitori di false notizie e di video distorti/falsificati, sostenuti da una propaganda sofisticata e manipolatrice che sostituisce le tradizionali modalità di costruzione del consenso politico. Si ricordino le testimonianze di persone che seppur in fin di vita negavano l’evidenza del loro stato. I confini tra vita online ed esistenza offline tendono a dissolversi, tanto da confluire in un’unica e indifferenziata infosfera, dove informazioni e immagini possono essere capovolte nel loro contrario.{p. 117}

7. Libertà non-emancipativa

In 1984, Orwell [2016] evoca il bispensiero (doublethink) come espressione di quel meccanismo mentale che fa credere all’individuo come vero qualunque concetto, così come il suo contrario, salvo fargli dimenticare subito tanto l’opinione sostenuta, quanto l’atto del dimenticare. La ripetizione delle asserzioni: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù» fa della menzogna la verità e con essa il controllo di passato, presente e futuro.
Durante la crisi pandemica, non solo si è palesato il cambiamento di immagini/visioni del mondo, immaginari sociali e paradigmi scientifici, bensì si è assistito al mutamento concettuale e pragmatico dell’orizzonte politico. In particolare, l’idea di libertà (quale principio fondativo dei diritti umani, base dell’autonomia individuale contro ogni imposizione esterna) [Urbinati 2020] ha acquisito una nuova valenza attraverso i social media, con conseguenze sulle scelte personali e sulla formazione di movimenti online e in presenza. La «lotta per la libertà, l’autodeterminazione e la disubbidienza civile» hanno così trovato una diversa rappresentazione pubblica rispetto alle mobilitazioni politiche del passato. La lotta contro il dominio viene rappresentata con l’immagine di persone unite in rete e in presenza contro le misure restrittive dello Stato, come nel caso dei provvedimenti per il lockdown, l’obbligo delle mascherine e la politica dei vaccini con il rilascio del green pass.
La costituzione del movimento dei No (No-mask, No-vax, No-green pass, composto da inedite alleanze fra persone e gruppi dalla diversa origine politica) ha indicato la formazione di nuovi fronti anti-istituzionali e antisistema che elaborano i precedenti temi populisti della lotta contro il potere costituito e le élite [Müller 2022], senza proporre visioni trasformative o emancipative, bensì spesso azioni eversive. Il nemico da combattere non è più il virus, bensì il potere economico delle Big Pharma e quello politico dei governanti, colpevoli di indurre nuove forme di sfruttamento e introdurre obblighi che limitano l’esercizio delle libertà individuali. La libertà di autodeterminare le scelte riguar{p. 118}danti la propria salute e il diritto alla disobbedienza civile diventano le premesse per mobilitazioni inedite.
Nuovi immaginari della «protesta» e della «resistenza» vengono così creati in nome della libertà, con conseguenze violente. Si ricordi l’audio inviato su Telegram nel settembre 2021 da una militante, in previsione della manifestazione contro le misure prese dal governo Draghi in materia di green pass:
Questa manifestazione è soltanto un simbolo ma l’obiettivo è crescere, finché ci sarà la libertà da difendere […]. Noi siamo contrari a ogni forma di violenza, ma sappiamo perfettamente cosa sia la legittima difesa. Saremo gli angeli custodi di quelle mamme, di quegli uomini che combattono la loro battaglia per la libertà. Con tutti i mezzi [Ciculli 2022].
La manifestazione indetta a Roma a Piazza del Popolo il 9 ottobre 2021 terminò con un brutale assalto alla sede della Cgil, a opera di militanti dell’estrema destra. La presunta libertà di opposizione acquista caratteri eversivi, come nel caso dell’attacco a Washington di Capitol Hill (6 gennaio 2021), quando i patriots mobilitati dal commander in chief Trump pensavano di agire per una buona causa contro la presunta ingiustizia dovuta a brogli elettorali, sempre in nome della libertà.
Il panorama politico diventa ibrido nella commistione di determinazioni differenti. Strumentalizzazioni politiche sedimentate negli anni attraverso influenze sui destini elettorali e l’impiego di trolls [Zhang 2022] vengono rafforzate da una concezione neoliberista e assolutistica della libertà, intesa in senso strettamente individualistico e irrelato. Ma nel caso del virus, la libertà può essere difficilmente intesa solo come libertà «di» (fare qualcosa) o «da» (affrancarsi da costrizioni), dal momento che la libertà – soprattutto in casi dove nessuno è al sicuro – è piuttosto da concepire in senso normativo come un operare «per» (il bene comune) e «con» (assieme agli altri). Nel nostro caso significa responsabilità di non infettare e diritto di non essere infettati per la noncuranza altrui, in modo da contribuire a recidere la {p. 119}catena del contagio. La libertà è una questione di relazioni concrete, a differenza della sensazione di totale e illimitata libertà che si esperisce nell’ambiente digitale.
Il dibattito su libertà e diritto alla privacy implica inoltre la riflessione sulla libertà di informazione e sui suoi «limiti», al fine di combattere la propaganda di notizie false e linguaggi d’odio. Proprio per questo, durante la pandemia la lotta contro le fake news – ovvero la misinformazione (causata dall’ignoranza), la disinformazione (dovuta al dolo) e l’infodemia (determinata dalla difficoltà di districarsi fra innumerevoli notizie, spesso contrastanti) – è stata fortificata grazie a processi di fact-checking e debunking, ovvero con pratiche del mettere in dubbio o smentire certe informazioni, basandosi su metodologie scientifiche [Open 2023]. La contro-informazione assume qui una doppia torsione: dall’informazione ufficiale si vira verso una supposta verità concorrente, per poi giungere alla sua smentita fattuale tramite processi di validazione.

8. Proteste tra negazionismo e complottismo

Visioni, immaginari e argomentazioni del «contro» e del «no» permangono nel web e si consolidano nel tempo, producendo posizioni negazioniste e cospirative dalle antiche radici, ma rinfocolate durante la pandemia.
Il negazionismo (denialism in inglese, inteso come processo di rimozione) riguarda tanto la negazione di un fenomeno effettivo o storicamente dato, quanto il riconoscimento della sua entità. Si tratta di un fenomeno complesso studiato anche dalle neuroscienze e dalla psicolinguistica, quale processo che comporta l’autoinganno e meccanismi inibitori [Beltrán, Liu e de Vega 2021]. Rifiuta di riconoscere dati di fatto o verità scomode. Il complottismo (conspiracism, inteso come processo cospirativo) [Muirhead e Rosenblum 2019; Solinas 2022] concerne la tendenza a individuare dietro a ogni evento una verità nascosta o un intrigo di potere a scapito dei cittadini, dove l’avversario viene demonizzato [Douglas, Sutton e Chickocka 2017]. Contro la paura dell’ignoto viene introdotta la soluzione
{p. 120}più semplice: la pandemia è frutto di una macchinazione. Il «cospirazionismo del dubbio» e le «pratiche del sospetto» svigoriscono così ogni affermazione nella sua dizione.