Sergio Brillante
«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c3
Che i contenuti di quella lunga e dettagliata relazione non provenissero dalla sua penna doveva essere chiaro a tutti già allora. Non si capirebbe altrimenti perché nell’opuscolo contenente il testo dell’intervento, prontamente pubblicato da Mondadori, abbondino riproduzioni del manoscritto mussoliniano, quasi a voler spegnere quel sospetto con una lunga e inutile serie di prove [29]
. Lo studioso che fornì il materiale per quella pubblicazione era stato Ettore Pais (1856-1939) [30]
, antichista di rilievo, divenuto rapidamente
{p. 119}storico di fiducia del regime. In quegli anni egli si occupò in modo particolare delle guerre puniche in preparazione di un volume sull’argomento [31]
e il peso assegnato a tale evento nella relazione di Mussolini non può quindi stupire. Così, a Perugia, il duce, diventato professore, sottolineò i difficili inizi del potere romano sul mare, ostacolato da Etruschi e Cartaginesi, ma giunse infine a celebrare il potere ottenuto anche in quell’ambito negli anni della prima guerra punica, quando si vide «scendere in mare la prima flotta militare di Roma» (264 a.C.). Sarebbe stato quello il principio di una storia che poi avrebbe condotto al principato di Augusto, quando «l’impero di Roma» conobbe «la sua massima potenza».
Quel discorso servì a dettare una linea della politica culturale fascista, che da allora fece della romanità il suo punto di forza, ma anche a mostrare al pubblico internazionale la volontà di riprendere una politica espansionista rivolta verso le regioni d’oltremare. Mussolini volle cioè sostenere di fronte al mondo la forza dell’Italia e la sua tradizionale vocazione alla conquista, reclamando così per la sua nazione il ruolo di arbitro delle sorti del Mediterraneo che le spettava per diritto storico [32]
.
Le colonie già possedute dall’Italia non costituivano un’efficace soluzione di annosi problemi nazionali, ma trovavano il loro senso maggiore quando erano mostrate al pubblico internazionale come germe di più alte e grandiose aspirazioni. Ed è su questa sbandierata volontà di potenza {p. 120}che si innesta la retorica della romanità, secondo cui a Roma spetterebbe una funzione civilizzatrice di portata universale; l’Antico diventava figura di ciò che si voleva vedere realizzato nel presente. Rispetto al discorso rivolto agli Italiani di stanza in colonia, stupisce in questo caso l’ampiezza ipertrofica del riferimento alla storia romana. La ragione di questo ulteriore mutamento nella manipolazione della materia va allora individuata nella ricerca di una legittimazione di fronte a un pubblico ancora diverso; non più gli Arabi o i «fascisti di Tripoli», ma i rappresentanti di una élite colta e cosmopolita, che generalmente si riconosce nel pregiudizio classicistico della romanità come forma massima di civiltà. La spiegazione pacata e cattedratica della maestosa traiettoria romana, da città di umili origini a impero universale civilizzatore, è già pienamente accettata da quegli studenti che si trovano in Italia anche in ragione di questa sua storia millenaria. Le pretese della nuova Italia potevano da loro essere più facilmente accettate attraverso il filtro dell’antica Roma.

3. Wilamowitz in terra greca

Se, in seguito all’azione dispiegata da Volpi, la Tripolitania poteva ormai essere considerata in patria come completamente assoggettata, lo stesso non poteva dirsi della Cirenaica, dove era attivo un forte movimento di resistenza. Anche in questa regione il fascismo volle dunque imporsi e lo fece inviandovi come nuovo governatore, dalla fine del 1926, Attilio Teruzzi, militare che aveva partecipato alla campagna libica del 1911-1912 uscendone ferito e decorato. È il primo governatore fascista della Cirenaica e ci si aspetta molto dalla sua azione. Le operazioni militari, rivolte soprattutto alla repressione della resistenza senussita, non si fecero attendere e permisero di esaltare i veloci risultati ottenuti dalla politica fascista. Si impose quindi la volontà di mostrare i nuovi successi al pubblico internazionale ed anche in questo caso si pensò di mettere a frutto, in vista di tale obiettivo, il ricco patrimonio archeologico della regione. {p. 121}

3.1. Nascita del progetto

A differenza di quella della Tripolitania, la storia della Cirenaica sembrava rientrare soprattutto nell’ambito della grecità e i resti che emergevano dagli scavi in quella regione rinviavano molto più a questa civiltà che non al potere romano. Del 1926 era stato il ritrovamento di una monumentale testa di Zeus barbato in ottime condizioni e degni di nota erano anche i testi epigrafici che ritornavano progressivamente alla luce, come quello contenente la costituzione cittadina. Tali scoperte non avevano forse in Italia quella risonanza che spettava ai ritrovamenti effettuati sul territorio tripolitano, scenografici edifici monumentali risalenti ad età romana e collocati in una regione ben più sviluppata. Forte era però il richiamo di quegli inattesi resti di cultura greca in Nordafrica sul pubblico straniero e, particolarmente, su quello tedesco, fin da età romantica particolarmente attratto da quella civiltà con cui sentiva di condividere un’affinità che giungerà al parossismo negli anni del regime nazista. Fu su queste basi che si sviluppò il proposito di invitare a Cirene Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff (1848-1931), considerato come lo studioso di maggiore rilievo nell’ambito degli studi classici, e il rinomato esperto di epigrafia greca nonché genero del Wilamowitz, Friedrich Hiller von Gaertringen (1864-1947) [33]
. {p. 122}
Non è possibile determinare come nacque quell’idea, ma colui che ne accompagnò i primi sviluppi fu Gaspare Oliverio (1887-1956) [34]
. Formatosi all’Università di Napoli e poi alla Scuola Archeologica di Atene, Oliverio aveva avuto modo di partecipare a diverse missioni archeologiche sia a Creta che in Cirenaica, dove fu prima ispettore ai monumenti e agli scavi, dal 1916, e poi soprintendente alle antichità, dal 1924 al 1933. Un soggiorno di ricerca a Berlino, da lui compiuto nel 1926 [35]
, lo convinse dell’interesse nutrito dagli studiosi tedeschi per gli scavi cirenaici. In quell’anno fece infatti un certo rumore la pubblicazione di una memoria in italiano di Silvio Ferri all’interno delle «Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften», in cui venivano per la prima volta rese note alcune delle più ragguardevoli iscrizioni ritrovate in Cirenaica [36]
. Lo scritto non mancò di sollevare un polverone in Italia per il fatto che uno studioso italiano, stipendiato dal Ministero, avesse osato divulgare su una rivista straniera documenti ritrovati in colonia. A rendere più grave il «tradimento» vi era il fatto che la pubblicazione aveva previsto anche la collaborazione proprio del Wilamowitz, che aveva curato gli indici della pubblicazione (Register) e, da par suo, aveva anche proposto alcuni miglioramenti al testo.
Interpretando il sentimento generale, il padre scolopio di tendenze nazionaliste Ermenegildo Pistelli, sotto il nom de plume di Omero Redi, parlò di Ferri come «archeologo da redimere» e immaginò le parole di scherno dei Tedeschi: «Vedete questi Italiani! parlano di colonie, di vittoria e {p. 123}d’impero, ma senza il nostro aiuto non possono né pubblicare né commentare le epigrafi di una loro colonia» [37]
. I sentimenti antitedeschi esasperati negli anni del primo conflitto mondiale non erano ancora del tutto sopiti tra gli studiosi italiani. La «settimana tedesca», svoltasi a Firenze in occasione della Seconda Fiera Internazionale del Libro nel maggio 1925 anche con l’obiettivo di riconciliarsi con le élite culturali di quel paese, aveva sollevato i medesimi malumori. In quell’occasione, insieme a Thomas Mann, era presente proprio Wilamowitz, il cui nome doveva quindi risultare familiare al pubblico colto italiano di quegli anni [38]
.
Nonostante le critiche, l’esistenza stessa di tali eventi mostrava la volontà di riprendere il dialogo fra le comunità accademiche europee. Tale considerazione, unita all’interesse che le iscrizioni cirenaiche del Ferri avevano suscitato persino nel maggiore esponente della scienza dell’antichità tedesca, fecero nascere in Oliverio l’idea di far arrivare in colonia una delegazione dalla Germania. L’anno successivo egli propose quindi al governo della Cirenaica di invitare Wilamowitz ed Hiller, e Teruzzi accettò. Il 3 maggio 1927, quest’ultimo comunicava la notizia al Ministero delle Colonie, retto dal 1926 nuovamente dal fidato Federzoni, dicendo di ritenere la visita «utilissima per conoscenza mondiale valore archeologico filologico scoperte fatte Cirene» ed esprimendo quindi parere favorevole alla visita e al suo finanziamento [39]
.
Visti i malumori creati dalla pubblicazione del Ferri e considerati anche i rapporti ancora tesi che esistevano con la Germania, il sostegno delle istituzioni non era scontato. L’importanza del personaggio e il lustro che egli avrebbe
{p. 124}conseguentemente dato all’opera di colonizzazione della Cirenaica resero tuttavia possibile perseguire quella strada. La richiesta di Teruzzi venne rapidamente approvata e, da quel momento, nelle carte relative alla preparazione della visita si parlerà senz’altro di «incarico dato al prof. Oliverio» dal governo della Cirenaica di curare quell’evento. Come era accaduto nel caso del convegno tripolino e della collaborazione fra Bartoccini, Paribeni e Volpi, anche in Cirenaica gli archeologi dialogavano alla pari con le istituzioni coloniali, cui erano più o meno direttamente sottoposti, per dar vita ad eventi politico-culturali di rilievo.
Note
[29] Id., Roma antica sul mare, Milano, Mondadori, 1926; di 14 immagini presenti nel libro sono ben 11 a raffigurare il manoscritto o gli appunti di Mussolini.
[30] Lo ha dimostrato R. Visser, The Correspondence of Ettore Pais in the «Segreteria Particolare del Duce. Carteggio Ordinario», in L. Polverini (a cura di), Aspetti della storiografia di Ettore Pais, Napoli, ESI, 2002, pp. 159-175.
[31] Cfr. E. Pais, Storia di Roma durante le guerre puniche, 2 voll., Roma, Optima, 1927 (con dedica a Mussolini).
[32] Cfr. L. Canfora, Ideologie del classicismo, Torino, Einaudi, 1980, pp. 93-94; M. Cagnetta, «Mare nostrum». Roma e nazionalismo italiano fra Otto e Novecento, in «Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome», 53, 1994, pp. 36-43; A. Giardina e A. Vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 249-250; J. Nelis, Constructing Fascist Identity. Benito Mussolini and the Myth of Romanità, in «Classical World», 100, 2007, pp. 391-415; Agbamu, «Mare Nostrum», cit., pp. 250-274; P.S. Salvatori (a cura di), Il fascismo e la storia, Pisa, Edizioni della Normale, 2020.
[33] Sulla visita di Wilamowitz a Cirene si è sviluppata una piccola bibliografia specifica a partire da M. Gigante, Wilamowitz nella cultura classica italiana, in Id., Classico e mediazione, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989, pp. 81-127: 92-94 (rielaborazione di uno scritto già pubblicato nel 1982); J. Irmscher, Il viaggio di Wilamowitz in Libia, in A. Mastino (a cura di), L’Africa romana. Atti del V convegno di studio. Sassari, 11-13 dicembre 1987, Sassari, Università degli Studi di Sassari, 1988, pp. 111-116 (cui è da aggiungere J. Irmscher, Ein Nachtrag, in A. Mastino e P. Ruggieri [a cura di], L’Africa romana. Atti del X convegno di studio. Oristano, 11-13 dicembre 1992, Sassari, Archivio Fotografico Sardo, 1994, pp. 169-170); S. Stucchi, Gli anni di Carlo Anti a Cirene, in Carlo Anti. Giornate di studio nel centenario della nascita, Trieste, LINT, 1992, pp. 49-128; L. Lehnus, Wilamowitz a Cirene: un dettaglio, in Id., Incontri con la filologia del passato, Bari, Dedalo, pp. 645-653 (riedizione con significative aggiunte di un contributo del 1999); W.A. Schröder, Wilamowitz-Bildnisse, in «Philologus», 151, 2007, pp. 335-374: 354-356.
[34] Cfr. R.G. Goodchild, Don Gaspare, in Id., Libyan Studies. Select Papers, a cura di J. Reynolds, London, Elek, 1976, pp. 309-317; A. Amico, La missione archeologica italiana a Cirene nella corrispondenza tra Gaetano De Sanctis e Gaspare Oliverio, in S. Antolini, A. Arnaldi e E. Lanzillotta (a cura di), Giornata di Studi per Lidio Gasperini, Tivoli, Tored, 2010, pp. 101-122.
[35] Di questo viaggio informa C. Anti, Campagna di scavi a Cirene nell’estate del 1926, in «Africa Italiana», 1, 1927, n. 4, pp. 296-316: 296.
[36] S. Ferri, Alcune iscrizioni di Cirene, in «Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften», 5, 1925 (ma pubblicato nel 1926).
[37] O. Redi, Archeologi da redimere. Come prima, peggio di prima, in «CdS», 27 aprile 1926, p. 3.
[38] Cfr. U. von Wilamowitz-Moellendorff, Storia italica, a cura di V. Cuomo, Firenze, Le Cariti, 2008; A. Guida, Firenze maggio 1925: l’incontro di Thomas Mann con Wilamowitz, Pasquali e Snell, in Giorgio Pasquali sessant’anni dopo. Atti della giornata di studio (Firenze 1 ottobre 2012), Firenze, Accademia Fiorentina di Papirologia, 2014, pp. 37-58.
[39] ACS, MAI, Direzione Generale Affari Civili (1926-1955), Ispettorato scuole (1926-1952), b. 151. Sempre a questo insieme archivistico si farà tacitamente riferimento nel corso di questo paragrafo.