Sergio Brillante
«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c3
E in effetti gli scavi non erano stata l’unica realtà che i convenuti avevano potuto ammirare. L’intero viaggio era stato costellato di momenti in cui i delegati poterono constatare il moderno assetto dato al territorio libico dagli Italiani. L’esperienza di queste novità iniziava al momento stesso dell’arrivo in città e dello sbarco nel nuovo, imponente, molo. A Tripoli poi i convenuti poterono passeggiare, anche di sera grazie alle illuminazioni, sul moderno lungomare intitolato proprio a Volpi e godere della comodità degli alberghi da poco impiantati in città. Gli spostamenti avvenivano poi in automobili lungo le strade tracciate dagli Italiani e la annunciata nascita della città di Sabratha Vulpia nei pressi delle rovine di una città commerciale romana era il segno della continuazione di un’impresa antica e dell’utilità pratica dell’archeologia, che segnalava i siti adatti all’insediamento («ainsi la colonisation italienne utilisera les enseignements de l’archéologie romaine», p. 84). Il giornalista francese Fidel, peraltro, si fermò anche altri giorni dopo la partenza degli archeologi per prendere parte, insieme a Lanza, Volpi e Graziani, a un viaggio nell’interno del paese in modo da poter smentire le voci infamanti che circolavano in ambiente francese secondo cui gli Italiani in Libia non potevano avventurarsi al di fuori di Tripoli. A ben vedere, da parte italiana, una preoccupazione in tal senso doveva sicuramente esserci, dal momento che Thiersch ricorda la presenza sulle strade di
{p. 114}un numero di militari altrimenti eccessivo. Tuttavia, proprio tale ampio dispiego di forze dové rafforzare nei convenuti il senso di sicurezza e di rispetto per l’amministrazione italiana. A tal fine, peraltro, non si trascurò di «esporre» in tutta la loro mansuetudine anche gli abitanti locali. Thiersch ricorda lo spettacolo «pittoresco» dei circa cento Arabi visti nelle steppe di Sabratha o degli abitanti plaudenti all’arrivo del gruppo di studiosi nell’oasi di Suk el-Guma [21]
. Il berberista Francesco Beguinot, anch’egli presente al convegno, attribuì la docilità della popolazione libica a un atto volontario di sottomissione, ispirato in loro dalla «chiara visione della forza e della volontà colonizzatrice dell’Italia» [22]
. Camille Fidel parlò, invece, senza mezzi termini, di un centinaio di «prisonniers indigènes» coinvolti nello scavo di Tripoli, soffermandosi poi sulla modernità del sistema utilizzato per lo smaltimento della terra spalata (p. 84).

1.4. Compiti a casa

Il richiamo esercitato dai resti dell’antica Roma servì in quell’occasione ad attirare in colonia un variegato gruppo di alti rappresentanti stranieri che, una volta tornato a casa, avrebbe poi riferito delle cose viste con termini – si fece di tutto per garantirlo – estremamente elogiativi. Fin dalla sua orazione inaugurale, il ministro Lanza aveva posto l’accento su questo compito moralmente imposto ai convenuti: non solo essi avrebbero dovuto divulgare presso i loro colleghi gli avanzamenti ottenuti nel campo dell’archeologia, ma anche far conoscere al pubblico delle loro nazioni la cura posta dagli Italiani negli ultimi quattordici anni per il progresso umano e civile della colonia («his populis ad humanum civilemque cultum deducendis»).
L’esortazione funzionò e al termine di quelle giornate i vari studiosi si produssero in una selva di scritti per ricordare {p. 115}l’evento e sottolineare la positiva attività colonizzatrice italiana [23]
. Si trattò sia di articoli destinati a riviste specializzate, in cui si insisteva maggiormente sul tipo di reperti osservati, sia di articoli apparsi su periodici di maggiore e diversa diffusione («Vossische Zeitung», «Die Woche», «Bulletin de l’Armée d’Afrique»). Non è facile tenere traccia di tale genere di pubblicazioni, ma un’idea di come l’evento sarà stato presentato dagli archeologi sulle riviste delle rispettive nazioni si può facilmente ricavare anche dai testi delle lettere di ringraziamento che molti studiosi inviarono al ministro. Louis Poinssot dalla Tunisia e Eugène Albertini dall’Algeria sottolinearono entrambi quanto il carattere latino dell’azione coloniale italiana («la profonde empreinte latine») servisse da legame con le colonie francesi dell’«Afrique latine». L’austriaco Kubitschek fece invece sapere di aver espresso la sua «ammirazione e riconoscenza del talento italiano per la civilizzazione di Africa» in «una serie di discorsi non soltanto all’Università di Vienna, ma anche nell’Urania, il maggiore Istituto scientifico e popolare a Vienna». Ed anche il tedesco Noack ringraziò il governatore per aver potuto esaminare le antichità locali e per avergli fatto conoscere «la molteplice e complicata riuscita dell’amministrazione italiana: come essa combatta il deserto, come coltivi la terra, come faccia rifiorire Tripoli ed Homs, e come tenga a freno la popolazione che dalla nuova situazione non può guadagnare che bene».
L’obiettivo di mostrare al mondo i risultati ottenuti dal nuovo governo attraverso una riunione di archeologi fu quin{p. 116}di raggiunto. L’Italia coloniale guadagnò verosimilmente un maggiore prestigio all’estero grazie alla pubblicità fatta negli ambienti colti dagli studiosi partecipanti al convegno. Inoltre, l’evento ottenne anche il positivo effetto di permettere alla nuova colonia di stringere una serie di legami che, per la natura politica delle persone invitate, erano nello stesso tempo pubblici e privati. Eugène Albertini, ad esempio, nella sua lettera di ringraziamento, manifestò a Volpi la volontà di ricambiare l’ospitalità ricevuta invitandolo ad andare ad Algeri. Gli studiosi italiani invece poterono stringere legami personali con loro colleghi stranieri, che in certi casi si rivelarono duraturi, assicurando anche così all’Italia un maggior peso e una maggiore riconoscibilità internazionali [24]
.

2. Storia romana per il pubblico internazionale: Mussolini a Tripoli e a Perugia

Il nuovo spazio accordato alle colonie nella politica e nella retorica del regime fu sottolineato dalla decisione di Mussolini di recarsi per la prima volta personalmente in Tripolitania fra l’11 e il 15 aprile 1926. Il primo discorso che vi tenne lo pronunciò dalla sella del suo cavallo nella piazza di Tripoli per rivolgersi prioritariamente agli abitanti locali, come dimostra il fatto che le sue parole furono tradotte simultaneamente in arabo. Nella sua allocuzione non mancò anche un riferimento alla storia romana, presentata come un periodo di prosperità per quella regione che si aspirava a far rivivere [25]
.
Poco dopo, uscito dalla Sala del Governo, tenne un altro discorso nella piazza rivolto però a un altro genere di pubblico, gli «Italiani fascisti di Tripoli». In quel nuovo {p. 117}contesto la storia romana venne evocata ancora una volta, ma piegata ora a significare la potenza della moderna Italia di fronte al mondo.
Il mio viaggio non deve essere interpretato come un atto di ordinaria amministrazione. Intendo che esso sia come è nei fatti un’affermazione della forza del popolo italiano, una manifestazione di potenza del popolo che da Roma ripete le proprie origini e porta il Littorio trionfante ed immortale di Roma sulle rive del mare africano [26]
.
I riferimenti a Roma alimentavano una ben precisa retorica di potenza e andavano pertanto abilmente sfruttati. Mussolini, infatti, non mancò di servirsene ancora nei suoi discorsi in colonia, né si sottrasse a una visita agli scavi di Leptis Magna il 14 aprile, ma la sua attenzione era soprattutto rivolta ad esaminare le potenzialità economiche del territorio. Fra i luoghi da lui toccati vi sono case del fascio e circoli militari, ma soprattutto villaggi agricoli. Non a caso il suo viaggio coincise con i lavori del primo convegno agricolo nazionale coloniale, che egli accorse ad inaugurare esaltando il coraggio e la tenacia dei «pionieri» della colonia, così diversi dai molli cittadini borghesi «che ballano nelle halls dei grandi alberghi alla moda» [27]
. In realtà, l’impressione ricevuta non doveva essere stata troppo esaltante se, parlando al Senato della politica estera del governo, il 28 maggio, faceva solo un riferimento rapidissimo alle colonie e considerava come unico reale risultato della politica coloniale in Africa il riscatto dell’Oltregiuba, che l’Italia liberale non aveva saputo ottenere [28]
. La forza delle colonie era molto più nel loro peso retorico che non nel loro valore effettivo e in ciò essa trovava un evidente punto in comune con la storia di Roma antica: entrambe erano soprattutto realtà dell’immaginario, utili a rinforzare il sentimento di autostima nazionale e a nutrire un discorso politico aggressivo e violento, basato sull’idea della forza. {p. 118}Ciò spiega perché questi due elementi – colonie e passato romano – si sarebbero più volte ritrovati insieme nella retorica del fascismo anche in altre occasioni.
Pochi mesi dopo il suo viaggio a Tripoli, il 5 ottobre 1926 Mussolini pronunciò di fronte agli iscritti all’Università per stranieri di Perugia una vera e propria relazione di impianto quasi accademico su un soggetto storico, l’unica sua, scegliendo non a caso un tema di storia romana che poteva tenere insieme romanità e colonialismo, Roma antica sul mare.
L’Università per stranieri era stata fondata poco tempo prima e ufficialmente riconosciuta solo nel 1925. Il suo compito, secondo quanto recitava il primo articolo del suo statuto, era proprio quello di promuovere presso un pubblico internazionale «la migliore e maggiore conoscenza dell’Italia in tutte le sue manifestazioni passate e presenti per la lingua, la letteratura, le arti, la storia, i costumi, le istituzioni politiche, culturali, industriali, patriottiche e il suo pensiero attraverso i secoli». Mussolini non volle perdere l’occasione di parlare di fronte a degli stranieri in quella nuova istituzione, concentrandosi sulla storia di Roma antica, la sua capacità di espansione e la sua evoluzione da piccolo centro del Lazio, attorniato da popoli ostili, a potenza marittima capace di dominare l’intero Mediterraneo.
Che i contenuti di quella lunga e dettagliata relazione non provenissero dalla sua penna doveva essere chiaro a tutti già allora. Non si capirebbe altrimenti perché nell’opuscolo contenente il testo dell’intervento, prontamente pubblicato da Mondadori, abbondino riproduzioni del manoscritto mussoliniano, quasi a voler spegnere quel sospetto con una lunga e inutile serie di prove [29]
. Lo studioso che fornì il materiale per quella pubblicazione era stato Ettore Pais (1856-1939) [30]
, antichista di rilievo, divenuto rapidamente
{p. 119}storico di fiducia del regime. In quegli anni egli si occupò in modo particolare delle guerre puniche in preparazione di un volume sull’argomento [31]
e il peso assegnato a tale evento nella relazione di Mussolini non può quindi stupire. Così, a Perugia, il duce, diventato professore, sottolineò i difficili inizi del potere romano sul mare, ostacolato da Etruschi e Cartaginesi, ma giunse infine a celebrare il potere ottenuto anche in quell’ambito negli anni della prima guerra punica, quando si vide «scendere in mare la prima flotta militare di Roma» (264 a.C.). Sarebbe stato quello il principio di una storia che poi avrebbe condotto al principato di Augusto, quando «l’impero di Roma» conobbe «la sua massima potenza».
Note
[21] Thiersch, Bericht über die archäologische Tagung in Tripolis vom 1.-6. Mai 1925, cit., pp. 57-58.
[22] Beguinot, Il recente convegno archeologico tripolitano, cit., p. 87.
[23] Oltre i già citati contributi di Fidel e Thiersch, cfr. E. Albertini, in «Bulletin de l’Armée d’Afrique», 26, giugno 1926; R. Cagnat, in «Journal des Savants», 1926, pp. 337-348; F. Cumont, Les fouilles de Tripolitaine, «Académie royale de Belgique. Bulletins de la Classe de Lettres et des Sciences morales et politiques» 6, 1925, pp. 285-300; Id., in «Rivista della Tripolitania», 2, 1925, pp. 151-167; F. Noack, in «Die Antike», 1, 1925, pp. 204-212; G. Rodenwaldt, in «Unterhaltungsblatt der Vossischen Zeitung», 11 giugno 1925; T. Wiegand, in «Die Woche», 13 giugno 1925, pp. 553-556. Per i contributi italiani si possono invece ricordare: Beguinot, Il recente convegno archeologico tripolitano, cit.; G. Calza, in «L’Epoca», 7 maggio 1925, p. 3; R. Paribeni, in «Bulletin of the International Committee of Historical Sciences», 1, 1926, pp. 92-94; P. Romanelli, in «Rivista della Tripolitania», 2, 1925-1926, n. 4, pp. 263-265.
[24] Cfr. il caso di Poinssot che avviò una corrispondenza con alcuni colleghi italiani proprio in seguito al convegno (K. Marmouri, D’une rive à l’autre: la correspondance de Louis Poinssot avec ses «amis» italiens, in M. Dondin-Payre et al. [a cura di], Autour du fonds Poinssot. Lumières sur l’archéologie tunisienne, Paris, INHA, 2017, pp. 157-176).
[25] Mussolini, Opera, vol. XXII, p. 113.
[26] Ibidem, p. 114.
[27] Ibidem, p. 117.
[28] Ibidem, p. 148.
[29] Id., Roma antica sul mare, Milano, Mondadori, 1926; di 14 immagini presenti nel libro sono ben 11 a raffigurare il manoscritto o gli appunti di Mussolini.
[30] Lo ha dimostrato R. Visser, The Correspondence of Ettore Pais in the «Segreteria Particolare del Duce. Carteggio Ordinario», in L. Polverini (a cura di), Aspetti della storiografia di Ettore Pais, Napoli, ESI, 2002, pp. 159-175.
[31] Cfr. E. Pais, Storia di Roma durante le guerre puniche, 2 voll., Roma, Optima, 1927 (con dedica a Mussolini).