Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c12
XII
Recenti mutamenti nella struttura e nella gerarchia dell’impresa
Da «Rivista delle società», 1958, pp. 689-724
1. Concentrazione del capitale industriale e separazione tra proprietà e gestione dell’impresa.
I recenti mutamenti nella struttura dell’impresa e nei rapporti sociali che in essa si sviluppano sono fondamentalmente determinati dalla crescente concentrazione del capitale industriale in grandi unità di produzione su larga scala. La portata sociale di questo fatto si può riassumere, nei suoi termini essenziali, nella seguente constatazione: alla crescente concentrazione del capitale corrisponde una crescente irrilevanza della proprietà dei mezzi di produzione come fonte del potere economico e quindi come criterio di determinazione delle classi sociali.
Sotto un primo profilo, questo processo regressivo della proprietà distrugge la base originaria dell’analisi sociale marxista, che mette capo alla teoria dell’alienazione della classe lavoratrice. Secondo Marx la separazione dei lavoratori dal controllo dei mezzi di produzione, e quindi il confronto dei lavoratori con l’imprenditore sul mercato del lavoro, non sono un elemento essenziale, ma solo un accidente del sistema industriale, collegato con l’assetto legale della proprietà, che sanziona l’appropriazione privata degli strumenti di produzione da parte della borghesia capitalistica. L’eliminazione di questa sovrastruttura legale, attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione, sarebbe perciò sufficiente per far cessare lo stato di «alienazione» dei lavoratori. Nella società industriale contemporanea, dominata dalle grandi imprese di produzione in serie, una simile valutazione non è più sostenibile. La separazione dell’operaio dal prodotto e dal controllo dei ¶{p. 336}mezzi di produzione è oggi un elemento essenziale del sistema produttivo, indipendentemente dall’ordinamento giuridico della proprietà
[1]
. Da questo punto di vista si attenua la distinzione tra Stato capitalista e Stato socialista, tra impresa privata e impresa pubblica. Nemmeno la formula del «capitalismo popolare», accarezzata dal movimento cristiano-sociale in Germania, potrebbe avere il significato di un superamento del sistema salariale. Se la proprietà delle azioni della Volkswagen
[2]
si trasferisse nelle mani dei dipendenti di questa grande impresa, non per ciò verrebbe meno la loro condizione di lavoratori salariati, cioè appunto il loro confronto sul mercato con la direzione dell’impresa. Il fattore base dell’alienazione dei lavoratori dal prodotto, e quindi del fenomeno della compravendita di forza-lavoro, non è più il dato legale della proprietà dei mezzi di produzione, bensì il fatto tecnico della produzione su larga scala, e la conseguente alterazione del rapporto tra prodotto e prestazione individuale di lavoro.
Ma la crescente irrilevanza della proprietà del capitale si manifesta anche sotto un secondo profilo. Non solo la proprietà non è più un fattore determinante della separazione dei lavoratori dal controllo dei mezzi di produzione, ma, negli ordinamenti capitalistici, la proprietà privata dei beni investiti nelle grandi imprese tende a separarsi dal potere di gestione dei beni medesimi
[3]
. In tal modo la definizione delle classi sociali in termini di presenza o assenza della proprietà dei mezzi di produzione, e il conseguente irrigidimento della struttura sociale nella contrapposizione ¶{p. 337}tra due classi fondamentali, si palesano privi di rispondenza all’attuale trasformazione dei rapporti collegati con la produzione della ricchezza.
La concentrazione del capitale industriale in unità produttive sempre più grandi e sempre meno numerose implica inevitabilmente una concentrazione del potere economico, inteso come potere di prendere o almeno di influire in maniera determinante sulle decisioni supreme circa la produzione (se, quanto, come, che cosa e dove produrre) e circa la distribuzione
[4]
. Ma la concentrazione del potere economico non avviene in termini di concentrazione della proprietà. L’appello della grande impresa moderna alla massa dei medi e piccoli risparmiatori, reso possibile dallo strumento giuridico della società per azioni, e la conseguente dispersione della proprietà azionaria nel pubblico, hanno determinato una crescente tendenza del potere economico a configurarsi come posizione sociale distinta dalla proprietà: «il classico imprenditore, la figura del proprietario-dirigente, va gradatamente scomparendo»
[5]
. Nei rapporti con la grande impresa, il potere di decisione del proprietario si esaurisce nell’atto di investimento dei suoi beni nell’impresa, e quindi la funzione della proprietà tende a esaurirsi nell’assunzione del rischio economico, mentre la funzione attiva di direzione dell’impresa viene assunta da una nuova classe sociale, formata da dirigenti in gran parte privi di proprietà. «La classe proprietaria ha così perduto la sua tradizionale funzione capitalistica – lo sfruttamento col suo capitale delle tecniche di produzione – e, man mano che la funzione sparisce, sfugge anche il potere»
[6]
.
Sul piano istituzionale, il fenomeno del distacco della proprietà dalla gestione dei beni produttivi si manifesta ¶{p. 338}nella tendenza dell’impresa a dissociarsi dalla personalità giuridica dell’imprenditore e ad assumere una soggettività giuridica autonoma
[7]
. Corrispondentemente, il potere direttivo dell’impresa si fonda non tanto su un diritto personale dell’imprenditore, quanto sulla funzione esercitata nell’organizzazione dell’impresa. In questo senso si può dire che il potere economico collegato alla grande impresa moderna tende a qualificarsi come prerogativa di un ufficio, cioè a burocratizzarsi
[8]
, contribuendo così a determinare quell’aspetto dell’evoluzione sociale in atto per cui all’antica struttura di classe viene sostituendosi una nuova gerarchia di natura burocratica
[9]
.
2. I nuovi dirigenti dell’industria.
Noi conosciamo poco gli uomini della nuova classe dirigente dell’industria. Non abbiamo ancora trovato un termine che li designi con l’efficacia e l’immediata evidenza dell’inglese «manager». Ma non si può conoscere la grande impresa moderna se non si conoscono anzitutto i suoi leaders. Perché l’impresa è essenzialmente un centro di potere, e il potere riceve senso e valore dall’uomo che ne prende coscienza, che lo trasforma in azione assumendone la responsabilità.
Nel sistema classico, imperniato sulla figura del proprietario-imprenditore, la responsabilità correlativa al potere economico si concreta nel concetto di rischio economico, rischio di perdere il capitale. Il binomio potere-rischio è un anello essenziale nel meccanismo dell’economia di mercato. La società per azioni è stata lo strumento del trionfo capitalistico, ma a lungo andare ha operato come principio di rottura di questo anello, in quanto implica che una persona gestisca la proprietà di un’altra. Questo ¶{p. 339}era stato previsto già da Adamo Smith
[10]
, ma le sue previsioni tardarono a verificarsi perché per un lungo periodo di tempo gli amministratori nominati dagli azionisti diressero le imprese esattamente come avrebbero fatto i proprietari
[11]
. L’avvento delle grandi imprese di produzione su larga scala, «veramente grandi e soprattutto poco numerose», ha segnato la fine di questo periodo. La dispersione delle azioni nel pubblico ha estromesso la grande maggioranza degli azionisti da ogni effettivo controllo, riducendoli a una funzione quasi completamente passiva, e d’altra parte la grandezza delle nuove società e insieme la scarsità del loro numero hanno inceppato la mano invisibile della concorrenza, che nel periodo precedente costituiva la regola suprema del potere economico. Da questo momento si è constatato che i dirigenti delle grandi società anonime non gestiscono l’impresa esattamente con i criteri e gli obiettivi caratteristici del classico imprenditore-proprietario. La separazione tra proprietà e potere di direzione dell’impresa ha portato alla contrapposizione di due diversi gruppi sociali.
Nell’analisi marxista la categoria degli amministratori di società non proprietari non ha autonomia, è una classe secondaria e derivata, una sovrastruttura della classe capitalista. Nell’assetto contemporaneo questi uomini rappresentano un nuovo tipo sociale, sempre più differenziato. Naturalmente vi è tuttora un notevole grado di compenetrazione tra le due classi, soprattutto nei paesi dove il processo di separazione della proprietà dal controllo delle grandi imprese industriali si trova prevalentemente nella fase intermedia detta del «controllo di minoranza», mentre la fase finale, costituita dal dominio assoluto degli amministratori, si intravvede appena in poche grandissime
¶{p. 340}società
[12]
. Inoltre, come è stato giustamente osservato, i nuovi dirigenti industriali europei «hanno in gran parte le stesse origini e gli stessi atteggiamenti sociali degli imprenditori che sostituiscono»
[13]
, il che è una conseguenza dello spirito di casta che una lunga tradizione storico-culturale alimenta nelle classi superiori delle società europee, così diverse sotto questo profilo dalla società americana. Tutto ciò esclude la possibilità di isolare la nuova classe dei dirigenti industriali con un taglio radicale, come pretendeva Burnham nel noto libro pubblicato quasi ventanni fa. La cautela contro eccessive schematizzazioni deve essere una regola generale nell’analisi dell’attuale struttura di classe, che è molto più complicata e più fluida rispetto al quadro tradizionale. Ma, dopo queste precisazioni, rimane la constatazione che, nell’esercizio del potere direttivo dell’impresa, i nuovi dirigenti manifestano in misura progressiva punti di vista, attitudini e motivazioni psicologiche diverse da quelle caratteristiche dell’imprenditore classico.
Note
[1] Drucker, La nuova società. L’anatomia dell’ordine industriale, Milano, 1953, pp. 8 ss., 135 ss.; Crosland, The Future of Socialism, London, 1958, pp. 68 ss., 418.
[2] Sul progetto di vendita delle azioni della «Volkswagen» cfr. Banfi, Alcuni esperimenti di privatizzazione di imprese pubbliche, in «Riv. soc.», 1957, p. 947.
[3] Crosland, op. cit., p. 70. La letteratura sul fenomeno della dissociazione tra proprietà e potere economico è troppo vasta e, del resto, troppo nota, perché possa essere qui elencata. Da ultimo, nella letteratura sociologica italiana, cfr. Craveri, La disintegrazione della proprietà, Milano, 1958.
[4] Desumo questa definizione – alquanto generica e approssimativa, ma sufficiente ai fini del presente studio – da Crosland, op. cit., p. 24.
[7] Cfr. Despax, L’entreprise et le droit, Paris, 1957, il quale conclude che «la revolution juridique que constìtue la consécration de l’entreprise au rang des sujets de droit, est déjà plus qu’a tnoitié réahsée».
[8] Krause, Unternehmer und Unternehmung (Schriftenreihe der Wirtschaftshochschule, H. 4), Mannheim, 1954, p. 11. Si rileggano anche le pagine di Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, 1955, pp. 132 s.
[10] Strachey, Il capitalismo contemporaneo, Milano, 1957, p. 35 s.; Hurff, Social Aspects of Enterprise in the Large Corporation, Philadelphia, 1950, pp. 4 ss.
[11] Del resto, l’avere visto nell’imprenditore-proprietario soltanto un portatore di capitale, trascurandone (in termini di considerazione sociologico-politica) il lavoro organizzativo e direttivo dell’impresa, è un errore di Smith, che è stato poi approfondito da Marx.
[12] Esistono tuttora grandi società anonime familiari, in cui proprietà e gestione del capitale sono riuniti nelle medesime persone. Tuttavia, le conseguenze sull’evoluzione della nuova classe dirigente dello stato di compenetrazione, cui si accenna nel testo, non devono essere sopravvalutate. Il concetto di «impresa anonima», con cui si suole descrivere la trasformazione in senso burocratico del potere direttivo della grande impresa (e quindi il distacco di esso dai criteri e dalle attitudini del classico imprenditore-proprietario), è applicabile alle grandi società per azioni familiari non meno che alle imprese soggette al dominio di amministratori non-proprietari.
[13] Crosland, Il passaggio dal capitalismo, cit., p. 52. Cfr. anche Ferrarotti, Il dilemma dei sindacati americani, Milano, 1954, pp. 55 ss.