Note
  1. Drucker, La nuova società. L’anatomia dell’ordine industriale,Milano, 1953, pp. 8 ss., 135 ss.; Crosland, The Future of Socialism,London, 1958, pp. 68 ss., 418.
  2. Sul progetto di vendita delle azioni della «Volkswagen» cfr. Banfi, Alcuni esperimenti di privatizzazione di imprese pubbliche, in «Riv. soc.», 1957, p. 947.
  3. Crosland, op. cit., p. 70. La letteratura sul fenomeno della dissociazione tra proprietà e potere economico è troppo vasta e, del resto, troppo nota, perché possa essere qui elencata. Da ultimo, nella letteratura sociologica italiana, cfr. Craveri, La disintegrazione della proprietà,Milano, 1958.
  4. Desumo questa definizione – alquanto generica e approssimativa, ma sufficiente ai fini del presente studio – da Crosland, op. cit., p. 24.
  5. Crosland, Il passaggio dal capitalismo, in Nuovi saggi fabiani,Milano, 1953, p. 50.
  6. Ibidem, p. 51. V. pure Daix, Faut-il récrire «le Capital»?, in «Esprit» 1956, p. 682.
  7. Cfr. Despax, L’entreprise et le droit, Paris, 1957, il quale conclude che «la revolution juridique que constìtue la consécration de l’entreprise au rang des sujets de droit, est déjà plus qu’a tnoitié réahsée».
  8. Krause, Unternehmer und Unternehmung (Schriftenreihe der Wirtschaftshochschule, H. 4), Mannheim, 1954, p. 11. Si rileggano anche le pagine di Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, 1955, pp. 132 s.
  9. Albu, L’organizzazione dell’industria, in Nuovi saggi fabiani, cit., p. 182.
  10. Strachey, Il capitalismo contemporaneo, Milano, 1957, p. 35 s.; Hurff, Social Aspects of Enterprise in the Large Corporation, Philadelphia, 1950, pp. 4 ss.
  11. Del resto, l’avere visto nell’imprenditore-proprietario soltanto un portatore di capitale, trascurandone (in termini di considerazione sociologico-politica) il lavoro organizzativo e direttivo dell’impresa, è un errore di Smith, che è stato poi approfondito da Marx.
  12. Esistono tuttora grandi società anonime familiari, in cui proprietà e gestione del capitale sono riuniti nelle medesime persone. Tuttavia, le conseguenze sull’evoluzione della nuova classe dirigente dello stato di compenetrazione, cui si accenna nel testo, non devono essere sopravvalutate. Il concetto di «impresa anonima», con cui si suole descrivere la trasformazione in senso burocratico del potere direttivo della grande impresa (e quindi il distacco di esso dai criteri e dalle attitudini del classico imprenditore-proprietario), è applicabile alle grandi società per azioni familiari non meno che alle imprese soggette al dominio di amministratori non-proprietari.
  13. Crosland, Il passaggio dal capitalismo, cit., p. 52. Cfr. anche Ferrarotti, Il dilemma dei sindacati americani, Milano, 1954, pp. 55 ss.
  14. Cfr. Berle jr., La rivoluzione capitalistica del XX secolo, Milano, 1956, p. 34 ss.; Vigreux, Les droits des actionnaires dans les sociétés anonymes. Théorie et realité, Paris, 1953, pp. 123 ss.
  15. Galbraith, Il capitalismo americano, Milano, 1955, p. 131; Daix, op. cit., p. 683.
  16. Riferiti da Berle, op. cit., pp. 35 ss.
  17. Graham e Dodd, Security Analysis, New York, 1940, pp. 378 s., citati da Hurff, Social Aspects, cit., p. 92, nota 41.
  18. Strachey, op. cit., p. 207. Per la Francia cfr. i dati riferiti da Vigreux, op. cit., pp. 62 ss., e Despax, op. cit., p. 217: l’autofinanziamento rappresentava nel 1952 il 78%, nel 1953 il 72,5% e nel 1954 il 67% del totale degli investimenti privati (1106 miliardi di franchi per il 1954).
  19. Da ultimo cfr. Petitti, Contributo allo studio del diritto dell’azionista al dividendo, Milano, 1957; Rossi, Utile di bilancio. Riserve e dividendo, Milano, 1957.
  20. Per una discussione generale dei vantaggi e degli svantaggi dell’autofinanziamento, cfr. Vigreux, op. cit., pp. 135 ss.
  21. Galbraith, op. cit., pp. 60 ss.
  22. Berle, op. cit., p. 33.
  23. Sul potere politico delle grandi imprese, si veda la relazione (redatta da Ballerstedt) del primo comitato della commissione di studi nominata dal XXXI Congresso dei giuristi tedeschi (Stoccarda, 1951), in Untersuchungen zur Reform des Unternehmensrechts, vol. I, Tübingen, 1955, p. 26; ma soprattutto Friedmann, Corporate Power, Government by private Groups, and the Law, in «Columbia Law Rev.», 1957, pp. 164 ss. Brevi cenni anche nell’articolo di Rossi, Controllo pubblicistico sulle società per azioni, in «Riv. soc.», 1958, pp. 522 ss.
  24. Berle, op. cit., p. 37.
  25. Crosland, The Future of Socialism, pp. 73 s., 466 ss.; Cole, Démocratie à l’échelle humaine, in «Esprit», 1956, p. 739 s.; Rivero, Il funzionamento delle imprese nazionalizzate, in «Nuova riv. dir. comm.», 1956, n. 1, p. 277; Lewis, Recent British Experience in Nationalization,in Monopoly and Competition and their Regulation, a cura di Chamberlin, London, 1954, pp. 459 ss.; Jeanneney, Nationalization in France, ivi, p. 481.
  26. Così stando le cose, Crosland, op. ult. cit., pp. 482, 487 ss. conclude che, nei settori in cui l’iniziativa statale non adempie all’esigenza primaria di supplire all’assenza o all’insufficienza dell’iniziativa privata (nuove attività industriali o espansione economica in regioni sottosviluppate), l’azione delle imprese pubbliche dovrebbe orientarsi nella forma della «competitive public enterprise», cioè tendere principalmente allo scopo di restaurare un certo grado di competitività, in funzione di rottura del monopolio della grande o delle grandi imprese private operanti nel settore considerato. Tuttavia, la concreta possibilità di attuare il concetto di «pubblica impresa competitiva» (cioè operante in concorrenza effettiva con le grandi imprese private) non sono concordemente valutate. Cfr. le diverse opinioni di Piccardi e Scalfari, in La lotta contro i monopoli, Bari, 1955, pp. 41, 87.
  27. Il capitalismo americano, cit., pp. 130 ss.
  28. Così Friedmann, Corporate Power, cit., p. 177.
  29. Su questo punto cfr. Dossetti, Funzioni e ordinamenti dello Stato moderno, in «Justitia», 1952, pp. 246 ss.; Rescigno, Le società intermedie, in «Il Mulino», 1958, p. 17 (estr.); Crosland, Nuovi saggi fabiani,cit., p. 53.
  30. Schumpeter, op. cit., pp. 124 s.
  31. Crosland, The future of Socialism, cit., pp. 33 s., 37.
  32. Tra le due categorie non vi è solo distinzione: l’antagonismo tra i tecnici della «staff» e i tecnici della «linea» è un argomento familiare ai moderni studiosi americani dell’organizzazione sociale dell’impresa: cfr. Miller e Form, Industrial Sociology, New York, 1951, p. 169.
  33. Drucker, La nuova società, cit., pp. 51, 54 ss.; Crosland, Nuovi saggi fabiani, cit., p. 57.
  34. Crosland, The Future of Socialism, cit., pp. 33 ss., 424.
  35. Burnham, La rivoluzione dei tecnici (non esatta traduzione dell’inglese The Managerial Revolution), Milano, 1946, p. 113. Per una breve, ma efficace critica cfr. Crosland, Il passaggio dal capitalismo, cit., pp. 65 s.
  36. Daix, in «Esprit», 1956, p. 686, osserva che «la prépondérance de techniciens aux postes-clefs a conduit les sodétés à des décisions qui tendent moins à l’accroissement de la fortune des particuliers qu’à l’augmentation de la puissance de la firme».
  37. Non si intende qui prendere posizione circa la questione se la misura attuale delle remunerazioni percepite dagli amministratori sia giustificata in rapporto al livello dei dividendi e dei salari. V. in argomento Vigreux, op. cit., pp. 68 ss., 205 ss.; Drucker, op. cit., pp. 122 ss. La questione è considerata anche nel progetto di legge Ascarelli, art. 11 (in «Riv. soc.», 1956, p. 606).
  38. Cfr. Strachey, op. cit, pp. 208, 219; Craveri, op. cit., pp. 38, 46.
  39. Berle e Means, The Modern Corporation and Private Property,New York, 1932, p. 350.
  40. Crosland, The Future of Socialism, cit., pp. 36 s.
  41. Berle jr., La rivoluzione capitalistica, cit., p. 57 ss. Nella letteratura giuridica cfr. Ballerstedt, Unternehmen und Wirtscha/tsverfassung, in «Juristenzeitung», 1951, p. 486.
  42. Per una serena valutazione, dal punto di vista cattolico, dei rapporti tra lo spirito dell’impresa e gli ideali puritani (dove la passione per il progresso del benessere collettivo è stimolata dalla condanna morale del povero), cfr. Dumas, Les chrétiens devant l’argent, in «Esprit», 1953, pp. 617 ss.
  43. È appunto l’interpretazione di Berle, piena di fiducia nella disposizione dei nuovi dirigenti a sottomettersi a «un sistema etico-filosofico che serva come fondamento, che completi e che infine controlli ogni organizzazione pratica degli affari»: a tal punto che, alla fine, il libro del Berle assume un tono apologetico, pervaso dalla visione dei nuovi managers come i moderni costruttori dell’agostiniana città di Dio: «la società per azioni è ora essenzialmente un’istituzione politica non dipendente dallo Stato», destinata ad assumere, nella società futura, la funzione «di giudicare che cosa è e che cosa dovrebbe essere il progresso di un grande paese» (op. cit., pp. 56, 163, 167; e v. Friedmann, in «Columbia Law Rev.», 1957, p. 171). In definitiva simili valutazioni esprimono una totale sfiducia nella possibilità di sviluppo di un sistema di poteri di equilibrio, capaci di controbilanciare dall’esterno il potere delle direzioni delle grandi società per azioni: «il solo controllo reale che guidi o limiti la loro azione economica e sociale è l’etica, per quanto tacita e non definitiva, degli uomini che le compongono» (p. 168). Mentre la «rivoluzione dei managers» annunciata da Bumham è pur sempre una rivoluzione di classe (ma una rivoluzione burocratica, in luogo della rivoluzione proletaria profetizzata da Marx, cioè, come è stato detto, «una rivoluzione di palazzo di uno strato della classe dominante contro l’altro»), nella visione di Berle il dominio dei managers assume il carattere rivoluzionario del «carisma». Carismatico è appunto il potere che non conosce se non determinazioni intrinseche e limitazioni proprie, e che si manifesta partendo da una «metanoia» centrale nella mentalità dei dominati (Weber, Carismatica e i tipi del potere, in Nuova collana di economisti, vol. XII, Torino, 1934, pp. 184, 187). La «meta-noia» dell’uomo moderno, su cui si fonda l’investitura carismatica che Berle riconosce ai nuovi dirigenti, consisterebbe nel superamento del timore dei nostri padri di fronte alle società per azioni (considerate come macchine prive di anima: cfr. Ripert, Aspects juridiques du capitalisme moderne, Paris, 1946, p. 122) e nella formazione dell’opposta convinzione che la sorte delle libertà e della dignità individuali nella società futura sia legata alla mancanza di controlli esterni sulle grandi organizzazioni industriali.
  44. Cfr. Drucker, Società futura, cit., pp. 138 ss.
  45. Cfr. Friedmann, op. cit., pp. 157 ss.
  46. Friedmann, op. cit., p. 185. Opposta, naturalmente, la valutazione di Berle, Rivoluzione capitalistica, cit., p. 65, ma in termini che confermano la rinuncia dell’autore (che pure è professore di diritto) alle preoccupazioni del giurista.
  47. In opposizione al punto di vista classico, accettato anche dal marxismo (cfr. Strachey, op. cit., pp. 97 s.), oggi si riconosce sempre più la possibilità di influire sullo sviluppo economico e di correggerne le tendenze mediante fattori di ordine istituzionale risultanti dalle strutture politico-giuridiche della società. Vedi i cenni in questo senso di Ascarelli, Cooperativa e società (concettualismo giuridico e magia delle parole), in «Riv. soc.», 1957, p. 434, in nota.
  48. Il riconoscimento dell’inattualità dell’alternativa tra proprietà privata e proprietà pubblica dei mezzi di produzione, tra Stato capitalistico e Stato collettivistico, e la sostituzione ad essa dell’istanza di un ordinamento costituzionale dell’economia, che realizzi una divisione del potere economico tra i vari gruppi sociali collegati al fenomeno della grande impresa, è l’idea centrale del recente studio di Craveri, La disintegrazione della proprietà, cit., spec. pp. 82 ss. Questo orientamento sta affermandosi anche tra i teorici del laburismo inglese, e ne è testimonianza significativa il volume più volte citato di Crosland, nel quale la richiesta di un ulteriore trasferimento alla collettività statale della proprietà produttrice del reddito è quasi abbandonata, in netto contrasto con le posizioni di Strachey (e, ancor più, di Bevan).
    Tuttavia il problema della proprietà rimane, e nella valutazione di esso persiste un motivo di dissenso anche con le tendenze revisioniste da cui è ispirata la tesi di Craveri. Il concetto di «impresa anonima» (sul quale cfr. anche Mossa, L’impresa anonima della società per azioni, in «Nuova riv. dir. comm.» 1954 I, pp. 1 ss.) è accettabile solo come descrizione della tendenza della grande impresa a spersonalizzare la proprietà dei mezzi di produzione e a sostituire alla gestione dei proprietari la gestione burocratica dei nuovi dirigenti-non proprietari. Non è accettabile, invece, ove venga proposto come strumento di una valutazione giuridica che sanzioni l’estromissione dei proprietari dall’impresa e la riduzione del diritto di proprietà a un puro diritto a un valore (una «legalizzazione» in questi termini della nuova realtà è espressamente proposta da Drucker, op. cit., p. 454, sul riflesso che «nella natura dell’investimento non v’è assolutamente nulla che esiga o giustifichi diritti di proprietà, cioè diritti di controllo»; più cauto Crosland, The Future of Socialism, cit., p. 356, di cui non sembra contestabile il rilievo che «there is nothing to-day in the nature of investment or the function of the capital market which gives the investor any natural “right” to sole legal control»).
    Il nuovo ordinamento costituzionale dell’economia deve essere costruito senza che vada perduta l’essenza della proprietà, e questa esigenza sembra chiaramente compresa anche nell’«ideale» di Crosland, op. ult. cit., p. 496, formulato in termini difficilmente conciliabili con l’ortodossia socialista (lo stesso autore riconosce che si tratta di una «unpopular solution amongst the traditionalists of the Left»). La rielaborazione della dogmatica giuridica in questo senso è però appena agli inizi: v. alcuni spunti nei citati studi di Ballerstedt e di Krause, nonché, ma in direzione diversa, in Köhler, Betrieb und Unternehmen in wirtschaftsverfassungsrechtlicher Sicht, in «Juristenzeitung», 1953, pp. 713 ss. (e ancora ivi,1955, p. 592), con l’avvertenza, peraltro, che lo sforzo ricostruttivo della dottrina tedesca è oggi pregiudicato dal dato positivo introdotto dalle leggi sulla Mitbestimmung.
  49. Sotto questo profilo possono essere inquadrati e ricevono nuova luce alcuni interventi caratteristici dello Stato contemporaneo, quali la politica diretta a promuovere la massima occupazione, la legislazione antimonopolistica, i provvedimenti a favore delle cooperative, ecc. Cfr. Galbraith, op. cit., pp. 160 ss.
  50. Per una analoga prospettiva di una futura società pluralistica e per il concetto di «potere di riserva» (reserve function) che in essa lo Stato è destinato a esercitare, cfr. Friedmann, op. cit., pp. 164 ss.
  51. Santoro-Passarelli, L’impresa nel sistema del diritto civile, in Scritti in onore di Barassi («Jus», 1943), pp. 220; Miglioranzi, Il rapporto di lavoro nella sua evoluzione, in Scritti in onore di A. Scialoja,vol. IV, Bologna, 1953, pp. 293 ss.; Mancini, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Milano, 1957, pp. 114 (testo e nota 36), 125. Secondo Greco, Corso di diritto commerciale (impresa-azienda-società), Milano, 1952, p. 53 s., il concetto germanico di Gemeinschaft,evocato da Santoro-Passarelli, in definitiva ha lo stesso senso della nozione di istituzione.
  52. Cfr. Cottino, Le convenzioni di voto nelle società commerciali,Milano, 1958, p. 58. Sulla frattura tra la forma legale e la realtà della società per azioni, e per una discussione delle varie possibili misure per porvi rimedio, cfr. i due ampi studi di Fischer, Rechtsschein und Wirklichkeit im Aktienrecht, in «Ar. dv. Pr.», 1955, p. 85 ss.; Die Reform des Aktiengesetzes, ivi, pp. 181 ss.
  53. La letteratura sulla teoria istituzionalistica della società per azioni è troppo vasta perché possa essere qui ricordata. La bibliografia essenziale si può ricavare dalla nota premessa ai miei Appunti per una revisione della teoria sul conflitto di interessi nelle deliberazioni di assemblea della società per azioni, in «Riv. soc.», 1956, p. 134, e ivi (pp. 441 s.) qualche valutazione critica.
  54. Per la valutazione delle leggi sulla Mitbestimmung come uno sviluppo logico della concezione istituzionalistica della società per azioni (già presagito da Planitz, Die Stimmrecbtsaktie, Leipzig, 1922), cfr. Fischer op. cit., in «Ar. civ. Pr.», 1955, pp. 106, nota 63, 217; Ferri, Potere e responsabilità nell’evoluzione della società per azioni, in «Riv. soc.», 1956, pp. 43 s.; Libonati, Recenti tendenze del diritto germanico in tema di società e di cartelli, ivi, 1957, pp. 898 ss. Le idee di Planitz sono state riprese nella dottrina inglese da Goyder, L’avvenire dell’impresa privata, Milano, 1955, e una cauta proposta di ammettere una rappresentanza eletta dei dipendenti in seno ai consigli di amministrazione delle società anonime (non nell’assemblea, come vorrebbe Goyder) si trova anche nei Nuovi saggi fabiani, cit., pp. 182 s., formulata da Albu. Ma vedi il giudizio scettico di Ctosland, The Future of Socialism, cit., pp. 356 ss. Si può dire, in generale, che l’idea della Mitbestimmung trova scarsa considerazione in Inghilterra, e nessuna in America.
  55. Cfr. Libonati, op. cit., pp. 897, nota 2; 920, nota 37; Nikisch, Le questioni giuridico-sociali dell’ordinamento delle forme d’impresa, in «Nuova riv. dir. comm.», 1953, I, p. 213; Garrigues, Aspetto giuridico dell’impresa, ivi, 1949, I, p. 54. La confusione tra impresa e imprenditore (nei casi in cui l’impresa sia esercitata da una società) è considerata da Fanelli, Introduzione alla teoria giuridica dell’impresa,Milano, 1950, p. 78, una conseguenza inevitabile della concezione istituzionalistica dell’impresa, formulata dalla dottrina del diritto del lavoro per mettere in rilievo la funzione organizzativa che il rapporto di lavoro assume in quanto si svolge nell’impresa. In altre parole, la concezione istituzionalistica della società per azioni è ritenuta un aspetto logicamente complementare della concezione istituzionalistica dell’impresa. Questa valutazione non è esatta. Quando la dottrina della «comunità d’impresa» designa come membri della comunità l’imprenditore e i suoi dipendenti, che con lui collaborano per uno scopo comune costituito dal risultato economico della produzione, essa allude all’imprenditore non nel senso dell’art. 2082 c.c. (per cui la qualità di imprenditore può competere sia a una persona fisica sia a una persona giuridica), bensì nel senso di «capo dell’impresa» (art. 2086), qualità che può essere rivestita solo da una persona fisica. Se imprenditore è una società per azioni, entrano a far parte della «comunità di lavoro e d’impresa», insieme con i lavoratori, solo le persone fisiche preposte all’esercizio dell’impresa (amministratori della società e direttori); non anche la collettività degli azionisti, che costituisce l’elemento materiale della persona giuridica-società cui viene giuridicamente riferita l’attività d’impresa e così la qualità di imprenditore nei rapporti esterni. Tra la concezione istituzionalistica dell’impresa e la concezione istituzionalistica della società per azioni non v’è un rapporto di logica complementarità, ma piuttosto un salto logico coperto da un equivoco terminologico. Del resto, è abbastanza noto che la concezione istituzionalistica della società per azioni si è storicamente sviluppata nel quadro di ideologie e di direttive politico-sociali non propriamente coincidenti con quelle che hanno ispirato l’idea della comunità d’impresa nell’ambito del diritto del lavoro.
  56. Schilling, L’evoluzione del diritto delle società nel dopoguerra in Germania, in «Riv. soc.», 1957, p. 187. Cfr. anche il citato rapporto della commissione di studi del Congresso dei giuristi tedeschi (Untersuchungen zur Reform des Unternehmensrechts), p. 40.
  57. Questa valutazione sta all’origine dell’aspro giudizio pronunciato sulla concezione istituzionalistica dell’impresa da Lyon Caen, Manuel de droit du travail et de la sécurité sociale, Paris, 1955, p. 223. «... il y a sans dout là une mystification, inconsciente ou consciente, mystification qui tend à atténuer l’acuité des luttes sociales et à faire oublier aux salariés leurs véritables intérêts». Di «mistificazione» parlano anche Fraisse e Guisbourg, Human relations: progrès ou mystification?, in «Esprit», 1953, p. 797.
  58. Soltanto sotto questo profilo, cioè al livello della produzione, è possibile, a mio modo di vedere, la coesistenza col contratto di lavoro (configurato come contratto di scambio) della «comunità d’impresa» (cfr. più avanti).
  59. Cfr. Crosland, The Future of Socialism, cit., pp. 345 s. (v. anche p. 202).
  60. M Schilling, op. loc. cit.
  61. Secondo Friedmann, in «Columbia Law Rev.», 1957, p. 183, il banco di prova dell’esperimento tedesco sarà disponibile soltanto al sopravvenire di un periodo di depressione economica, quando occorrerà decidere quale genere di zavorra gettare dalla nave in tempesta. Cfr. anche Ascarelli, in «Riv. trim. dir. proc. civ.», 1957, p. 1098.
  62. La stessa commissione di studi del Congresso dei giuristi tedeschi pone come fondamento dell’impresa il concetto di proprietà (Untersuchungen cit., p. 16: «Die rechtliche Grundlage der Wirtschaftseinheit “Unternehmen” ist das Eigentum»); ma è già stata rilevata la difficoltà di conciliare questa posizione con l’adesione alle concezioni che stanno a base della Mitbestimmung (Libonati, op. cit., p. 901, nota 12).
  63. Cfr. Ascarelli, I problemi delle società anonime per azioni, in «Riv. soc.», 1956, pp. 3 ss.; Id., Disciplina delle società per azioni e legge antimonopolistica, in «Riv. trim. dir. proc. civ.», 1955, pp. 273 ss.; Ferri, Potere e responsabilità, cit., in «Riv. soc.», 1956, pp. 51 ss.; Cottino, Convenzioni di voto, cit., pp. 289 ss., con osservazioni, sostanzialmente adesive, al progetto di legge Ascarelli, pubblicato in «Riv. soc.», 1956, p. 604, sul quale v. pure Messineo, Due disegni di legge in tema di società, ivi, pp. 648 ss. Sul proxy-system americano, considerato come base di una nuova corporate o shareholder democracy, cfr. Emerson e Latcham, Shareholder Democracy (A broader Outlook for Corporations), Cleveland, 1954; Garret, Attitudes on Corporate Democracy. A critical Analysis, in «Northwersten University Law Rev.», 1956, n. 51, pp. 310 ss. (su cui v. Bernini, La rivoluzione degli azionisti, in «Riv. dir. civ.», 1957, I, p. 594); Aranow e Einhorn, Proxy Contests for Corporate Control, New York, 1957. Per un inquadramento delle proxy-rules, e in genere del controllo pubblicistico imperniato sulla Securities Exchange Commission, nella teoria del potere di equilibrio, cfr. Galbraith, Capitalismo americano, cit., pp. 161 ss. Si veda ancora, da ultimo, la breve esposizione di Tunc, La protezione dell’azionista: l’esempio degli Stati Uniti d’America, in «Nuova riv. dir. comm.», 1957, I, pp. 97 ss.
  64. Lo scarso entusiasmo dei lavoratori inglesi per la prospettiva di assumere diritti di codedsione è rilevato da Crosland, The Future of Socialism, cit., pp. 359, 364. Cfr. anche Ferri, op. cit., p. 48. Nella stessa Germania resperienza successiva alle leggi sulla Mitbestimmung non è del tutto positiva. Dopo le elezioni del consiglio di azienda nella «Westphalen Hutte» (dicembre 1955), che hanno avuto risultati disastrosi, l’organo di informazioni intemazionali della confederazione dei sindacati tedeschi (D. G. B. Nouvelles) ha pubblicato un articolo del dott. Koch, «direttore del lavoro» della «Hoesch-Werke AG», in cui la cogestione viene difesa di fronte alle accuse di fallimento, e si tenta di circoscrivere il significato di quelle elezioni dandone una spiegazione collegata a una particolare situazione dell’azienda in questione. L’articolo è riprodotto, in traduzione italiana, nel «Bollettino di studi e statistiche» della Cisl, 1956, pp. 291 ss., con una premessa nella quale si dichiara che «dalla lettura dello stesso articolo risulta ulteriormente e in modo più approfondito suffragata la perplessità dei sindacati dei paesi anglosassoni – inglesi e americani soprattutto, e anche della Cisl italiana – sui vantaggi per il movimento operaio e sindacale della cogestione». In una conferenza tenuta all’Università di Colonia (un riassunto mi è stato cortesemente fornito dalla Divisione dei Problemi del Lavoro della CECA) il prof. Koenig ha rivelato i risultati di un’inchiesta da lui condotta in varie imprese tedesche, da cui appare che lo stato d’animo dei lavoratori della «Westphalen Hutte» non sarebbe un caso isolato. Secondo K. la legge sulla codecisione ha provocato inquietudine e risentimento tra gli operai. Essi dimostrano scarsa fiducia nei loro rappresentanti e soprattutto nel «direttore del lavoro», considerato di condizione sociale superiore, insomma «uno che è passato dall’altra parte» (sull’elezione del direttore del lavoro come possibile causa di risentimento tra i lavoratori cfr. Crosland, The Future of Socialism, cit., p. 361). Si riconosce bensì che il direttore del lavoro e i comitati d’impresa sono riusciti a ottenere salari più elevati, ma i nuovi benefici sono costituiti in larga parte da premi di produzione, mentre gli operai preferiscono salari globali meno elevati, purché la parte fissa, cioè il salario base, sia più sostanziosa. La conclusione di K. è che la legge sulla codecisione non ha trovato profonda rispondenza nella coscienza dei lavoratori: è stata concepita su un piano troppo elevato e non ha tenuto conto dei loro veri desideri. Nel 1951 era stata condotta una inchiesta tra i dipendenti di una grande impresa in merito alla legge allora in preparazione. Il 49% aveva risposto di considerarla favorevole ai lavoratori; il 26% di considerarla sfavorevole; il 25% di non avere alcuna opinione. Nel 1955, nella stessa impresa, le percentuali sono state rispettivamente: 9%, 72%, 19%.
    Per un panorama generale degli sviluppi dell’idea della codecisione cfr. lo studio pubblicato dal Bit, La collaboration dans l’industrie,Genève, 1951, e l’inchiesta dell’Institut de droit et d’economie comparés de la faculté de droit et des Sciences politiques de Strasbourg, diretta da David, La partecipation des travailleurs à la gestion des entreprises privées dans les principaux pays d’Europe occidentale, Paris, 1954.
  65. È questa la cosiddetta «soluzione dualistica» sostenuta (ma ormai senza probabilità di successo) da una parte autorevole della dottrina germanica: cfr. Ballerstedt, in «Juristenzeitung», 1951, p. 493; Reinhard, Die für die Ordnung der Wirtschaft massgebenden Rechtsgrundsätze und die Recbtsform der Mitbestimmung, in Festscrift f. Nipperdey,München-Berlin, 1955, pp. 245 ss.; Köhler, Unternehmensverfassung und Aktienrechtsreform, in «Juristenzeitung», 1956, pp. 137 ss. Nell’articolo del Reinhard, pp. 243-4, vedi anche la confutazione del sofisma, che pretende di derivare il diritto di condirezione dell’impresa dal diritto dei lavoratori a partecipare al profitto dell’impresa. L’altra soluzione, accolta dal legislatore germanico, è detta «integrante»: cfr. Schilling, La partecipazione sotto l’aspetto del diritto sociale, in «Nuova riv. dir. comm.», 1955, I, pp. 25 ss.
  66. Sul piano della gestione economico-finanziaria dell’impresa non può rendersi operante la «comunità di lavoro e d’impresa» (che emerge solo sul piano dei rapporti organizzativi interni dell’impresa), e domina invece il dualismo tra imprenditore e lavoratori in quanto parti di un contratto di scambio. Si pensi, a modo di esempio, alla tradizionale opposizione tra i punti di vista della direzione e dei lavoratori nella considerazione del salario, che dalla prima è valutato come un costo di produzione, mentre dai secondi è valutato come reddito, e quindi come titolo di partecipazione al profitto dell’impresa. Perdo l’attribuzione ai consigli di gestione di poteri consultivi e di controllo nel campo della gestione economico-finanziaria dell’impresa non mi pare concepibile se non in funzione della tutela di un interesse di parte, ossia in funzione di un rafforzamento della posizione contrattuale dei lavoratori. Da questo punto di vista appare più coerente la configurazione dei consigli di gestione come organi con composizione omogenea (composti da soli rappresentanti dei lavoratori), mentre la soluzione che li configura come organi misti risponde piuttosto all’altro profilo, certo il più importante, sotto il quale i consigli di gestione sono chiamati ad operare come organi della comunità d’impresa.
  67. Cfr. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, in «Dir. lav.», 1954, I, p. 182; Fraisse e Guibourg, op. cit., in «Esprit», 1953, p. 803, in nota: «L’expérience des Comités d’entreprise a manifesté que cette institution n’était bénéfique pour les ouvriers que là où les délégués ont été soigneusement encadrés et soutenus par leurs syndicats. Ailleurs, ils n’ont été trop souvent que des otages ou des complices».
  68. Cfr. Hayek, Verso la schiavitù, Milano, 1948, p. 78.
  69. È questa la via alla democrazia industriale sperimentata negli Stati Uniti d’America e nei paesi scandinavi. Crosland, op. ult. cit., p. 349, lamenta la lentezza dello sviluppo in questo senso dell’azione delle Trade Unions.
  70. La necessità di temperare, per quanto è possibile, il contratto di lavoro col contratto di società è affermata da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno (n. 30), e ribadita da Pio XII in un radiomessaggio pronunciato il 1° settembre 1944. Dal punto di vista tecnico-giuridico va precisato che il temperamento non implica una modificazione dello schema causale del contratto di lavoro che rimane essenzialmente modellato sullo stampo del concetto di «scambio», bensì soltanto l’introduzione nella disciplina normativa del rapporto di un momento associativo collegato al fatto che esso si svolge come elemento costitutivo della struttura organizzativa dell’impresa. Appunto questo fatto, ossia l’incorporazione dei lavoratore in una organizzazione di persone cooperanti per uno scopo economico di produzione, conferisce al rapporto di lavoro, considerato nella fase esecutiva, un profilo associativo (funzionale a un interesse comune delle parti) che manca nella fase costitutiva. Uno spunto in questo senso del Santoro-Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro10, Napoli, 1958, p. 63, è stato sviluppato da Mancini, op. cit., p. 114; e v. anche Greco, Corso, cit., pp. 51 ss. L’accennata costruzione dogmatica sfrutta la tendenza della moderna disciplina giuridica del rapporto di lavoro ad atteggiarsi in maniera autonoma rispetto alla fonte contrattuale: cfr. Pugliatti, Proprietà e lavoro nell’impresa, in «Riv. giur. lav.», 1954, I, pp. 139 ss.