Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c1

I Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico
Da «Jus», 1976, pp. 3-40

L’ordinamento della vita secondo le regole del diritto e del costume è qualcosa di incompleto, che ha bisogno di un’integrazione produttiva. Occorre il giudizio per valutare rettamente i casi concreti. Conosciamo questa funzione del giudizio soprattutto dalla giurisprudenza, dove il contributo dell’‘ermeneutica’ al completamento del diritto consiste precisamente nel produrre la concretezza del diritto.
(Gadamer, Wabrheit und Methode)

1. Savigny e il metodo logico-formale della dottrina pandettistica

Il pensiero giuridico tradizionale, educato al positivismo scientifico della scuola pandettistica, può essere riassunto con le parole dei traduttori italiani di Windscheid: «Noi portiamo opinione, che né la dottrina né la giurisprudenza abbiano oggidì forza creatrice di diritto [...]. Il sistema ha sempre in sé la base per la decisione delle questioni tutte, che nella vita possono sorgere» [1]
. Secondo il pensiero positivistico la politica del diritto è affare esclusivo del legislatore, si identifica con la politica legislativa. Essa è alla base della «pronunzia emanata dallo Stato», nella forma della legge, «che qualche cosa sarà diritto» [2]
: pronunzia fondata «sulla consapevole valutazione dei motivi e sulla conscia comprensione degli scopi da raggiungersi» [3]
. Invece la pronunzia su che cosa è diritto, cui mette capo il pro{p. 12}cesso interpretativo, può essere formulata con pienezza di senso dal giurista esclusivamente in via di deduzione logico-dogmatica dai concetti contenuti nelle norme giuridiche e dalle loro connessioni sistematiche: essa «è il risultato di un computo, i fattori del quale sono i concetti giuridici» [4]
. «Considerazioni morali, politiche o economiche non sono affare del giurista come tale» [5]
, appunto perché si tratta di elementi extrasistematici, logicamente non calcolabili, e quindi – secondo le vedute di quel tempo – irrazionali.
Questo rigido formalismo concettuale, fiducioso nella capacità del sistema di autointegrarsi mediante pure operazioni logiche interne, non può essere fatto risalire a Savigny. L’affermazione, venuta di moda, secondo cui Kant, Smith e Savigny sarebbero ancor oggi le tre componenti fondamentali dell’educazione del giurista [6]
, va accolta con qualche riserva, almeno per quanto riguarda l’ultimo personaggio della triade. In un certo senso si potrebbe porre piuttosto la questione di un ritorno a Savigny. La «giurisprudenza dei concetti» si è sviluppata sulla base dell’estrapolazione di un aspetto o, come si usa dire, di un’anima della scuola storica, cioè l’anima positivistica. Nella metodologia giuridica di Savigny, rielaborata nel primo volume del «Sistema», è fondamentale una distinzione che la scienza pandettistica successiva, ormai incline al positivismo legislativo, ha lasciato cadere: la distinzione fra «interpretazione delle singole leggi considerate in se stesse» e «interpretazione delle fonti del diritto nel loro insieme» [7]
. Solo nell’ambito della prima Savigny professa una concezione rigorosamente positivistica, legata al tenore letterale del testo e ostile all’introduzione {p. 13}di valutazioni di ordine teleologico [8]
: il canone dei quattro elementi interpretativi (grammaticale, logico, storico, sistematico) serve per la «cognizione del contenuto della legge», non a integrarlo, svilupparlo o correggerlo [9]
. Il problema dell’integrazione del diritto, connesso al problema delle lacune, è posto da Savigny quando passa a trattare l’interpretazione delle fonti del diritto considerate nel loro complesso: qui egli si dimostra consapevole dell’inidoneità del metodo logico-formale a mantenere la funzione degli istituti giuridici in armonia con «lo spirito e i bisogni del tempo» [10]
, e riconosce che nell’attività interpretativa può inserirsi un momento di «vera e propria formazione del diritto» [11]
. In realtà, Savigny intendeva escludere dall’orizzonte interpretativo della legge le aspirazioni politiche della borghesia liberale, coerentemente col rifiuto dei postulati politico-costituzionali della rivoluzione francese, caratteristico della scuola storica [12]
. Era però un conservatore illuminato, aperto alle esigenze di una graduale trasformazione dei rapporti socio-economici [13]
: perciò, nell’interpretazione delle fonti del diritto considerate nella loro totalità sistematica, integrata dalla legislazione romano-giustinianea, dal diritto canonico e dal diritto consuetudinario (cioè dal diritto prerivoluzionario, legittimato dalla storia), egli muove dall’idea di un sistema giuridico la cui intrinseca connessione non è «puramente logica, come il semplice rapporto tra causa ed {p. 14}effetto, ma è al tempo stesso una connessione organica, che risulta dalla visione complessiva della natura pratica dei rapporti giuridici e dei loro archetipi» [14]
. Il pensiero giuridico non si può muovere esclusivamente sul piano dei concetti e delle loro connessioni logiche, ma deve continuamente mediare le categorie logiche con la concretezza dell’esperienza giuridica [15]
.
Ma i bisogni economico-sociali del tempo erano rappresentati dal modello del liberalismo economico. Ciò spiega sia lo scarso approfondimento da parte dello stesso Savigny di questo aspetto della sua dottrina, che lascia intravedere la nozione di sistema aperto, sia la chiusura operata dai suoi successori. Il liberalismo economico concepisce l’ordine sociale come risultato naturale del libero incontro delle forze economiche individuali sul mercato e assegna al diritto la sola funzione di garantire a ciascun produttore una uguale misura di libertà formale. In una società così concepita il progresso appariva uno sviluppo organico di strutture semplici e relativamente stabili, a partire dalle quali si irradiava uniformemente secondo direttive tracciate dagli stessi produttori sulla scorta di principi giuridici – proprietà, libertà di contratto, libertà di lavoro – compenetrati da valori reputati immutabili [16]
.
Con siffatta società, che concepiva il futuro in funzione del presente e come una sua ripetizione o un suo {p. 15}prolungamento, era omogenea quella che dalla critica successiva sarà chiamata «giurisprudenza dei concetti». La costruzione pandettistica del diritto privato come un sistema di concetti giuridici, isolato dai rapporti reali della vita sociale e considerato fonte conoscitiva autonoma di nuove regole di diritto [17]
, risponde all’idea del progresso come processo che si sviluppa dentro un orizzonte immobile definito da una volontà normativa costante, che assicura le condizioni di ricostituzione spontanea degli equilibri sociali [18]
. Si spiega così il canone fondamentale della teoria classica, secondo cui la ratio normativa, mentre può servire per correggere le espressioni usate dal legislatore, non autorizza l’interprete a correggere il contenuto della legge medesima, restringendone o allargandone la portata. Non lo scopo della legge, sovente di incerta identificazione e che comunque «mediante la legge non è diventato oggettivo» [19]
, bensì i concetti ottenuti dall’analisi formale del suo contenuto dirigono l’applicazione al caso concreto. Le decisioni raggiunte con la mediazione, logicamente corretta, dei concetti giuridici sono poi ritenute anche decisioni materialmente giuste, dal momento che sono il prodotto di una concatenazione logica via via risalente al concetto di diritto soggettivo, collocato al vertice del sistema, nel quale si esprime l’autonomia della volontà del soggetto intesa, secondo la filosofia kantiana, quale principio supremo della moralità.

2. La reazione della «giurisprudenza degli interessi».

Il tramonto del modello della libera concorrenza ha messo in crisi la concezione del diritto privato come sistema
{p. 16}di diritti soggettivi destinati a delimitare e a proteggere le sfere individuali di libertà e di signoria, entro le quali la volontà privata deve esprimere la qualità di essere legge a se stessa: ossia la concezione di un diritto politicamente neutrale per una società apolitica che domanda allo Stato soltanto la garanzia dei presupposti formali necessari perché le scelte individuali possano comporsi in equilibri spontanei regolati dalla mano invisibile delle leggi naturali dell’economia. Nella società industriale di produzione di massa il progresso tecnologico incessante e la crescente concentrazione economica imprimono allo sviluppo sociale il carattere di un processo continuo di disintegrazione e reintegrazione delle strutture sociali, che sfugge ad ogni nozione di equilibrio spontaneo e di autointegrazione dell’ordinamento giuridico mediante pure operazioni di riproduzione sillogistica di principi formalizzati in un sistema chiuso di concetti. Il formalismo concettuale finisce allora col nascondere i problemi posti dal divario che continuamente si rinnova tra norma e realtà; e può occultare anche fenomeni di perversione del diritto privato nel senso di una utilizzazione dei suoi istituti – quali l’associazione, la società, certi tipi di contratto di scambio – per la costituzione di organizzazioni regolatrici del mercato investite di fatto di poteri di eteronomia, ma formalmente legittimate dal principio dell’autonomia privata [20]
.
Note
[1] Fadda e Bensa, Note a Windscheid, Diritto delle pandette, vol. I, 1, Torino, 1902, pp. 129 ss.
[2] Windscheid, Pand., § 14 (trad. it. cit., p. 47).
[3] Ibidem, § 15, nota 4 (trad. it. cit., p. 53).
[4] Ibidem, § 24 (trad. it. cit., p. 75).
[5] Windscheid, Die Aufgabe der Rechtswissenschaft, in Gesammelte Reden und Abhandlungen, Leipzig, 1904, p. 112.
[6] Wiethölter, Rechtswissenschaft, Frankfurt a.M., 1968, p. 71; P. Barcellona, Diritto privato e processo economico, Napoli, 1973, p. 22.
[7] Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. di V. Scialoja, vol. I, Torino, 1886, pp. 220 s. Cfr. Kriele, Theorie der Rechtsgewinnung, entwickelt am Problem der Verfassungsinterpretation, Berlin, 1967, pp. 68 ss.
[8] Savigny, Sistema, cit., vol. I, p. 227. Tuttavia questa concezione risulta in qualche modo attenuata in confronto all’opera giovanile Juristische Methodenlehre (corso di lezioni tenuto nel semestre invernale 1802-1803, trascritto da J. Grimm), pubblicata da G. Wesemberg, Stuttgart, 1951, dove il rifiuto dell’interpretazione estensiva o restrittiva, fondata sullo scopo della legge, era assoluto (pp. 18, 39 ss.). Nell’opera della maturità Savigny ammette in certi casi «l’applicazione del motivo della legge all’interpretazione della medesima», pur ammonendo che essa è «arrischiata» e «pericolosa» (Sistema vol. I, pp. 224-228, 231, 235, 240).
[9] Ibidem, pp. 221 s.
[10] Ibidem, p. 18.
[11] Ibidem, p. 334.
[12] Cfr. Stinzing e Landsberg, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft, III, 2, München-Berlin, 1910, pp. 211 s., 242 s.
[13] Cfr. Kriele, Theorie, cit., p. 80.
[14] Savigny, Sistema, cit., vol. I, p. 298. Cfr. Wilhelm, Metodologia giuridica nel secolo XIX, Milano, 1974, p. 92.
[15] Cfr. Larenz, Methodenlehre der Rechtswissenschaft3, Berlin, 1975, p. 14 (trad. it. parziale della 1a ed., col titolo Storia del metodo nella scienza giuridica, Milano, 1966, p. 10). Non si può condividere l’affermazione di Gadamer, Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik2, Tübingen, 1965, p. 309 (Verità e metodo, Milano, 1972, p. 379), secondo cui «anche Savigny ignora la tensione fra il senso giuridico originario e il senso giuridico attuale (della legge)». La distinzione savignyana fra i due momenti dell’interpretazione giuridica, ricordata nel testo, implica un distacco dalla teoria dell’interpretazione soggettiva nel senso di Schleiermacher. Cfr. Larenz, Methodenlehre, cit., p. 16, nota 4.
[16] Vlachos, Nouvelles recherches sur la Philosophie des valeurs du droit, in «Ar. phil. dr.», X (1965), pp. 139 s.
[17] Se si debba parlare piuttosto di fonte «creativa», come protestava Bergbohm, Jurisprudenz und Rechtsphilosophie, vol. I, Leipzig, 1892, pp. 523 s., testo e nota 50, il quale avvertiva acutamente il criptogiusnaturalismo della dottrina pandettistica, è questione di secondaria importanza (cfr. Wilhelm, Metodologia, cit., pp. 87 s.). Ciò che importa è che le regole di diritto formate mediante la costruzione sistematica si stabiliscono senza rapporto alle loro conseguenze nella realtà sociale circostante al sistema, cioè in base a una dogmatica non orientata in senso funzionale.
[18] Vlachos, op. loc. cit.
[19] Savigny, Jurist. Methodenlehre, cit., p. 40.
[20] Cfr. Biedenkopf, Über das Verhältnis wirtschaftlicher Macht zum Privatrecht, in Fest sehr. f. Böhm, Karlsruhe, 1965, pp. 114 s.