Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c30

Postfazione Il cammino della Vita Indipendente non può essere arrestato

Il concetto di «Vita Indipendente» è stato coniato negli anni Sessanta del Novecento in California dal movimento Independent Living, anticipando quindi di una quarantina d’anni le previsioni della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 – che è divenuta legge dello Stato italiano nel 2009 – e ricoprendo, in realtà, un ruolo determinante nei lavori preparatori e nel testo stesso della Convenzione, con una particolare ricaduta nell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) che, data la sua assoluta centralità e rilevanza, merita sempre di essere richiamato e integralmente:
Gli Stati Parte della presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci e adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che: a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni.
L’articolo 19 della Convenzione ONU regolamenta, dunque, il diritto di ognuno di scegliere dove, con chi e come vivere la propria vita, garantendo l’autodeterminazione, concetto sul quale si basa la Vita Indipendente. Nel diritto di autodeterminazione e nei princìpi di vita indipendente il movimento internazionale di tutela dei diritti delle persone con disabilità – e, per l’Italia, la FISH – ha individuato le stelle polari che indicano costantemente la direzione delle proprie azioni.{p. 662}
Chiaramente, per essere concretamente possibile, la Vita Indipendente deve prevedere interventi combinati che consentano alle persone con disabilità di avere pieno controllo sulle proprie vite. Sono necessari servizi e sostegni accessibili a tutti e forniti sulla base di pari opportunità: dall’alloggio ai trasporti, agli ausili tecnici, all’assistenza personale ai servizi basati sulla comunità. Insomma, un welfare comunitario d’inclusione.
Ma ciò significa anche – cosa che va sottolineata e ribadita incessantemente – che la Vita Indipendente riguarda tutte le persone con disabilità, a prescindere dal livello di sostegno necessario. Nessuno escluso.
L’Italia ha intrapreso questa strada molto precocemente. A livello nazionale, infatti, altre norme, ancor prima della Convenzione, avevano già messo i primi mattoni per un diritto alla Vita Indipendente. Nella legge n. 162/1998, ad esempio, primo provvedimento di modifica della legge n. 104/1992, si introduceva la possibilità di
disciplinare, allo scopo di garantire il diritto a una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia.
Due anni dopo, nella legge n. 328/2000, «legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», si parla esplicitamente di «progetto individuale». Al tema è dedicato l’articolo 14 che recita: «Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili [...] nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale [...]».
Poi, nel 2006, come anticipato, è stata adottata la Convenzione ONU – vero e proprio cambio di paradigma – e, nel 2009, è stata approvata la già citata legge n. 18 che l’ha ratificata nel nostro Paese e ha istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità che, tra gli altri compiti, ha quello di predisporre un programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità.
Proprio nel secondo Programma di azione biennale, adottato nel 2017, si legge che «corollario di un nuovo approccio alla condizione di disabilità è il riorientamento dei servizi verso l’inclusione sociale e il contrasto attivo alla istituzionalizzazione e segregazione della Persona con Disabilità, anche partendo dalle sperimentazioni in materia [di vita indipendente] che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta conducendo su tutto il territorio nazionale». E ancora: «La promozione della vita indipendente e {p. 663}il sostegno all’autodeterminazione non sono più da considerare “settori” dell’intervento di welfare quanto piuttosto criteri ispiratori complessivi del sistema».
Quelle sperimentazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di cui si parla nel Secondo programma di azione biennale, sono state effettivamente avviate in alcune Regioni, rimanendo però sempre allo stato di sperimentazione, almeno sino alle svolte legislative più recenti, e segnatamente all’approvazione della legge delega n. 227/2021 in materia di disabilità, norma che è una ricaduta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e alla cui elaborazione la FISH ha fornito un sostanziale apporto.
Infatti, tra i princìpi e criteri direttivi della delega, vi è un passaggio sul tema che non potrebbe essere più chiaro, e segnatamente quello in cui si stabilisce di
prevedere che, nell’ambito del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato diretto ad assicurare l’inclusione e la partecipazione sociale, compreso l’esercizio dei diritti all’affettività e alla socialità, possano essere individuati sostegni e servizi per l’abitare in autonomia e modelli di assistenza personale autogestita che supportino la vita indipendente delle persone con disabilità in età adulta, favorendone la deistituzionalizzazione e prevenendone l’istituzionalizzazione [...].
Su queste basi, per la FISH, oggi, la sfida principale sul fronte della Vita Indipendente è proprio quella di rendere concreta una serie di princìpi ormai consolidati a livello di legislazione internazionale e nazionale. Per questo, risulta particolarmente utile una ricerca come quella presentata in questo volume in cui il corposo lavoro teorico non è mai scisso dagli strumenti per la sua applicazione pratica e quotidiana.
Un dato è, per noi, quantomai chiaro: il cammino storico della nuova cultura sulla disabilità, formatasi a partire dalla seconda metà del Novecento, non può prevedere cedimenti o passi indietro. Il cammino della Vita Indipendente non può essere arrestato.
Vincenzo Falabella
(Presidente nazionale della FISH - Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, consigliere CNEL e componente del Consiglio di presidenza CNEL)